La nozione dei livelli essenziali concernenti le prestazioni degli utenti dei servizi sociali (LIVEAS) ha fatto ingresso nella materia dell'assistenza sociale con la L. 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, che ha costituito un evento di portata storica: per la prima volta è stata emanata una legge organica nazionale che ha posto ordine nel settore dei servizi sociali.
Nel 2001 tale nozione è entrata anche a far parte della Costituzione italiana, che, nella versione riformata dell'art. 117, c. 2, lett. m), afferma che lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». La norma mirava a garantire un livello di uguale godimento dei diritti sociali (e civili) in tutto il territorio nazionale, demandando alle Regioni la definizione delle modalità di organizzazione dei servizi e la possibilità di prevedere livelli ulteriori di assistenza.
Il concetto di «livello essenziale» era comunque da tempo presente nel nostro ordinamento sanitario con i cosiddetti livelli essenziali di assistenza (LEA), a partire dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.
Per fare un esempio, anche se limitato e immaginario, di che cosa potrebbe essere concretamente un livello essenziale, possiamo prendere in considerazione il diritto all'educazione e allo sviluppo cognitivo dei bambini e il diritto alle pari opportunità dei loro genitori. Determinando un LIVEAS a questo proposito si potrebbe stabilire che tutti i bambini fino a una determinata età (poniamo tre anni) i cui genitori rispondono a precisi requisiti (ad esempio: entrambi sono occupati lavorativamente oppure formano nuclei monogenitoriali) abbiano il diritto di accedere a servizi socio-educativi (quali asili nido, nidi-famiglia, cure prestate da baby-sitter accreditate, erogazioni monetarie per accesso a servizi privati, ecc.) che rispondono a prefissati criteri di qualità; che i loro genitori partecipino ai costi del servizio in base a criteri prefissati in modo comunque da garantire loro effettivamente l'accessibilità del servizio; che siano informati sui servizi disponibili e sostenuti nelle procedure di scelta; che abbiano a disposizione precisi strumenti (ricorsi, sanzioni a carico degli enti responsabili, ecc.) per reclamare se questo diritto è loro negato. Questo sarebbe il livello essenziale; naturalmente niente impedirebbe alle Regioni o agli altri enti locali di estendere il diritto o l'accesso a queste prestazioni anche a bambini che si trovano in altre condizioni.
Il dibattito sul termine «essenziale»
L'approvazione della normativa sopra richiamata ha suscitato un ampio dibattito sul significato da assegnare alla parola «essenziale». A riguardo si sono affermati due diversi orientamenti: il primo ritiene «essenziale» ciò che è necessario, indispensabile a soddisfare un determinato e specifico bisogno sociale, quindi strettamente dipendente dalla condizione della persona verso cui si dirige la prestazione; il secondo ritiene che significhi minimo, cioè di base, compatibilmente con le risorse finanziarie. Quest'ultima interpretazione, che àncora la definizione di essenzialità alla disponibilità di risorse economiche pubbliche, rischia di svilire la portata del citato art. 117 Cost., che svincola l'effettivo godimento dei diritti sociali dalle risorse economiche. In sanità, tra l'altro, «essenziale» è ciò che risponde ai reali bisogni di salute ed è appropriato dal punto di vista dell'efficacia clinica nella modalità di erogazione; pertanto, l'essenzialità è qualcosa di più della logica del livello minimo al di sotto del quale non è consentito andare.
In questo dibattito è intervenuto un documento del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, pubblicato nel febbraio 2004 con il titolo Livelli essenziali delle prestazioni nel settore dell'assistenza, in cui si afferma che «il nucleo essenziale del diritto ed il livello essenziale delle prestazioni non sono sinonimi, nonostante la concomitanza dell'aggettivo; in particolare nel settore dei diritti sociali il nucleo essenziale può essere considerato sinonimo di quel livello di prestazioni al di sotto del quale viene meno la garanzia costituzionale e che pertanto risulta essere un livello irrinunciabile [...]; di conseguenza il livello essenziale risulta essere qualcosa in più rispetto al livello minimo del diritto». Da ciò emerge chiaramente che la garanzia dei livelli essenziali dei diritti sociali non dovrebbe essere inficiata dalla scarsità di risorse economiche. In realtà le disposizioni legislative che hanno seguito la riforma costituzionale, a partire dalla Legge finanziaria 2003, hanno purtroppo confermato la natura finanziariamente vincolata delle prestazioni sociali, normalmente attraverso il rinvio ai limiti delle risorse del Fondo per le politiche sociali.
Un contenuto non definito
L'art. 22 della L. n. 328/2000 identifica due gradi di livelli essenziali; il primo (c. 2) è rappresentato dagli interventi che «costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale», quali misure di contrasto alla povertà e sostegno al reddito, interventi di sostegno a favore di minori, disabili, anziani, tossicodipendenti e altre categorie vulnerabili.
Il secondo grado (c. 4) è costituito dalle prestazioni la cui erogazione le leggi regionali devono comunque prevedere: «servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari; assistenza domiciliare; strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario».
