La continua informazione in tempo reale che l'odierna tecnologia permette, sembra richiederci, individualmente e collettivamente, una risposta immediata, a livello sia emotivo sia di azione. Capita spesso, infatti, che eventi accaduti solo poche settimane prima ci appaiano estremamente lontani nel tempo. Per non dire dell'impressione che suscitano molte pagine dei quotidiani, fresche di stampa eppure già datate, in quanto piene di notizie che conosciamo da ore e ci risultano già vecchie. Tutto sembra accadere in un frenetico presente. In questa situazione, come non smarrire la capacità, fondamentale per ogni convivenza umana, di costruire e valorizzare una memoria collettiva?
Come ha scritto Carlo Socco, «La memoria collettiva accompagna il flusso del vissuto con la sua continua interpretazione narrativa, che poi non è altro che quell'incessante reinterpretazione del suo senso. Se il flusso del vissuto, dal più banale al più avventuroso, non fosse accompagnato dal continuo lavorio della memoria, individuale e collettiva, il nostro agire finirebbe per paralizzarsi, per la semplice ragione che non sapremmo più chi siamo e cosa ci stiamo a fare. Il teatro della quotidianità è inscindibile dalla narrazione della nostra esistenza e il senso, che esso autonomamente esprime, finisce per essere parte di ciò che accettiamo di essere e di ciò che aspiriamo ad essere» (Paesaggio, memoria collettiva e identità culturale, intervento al Forum organizzato dalla Fondazione Benetton, Castelfranco Veneto, 26-29 maggio 1999, 3, <www.ocs.polito.it/biblioteca/articoli/p1_a7.pdf>).
La Bibbia ha proprio come suo statuto la creazione e la continua vivificazione della memoria collettiva, del popolo di Israele dapprima e della comunità cristiana poi. La narrazione degli eventi fondativi è richiamo per il presente, canone e criterio per l'identità e la prassi dell'oggi di chi ascolta. Nel testo biblico ci sono pagine che esplicitano questa basilare necessità di alimentare la memoria di quegli eventi che definiscono tale identità collettiva. Ne proponiamo qui due, una legata all'evento gratuito del prodigio di Dio che «dona» al suo popolo la Terra, l'altra alla scrittura di una «carta costituzionale» con cui questo popolo si impegna nei confronti del proprio Dio.
Le dodici pietre del Giordano
Giosuè 4, 1-7; 20-24
1 Quando tutta la gente ebbe finito di attraversare il Giordano, il Signore disse a Giosuè: 2 «Sceglietevi tra il popolo dodici uomini, un uomo per ciascuna tribù, 3 e comandate loro di prendere dodici pietre da qui, in mezzo al Giordano, dal luogo dove stanno immobili i piedi dei sacerdoti, di trasportarle e di deporle dove questa notte pernotterete». 4 Giosuè convocò i dodici uomini che aveva designato tra gli Israeliti, un uomo per ciascuna tribù, 5 e disse loro: «Passate davanti all'arca del Signore, vostro Dio, in mezzo al Giordano, e caricatevi sulle spalle ciascuno una pietra, secondo il numero delle tribù degli Israeliti, 6 perché siano un segno in mezzo a voi. Quando un domani i vostri figli vi chiederanno che cosa significhino per voi queste pietre, 7 risponderete loro: "Le acque del Giordano si divisero dinanzi all'arca dell'alleanza del Signore. Quando essa attraversò il Giordano, le acque del Giordano si divisero. Queste pietre dovranno essere un memoriale per gli Israeliti, per sempre"».
20 Giosuè eresse a Gàlgala quelle dodici pietre prese dal Giordano 21 e disse agli Israeliti: «Quando un domani i vostri figli chiederanno ai loro padri: "Che cosa sono queste pietre?", 22 darete ai vostri figli questa spiegazione: "All'asciutto Israele ha attraversato questo Giordano, 23 poiché il Signore, vostro Dio, prosciugò le acque del Giordano dinanzi a voi, finché non attraversaste, come il Signore, vostro Dio, fece con il Mar Rosso, che prosciugò davanti a noi finché non attraversammo; 24 perché tutti i popoli della terra sappiano che la mano del Signore è potente e voi temiate tutti i giorni il Signore, vostro Dio"».
