Made in Dagenham (We Want Sex)
Cambieremo il mondo
Nigel Cole
Gran Bretagna, 2011, durata 95'
Dagenham è un sobborgo dell’East End della periferia londinese, dove l’americana Ford aveva installato il suo più grande impianto produttivo di automobili in Gran Bretagna. La fabbrica, che nel 1968 contava circa 55mila operai, aveva anche un reparto dove 187 donne lavoravano cucendo i sedili delle auto. Il loro lavoro, pur specializzato, non era riconosciuto come tale e la Ford corrispondeva alle operaie un salario non solo non adeguato al loro livello, ma addirittura inferiore a quello degli operai maschi non specializzati. Fu così che le donne diedero il via a uno sciopero selvaggio durato tre settimane, che arrivò a bloccare l’intera produzione delle auto e che sfociò nel riconoscimento da parte del Parlamento britannico – grazie all’intervento del ministro del Lavoro Barbara Castle – del diritto alla parità retributiva. Questo importante passo sarebbe culminato nel 1970 nella promulgazione dell’Equal Pay Act, che per la prima volta vietava differenze retributive e di trattamento tra uomini e donne addetti alle medesime mansioni. Questi i fatti storici, che nulla hanno a che vedere con il fuorviante titolo utilizzato per l’edizione italiana del film, We Want Sex, che allude a uno striscione innalzato dalle operaie davanti al Parlamento, con la scritta «We want sex equality » e che un malizioso vento aveva impedito di leggere per intero. Il regista Nigel Cole, che efficacemente ha più volte saputo descrivere la realtà inglese unendo tratti drammatici a spunti da commedia, come nel caso di L’erba di Grace o di Calendar Girls, si appropria della vicenda adattandola alla narrazione cinematografica e facendone un film non solo storicamente accurato, ma anche di stringente attualità, che porta a riflettere su una tematica alla ribalta delle cronache. La vicenda storica, grazie all’invenzione del personaggio di Rita O’Grady, l’energica ispiratrice e leader dello sciopero delle operaie, che in realtà nasce dal sapiente intreccio dei tratti caratteriali di alcune delle operaie che parteciparono ai fatti del 1968, si anima trascinando lo spettatore in un crescendo di empatia con queste donne, semplici ma battagliere, ognuna con una storia con la quale è facile immedesimarsi. E dalle quali viene spontaneo trarre ispirazione per rianimare con determinazione i dibattiti su questioni che sembrano stentare, in Italia come nel resto del mondo, a portare ai risultati auspicati non solo di una parità retributiva per le donne, ma anche di una parità di dignità e di riconoscimento. Tutti elementi che, per dirla con le parole di Rita O’Grady, «sono diritti, non privilegi».
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