Si avvicina l’appuntamento delle
elezioni per il Parlamento europeo,
e forse mai come in questa
occasione l’esito pare incerto, non
solo con riferimento a quali forze
politiche prevarranno alle urne, ma
anche a quale potrà essere il futuro
del progetto europeo stesso.
Questo è l’interrogativo principale
oggetto del presente volume,
che rappresenta la
trasposizione editoriale
degli interventi
dell’ultima edizione
delle “Martini lecture”,
promosse dal
Centro “C.M. Martini”
in collaborazione con
l’Università degli studi
di Milano-Bicocca e la Fondazione
Carlo Maria Martini, con
il patrocinio dell’Arcidiocesi di Milano,
tenutasi presso la stessa università
il 24 maggio 2023. In essa
sono intervenuti Giorgia Serughetti,
ricercatrice di filosofia politica
dell’Università di Milano-Bicocca,
e Gilles Gressani, presidente del
Groupe d’études géopolitiques
dell’Ecole Normale Supérieure di
Parigi e fondatore della rivista di
geopolitica le Grand Continent.
Entrambi gli interventi si concentrano
sulle recenti crisi vissute
nel continente europeo (il filosofo
francese Edgar Morin le ha riunite
efficacemente nel termine “policrisi”),
fra cui la crisi finanziaria
del 2008, la crisi dei debiti sovrani
del 2011, la cosiddetta crisi
dei rifugiati del 2015, la
più recente pandemia
e l’invasione dell’Ucraina
da parte della
Russia, che avrebbero
gradualmente
portato a un’originale
rinascita del nazionalismo
nel continente
europeo, nella sua declinazione
contemporanea del “sovranismo”.
I sovranismi sarebbero
caratterizzati in particolare dalla
crescente ostilità verso un nemico
esterno, riconosciuto nei migranti.
Curiosamente, questi nuovi
nazionalismi non sarebbero ora
interessati al fallimento tout court
del progetto europeo, quanto al
tentativo di «rendere il nazionalismo
endogeno (e non esogeno)
alla cooperazione europea», che
invece era proprio nata con l’intenzione
di «lasciarsi il nazionalismo alle spalle» (p. 25). In questo senso,
l’Europa che cerca ancora di mantenere
forme di integrazione (specialmente
economica, ma anche
nell’ambizione di esercitare una
più decisa influenza geopolitica
globale) si scontra sempre di più
con la propria “ombra”, che la vede
«rinserrata nello sciovinismo del
benessere, spaventata dalla disperazione
che preme ai suoi confini»
(p. 28). Tale visione è stata anche
forse inavvertitamente
esplicitata da alcuni
rappresentanti delle
istituzioni europee
stesse, come Josep
Borrell, Alto
rappresentante
dell’Unione per
gli affari esteri e la
politica di sicurezza,
che ha affermato che
«L’Europa è un giardino.
Abbiamo costruito un giardino.
Tutto funziona... La maggior
parte del resto del mondo è una
giungla, e la giungla potrebbe
prendere il sopravvento sul giardino
» (pp. 69-70). In questo senso,
si intravvede forse, in modo già inquietante,
la fine della felice eccezione
degli ultimi decenni, che ha
visto un’Europa finalmente libera
da conflitti dopo secoli di guerre,
a fronte di un concetto di politico
che torna oggi in tutta la sua «brutalità,
nella nudità della sua violenza
» (p. 47).
La riflessione potrebbe chiudersi
dunque in un quadro a tinte fortemente
fosche. In quest’ottica, si
apprezzano ancora di più le conclusioni
degli AA., che traggono
anche ispirazione dalle riflessioni
che il Card. Carlo Maria Martini
espresse sull’Europa, che non può
essere considerata «solo una storia
di valori da ricostruire» (p. 97),
secondo una visione nostalgica e
in definitiva irrealistica. Fondamentale
secondo loro appare più che
mai oggi uno sguardo profetico
sul futuro, capace di cogliere anche
nella realtà dell’immigrazione
«una grande occasione etica e
civile», a seconda di come sarà
governata (p. 98).
È significativo che
l’appello finale sia
dunque quello
di rinnovare la
speranza, quella
speranza che caratterizzava
i primi
passi del progetto
europeo, nato dalle
macerie di una guerra
mondiale, e che oggi
caratterizza quel sogno, che
curiosamente «oggi vive, più che
nei palazzi di Bruxelles e Strasburgo,
nel desiderio di chi attraversa
le frontiere» (p. 43).
Con questa consapevolezza, anche
le prossime elezioni europee
potrebbero diventare l’occasione
per frenare il crollo considerato
quasi ineluttabile del progetto europeo
e per dare ad esso una linfa
che sia veramente nuova e calata
in un mondo profondamente cambiato,
consapevoli, come recitano le
ultime parole del Manifesto di Ventotene
del 1941 (considerato uno
dei documenti fondanti del sogno
europeo), che «la via da percorrere
non è facile né sicura, ma deve essere
percorsa e lo sarà» (p. 35).