Il popolo di Israele era uscito dalla terra d'Egitto attraverso la liberazione dalla schiavitù, segnata dal prodigio delle acque del Mar Rosso che si aprono per permettere il passaggio sulla terra asciutta. Dopo quarant'anni, l'ingresso nella Terra promessa avviene grazie a un simile evento: I sacerdoti che portavano l'arca dell'alleanza del Signore stettero fermi all'asciutto in mezzo al Giordano, mentre tutto Israele attraversava all'asciutto, finché tutta la gente non ebbe finito di attraversare il Giordano (Giosuè 3, 17). Momento solenne che segna il realizzarsi della promessa fatta più di seicento anni prima da Dio ad Abramo: Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò ... Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d'Egitto al grande fiume Eufrate, la terra dove abitano i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, gli Ittiti, i Perizziti, i Refaim, gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei e i Gebusei (Genesi 12, 1-2; 15, 18b-21). Perché si conservi la memoria storica di questo momento costitutivo dell'identità di tutto il popolo, Dio comanda un preciso segno che ne costituisca la memoria collettiva.
Il luogo dove avviene il passaggio del Giordano porta il nome di Gàlgala (in ebraico cerchio): quelle dodici pietre disposte circolarmente diventano un segno paesaggistico che, per la sua diversità dal terreno circostante, fa scattare la domanda dei figli: «Che cosa sono queste pietre?» (4, 21). Mettiamo in evidenza la dinamica di questa memoria.
Innanzi tutto viene proposta la costruzione di un segno permanente. La pietra rappresenta infatti la solidità, il permanere di una presenza che non è soggetta al mutare delle stagioni o al deteriorarsi dei materiali, segno implicito anche della fedeltà salda di Dio che aveva promesso tale evento. In secondo luogo, tale segno deve essere simbolicamente evocativo. Come sono state dodici le tribù che hanno attraversato il Giordano per prendere possesso della Terra, così dodici devono essere le pietre, poste in cerchio per mostrare che tutte le tribù sono alla pari, nessuna è davanti e nessuna è al centro. Al centro c'è solo Dio, che ha mano potente per donare ciò che ha promesso al suo popolo. In terzo luogo il segno deve essere sufficientemente «visibile», così da suscitare la domanda «Che cosa sono queste pietre?» (ivi) da parte delle generazioni future che non hanno vissuto direttamente l'evento, per le quali questo luogo rischierà di essere semplicemente la riva di un fiume che segna un confine. Sarà tale domanda che permetterà il racconto esplicativo del simbolo da parte dei «padri», cui spetta il compito di rafforzare la memoria collettiva e suscitare un'emozione vitale per il presente: e voi temiate tutti i giorni il Signore, vostro Dio (4, 24). La memoria collettiva così non è solo narrazione di eventi del passato, ma è un memoriale (4, 7), intendendo questo termine nella sua accezione biblica. Si tratta cioè dell'utilizzo della memoria di eventi salvifici passati in un evento «liturgico» che permette ai partecipanti di riviverli come realtà presente. Così il ricordo si fa partecipazione alla relazione fondamentale con il Dio che ha liberato il popolo dall'Egitto (la Pasqua) e lo ha costituito libero nella sua Terra. Tale memoriale esprime e rimanda a un'identità che deve guidare le scelte lungo l'asse della storia, essendo un'identità permanente, non suscettibile di cambiamento con le successive evoluzioni della storia.
La grande pietra di Sichem
Giosuè 24, 22-28
22 Giosuè disse allora al popolo: «Voi siete testimoni contro voi stessi, che vi siete scelti il Signore per servirlo!». Risposero: «Siamo testimoni!». 23«Eliminate allora gli dèi degli stranieri, che sono in mezzo a voi, e rivolgete il vostro cuore al Signore, Dio d'Israele!». 24 Il popolo rispose a Giosuè: «Noi serviremo il Signore, nostro Dio, e ascolteremo la sua voce!». 25 Giosuè in quel giorno concluse un'alleanza per il popolo e gli diede uno statuto e una legge a Sichem. 26 Scrisse queste parole nel libro della legge di Dio. Prese una grande pietra e la rizzò là, sotto la quercia che era nel santuario del Signore. 27 Infine, Giosuè disse a tutto il popolo: «Ecco: questa pietra sarà una testimonianza per noi, perché essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza per voi, perché non rinneghiate il vostro Dio». 28 Poi Giosuè congedò il popolo, ciascuno alla sua eredità.