Pur notevole in termini di innovazione, l'art. 22 presenta un limite: non determina il contenuto effettivo delle prestazioni, non soddisfacendo l'esigenza di garantire un diritto all'assistenza sociale uniforme in tutto il territorio nazionale, in conformità al principio di uguaglianza. Si limita infatti a una mera elencazione generale delle misure e degli interventi, demandando alla pianificazione nazionale e regionale il compito di specificare le caratteristiche e i requisiti delle prestazioni essenziali.
Il Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003, redatto a norma dell'art. 18 della L. n. 328/2000, dedica il par. 1 della Parte III ai livelli essenziali delle prestazioni sociali e individua tre dimensioni da incrociare per la determinazione dei LIVEAS: la prima concerne le aree di intervento e mira a individuare i destinatari delle prestazioni e i relativi bisogni; la seconda, riguardante la tipologia di servizi e prestazioni, risponde al quesito «livelli essenziali per erogare quali prestazioni e servizi?»; la terza riguarda i criteri organizzativi e di erogazione di servizi e prestazioni, ossia le modalità con cui i LIVEAS vengono garantiti. Il Piano Nazionale 2001-2003, tuttavia, non ha rappresentato un punto di svolta per quanto riguarda la determinazione concreta dei LIVEAS, non fornendo alcuna chiarificazione in merito alla tipologia dei servizi e delle prestazioni e limitandosi al rinvio a quanto disposto dalla L. n. 328/2000.
A distanza di dieci anni dall'approvazione della riforma costituzionale, lo Stato non ha provveduto alla determinazione legislativa dei livelli essenziali delle prestazioni a tutela dei diritti civili e sociali. Il problema è tutt'altro che teorico: la mancata definizione del suo contenuto impedisce ai titolari di un diritto di pretendere l'erogazione delle prestazioni necessarie a garantirne il godimento.
Nel corso degli anni le Regioni hanno tentato di rimediare a tale inadempienza, individuandone autonomamente (e sporadicamente) alcuni, contribuendo però allo stesso tempo a svuotare l'intento egualitario del testo costituzionale.
Le ragioni dell'inadempienza
La non attuazione della disposizione costituzionale sulla determinazione dei LIVEAS comporta numerose conseguenze, rischiando di far fallire l'intento di creare un sistema uniforme su tutto il territorio nazionale e di rendere vana la previsione di ulteriori livelli regionali. Quali sono le ragioni di questa inerzia legislativa?
A riguardo possono profilarsi diverse ipotesi. La più evocata rintraccia nella difficoltà a procedere a una standardizzazione delle prestazioni sociali un pretesto dietro cui celare il problema rappresentato dalla penuria di risorse da destinare al sistema dei servizi sociali e il timore di non essere economicamente in grado di erogare le prestazioni individuate attraverso i livelli. Una ulteriore ragione potrebbe rinvenirsi nel rapporto tra determinazione dei LIVEAS ed esigibilità dei diritti: in mancanza della definizione del contenuto, si svuota di fatto l'obbligo del soggetto pubblico di fornire le prestazioni a prescindere dalla disponibilità di risorse. La mancata determinazione dei LIVEAS sarebbe dunque legata al permanere di quell'orientamento che interpreta come finanziariamente condizionati i diritti dei destinatari delle prestazioni socioassistenziali.
L'inerzia del legislatore statale continua dunque a esplicare i propri effetti nefasti. Infatti le proclamazioni dei diritti dei destinatari dei servizi contenuti nei testi legislativi emanati di volta in volta dalle Regioni rischiano di restare mere enunciazioni formali, di scarso interesse e utilità per coloro (amministratori e operatori del privato sociale) che devono tradurle in prestazioni concretamente erogabili ed esigibili. Serve un incisivo intervento dello Stato, che, attraverso l'individuazione dei LIVEAS, funga da collante per la realizzazione di un welfare omogeneo a livello nazionale, a tutela di una uniforme garanzia dei diritti di tutti i cittadini.
Per saperne di più
BALBONI E. - BARONI B. - MATTIONI A. - PASTORI G. (edd.), Il sistema integrato di interventi e servizi sociali, Giuffrè, Milano 20072.
BALBONI E., «I livelli essenziali e i procedimenti per la loro determinazione», in Le Regioni, 6 (2003) 1183-1198.
COSTA G. (ed.), La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a confronto, Bruno Mondadori, Milano 2009.
GUALDANI A., I servizi sociali tra universalismo e selettività, Giuffrè, Milano 2007.
RANCI ORTIGOSA E. (ed.), Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni, Prospettive Sociali e Sanitarie, Milano 2009.
SIMONCINI A., «Non c'è alternativa alla leale collaborazione. Dalla Corte le prime indicazioni su regolamenti del Governo e "livelli essenziali" nelle materie regionali», in Le Regioni, 6 (2003) 1199-1218.
TORCHIA L., «Sistemi di welfare e federalismo», in Quaderni costituzionali, 4 (2002), 713-740.
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