Il racconto del libro di Giosuè termina con un'altra pietra posta a testimonianza dell'alleanza solenne del popolo con il suo Dio e del momento in cui Giosuè diede uno statuto e una legge per il popolo a Sichem (Giosuè 24, 25). Siamo di fronte a una sorta di carta costituzionale del popolo che si prepara a vivere nella terra donatagli da Dio secondo precisi criteri fondativi.
Il popolo a Sichem riconosce ufficialmente il proprio statuto in relazione a Dio e si impegna formalmente a non tradire questa relazione fondante (24, 16-18). Così in questo luogo viene siglato di nuovo, nella terra ormai abitata (e non più nel deserto del Sinai), quel patto di alleanza tra il popolo e Dio, vincolato dall'osservanza delle leggi fondamentali per vivere in pace e prosperità. Ma non basta il libro scritto e «firmato» da questi padri costituenti. Giosuè innalza un'altra pietra, dopo quelle del Giordano, che ricordi questo patto. Anche qui la pietra ha una funzione di memoria per i tempi a venire, ma viene sottolineata una ulteriore sua caratteristica: essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza per voi (24, 27). La pietra, che senz'altro sopravviverà a tutti gli israeliti radunati quel giorno, viene presentata come capace di udire le parole che essi pronunciano. Qualunque loro discendente guardandola potrà pensare: «questo masso ha ascoltato i miei padri proclamare quelle parole, fare quel patto, impegnarsi solennemente a volere la pace e il benessere del paese servendo Dio». Ecco dove risiede il suo valore di testimone. La pietra innalzata collega la sacralità del momento vissuto dai fondatori a qualunque altro momento della storia, invitando le generazioni future alla riproposizione degli stessi sentimenti nelle decisioni da prendere.
Importanza della memoria collettiva
Questi testi mettono in discussione la sensazione di dover vivere in un continuo presente che sembra rendere non così rilevante la memoria degli eventi passati. Si constata infatti una odierna tendenza a non ritenere più importante la narrazione delle vicende di coloro che ci hanno permesso di vivere questo presente (la costruzione dell'unità nazionale, la nascita della democrazia nel nostro Paese dopo i tragici eventi bellici, la rinascita economica malgrado la sconfitta nel dopoguerra grazie all'aiuto economico di altri Paesi, il tempo recente in cui l'Italia era un Paese di emigrazione, ecc.). D'altra parte sta anche diventando frequente un revisionismo storico che mina alle radici l'apprezzamento collettivo degli eventi e delle carte fondanti la nostra identità: a livello ecclesiale si pensi al continuo tentativo di relativizzare i documenti del Concilio ecumenico Vaticano II, di valore canonicamente superiore a ogni altro documento magisteriale; in ambito civile le proposte che minano il valore della nostra Carta costituzionale (perché ostacolo a interessi di parte), oppure, non da ultimo, la triste e ironica pantomima di alcuni partiti politici in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell'unità nazionale.
Sembra allora quanto mai importante una sana ripresa della propria memoria collettiva attraverso racconti e «pietre» memoriali per le nuove generazioni. È l'unico modo perché le nuove domande e i nuovi orizzonti si possano fondare sulla solidità della propria identità valoriale, basata sul bene comune e sul desiderio di pace caratteristico di quegli ideali nati dopo una stagione di dittature e di conflitti sanguinosi. Ma in questo processo, occorre essere estremamente vigilanti di fronte al pericolo della sostituzione delle memorie, come segnala lo storico francese Jacques Le Goff: «tutta l'evoluzione del mondo contemporaneo, sotto la pressione della storia immediata, fabbricata in gran parte a caldo dagli strumenti della comunicazione di massa, procede verso la fabbricazione di un sempre maggior numero di memorie collettive, e la storia si scrive, assai più che per l'innanzi, sotto la pressione di queste memorie collettive» (Storia e memoria, Einaudi, Torino 1982, 132). Non sono rari infatti, in questa continua messa in discussione delle memorie collettive, i casi di «fabbricazione» di passati inesistenti, utili solo ad alimentare pressioni sull'oggi (si veda ad esempio l'epica di una mitica Padania mai esistita, e senz'altro mai origine di identità territoriali), o le spinte per eliminare quei segni memoriali che permettano da parte dei più giovani di porre ancora oggi la domanda: che cosa sono queste pietre?
Un ringraziamento a padre Oriano Granella o.f.m.cap., Superiore della Custodia cattolica di Turchia, per gli utili spunti dai quali è nata questa riflessione.