I due grandi esili subiti dal popolo di Israele nella storia biblica
rappresentano momenti di rottura radicale con il passato. Dopo il
grande periodo di Davide prima e di suo figlio Salomone poi, le dodici
tribù si dividono per formare due diversi Stati con due linee
monarchiche differenti: Israele e Giuda. Entrambi questi regni
subiscono la stessa sorte di sconfitta, distruzione ed esilio della
popolazione: il primo nel 722-721 a.C. per mano degli assiri, il
secondo nel 587-586 a.C. per mano dei babilonesi. Tutta la complessa
organizzazione statale, cultuale, intellettuale e burocratica viene
smantellata e nulla rimane del popolo ebraico se non in terre straniere e
nella dispersione dell’esilio. Solo con l’avvento di una nuova
superpotenza, l’impero persiano (538 a.C.), caratterizzato da una
politica più benevola verso le popolazioni sottomesse, alcuni gruppi di
giudei fanno ritorno, a ondate, nella «terra dove scorre latte e
miele». Il testo biblico focalizza l’attenzione, in una serie di testi
storici e profetici, su questo nuovo inizio, in particolare attorno ai
temi della ricostruzione del tempio, della comunità e della città di
Gerusalemme. Uno degli snodi di tale ricostruzione sociale, civile e
religiosa ha a che fare con la leadership. Quale modello di guida viene
proposto come ideale?
Nella Scrittura non troviamo trattati sul buon governo, ma siamo
messi a confronto con le vicende di personaggi concreti che, in
particolar modo nei momenti critici della storia di Israele, hanno
guidato il popolo nel suo cammino. Accanto a figure ben conosciute come
Mosè, Abramo, o i già citati Davide e Salomone, troviamo anche due
uomini particolari, Esdra e Neemia, che ci vengono presentati in due
brevi libri loro intitolati. Il laboratorio di un popolo che deve
iniziare di nuovo la formazione di uno Stato è momento particolarmente
interessante, perché pone dinanzi alla scelta della migliore tipologia
di governo. Nessuno dei due protagonisti è discendente di re, né
direttamente appartiene al “clero”. Il tema è importante e rappresenta
per noi, anche a distanza di così tanto tempo, una indicazione biblica
per la valutazione di modelli di leadership con cui confrontarci. La
particolarità dei libri di Esdra e Neemia
(originariamente un testo unico) è infatti quella di mettere in
evidenza come il popolo eletto abbia trovato un suo percorso per
ricostituirsi in modo alquanto autonomo, pur essendo una delle venti
province in cui era organizzato l’impero persiano. Il titolo stesso dei
due libri pone l’accento sulle vicende legate a questi due protagonisti
della ricostruzione. Una possibile lettura dei testi, di recente
evidenziata, sembra presentarli come due modelli contrastanti di
leadership.
Neemia: il leader carismatico
Neemia, della tribù di Giuda (la stessa di Davide e Salomone e della
linea monarchica israelitica), fu educato nel palazzo reale di Susa
(capitale dell’impero persiano) e fu nominato in gioventù all’importante
incarico di coppiere di tale palazzo. Neemia, particolarmente vicino
alla corte e forse allo stesso re Artaserse I, ottenne il permesso
reale di recarsi a Gerusalemme, assumendo l’incarico di governatore
della Giudea. Nella prima parte del libro a lui intitolato emerge il
ritratto di un leader dotato di autorità, carisma e spirito
d’iniziativa
Neemia 2, 11-18
11Giunto a Gerusalemme, vi rimasi tre giorni. 12Poi
mi alzai di notte, io e pochi uomini che erano con me, senza parlare a
nessuno di quello che Dio mi aveva messo in cuore di fare per
Gerusalemme e non avendo altro giumento oltre quello che io cavalcavo. 13Uscii
di notte per la porta della Valle e andai verso la fonte del Drago e
alla porta del Letame, osservando le mura di Gerusalemme, che erano
diroccate, mentre le sue porte erano consumate dal fuoco. […] 16
I magistrati non sapevano né dove io fossi andato né che cosa facessi.
Fino a quel momento non avevo detto nulla, né ai Giudei né ai sacerdoti
né ai notabili né ai magistrati né agli altri che si dovevano occupare
del lavoro. 17Allora io dissi loro: «Voi vedete la miseria
nella quale ci troviamo, poiché Gerusalemme è in rovina e le sue porte
sono consumate dal fuoco. Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme e
non saremo più insultati!». 18Narrai loro della mano del
mio Dio, che era benefica su di me, e riferii anche le parole che il re
mi aveva riferite. Quelli dissero: «Su, costruiamo!». E misero mano
vigorosamente alla buona impresa.
Colpisce la narrazione delle vicende in prima persona: l’“io” di
Neemia è il soggetto prevalente nei primi sei capitoli del libro. Egli è
un capo che ricorda i grandi condottieri della storia, che non ha
bisogno di collaboratori e che elabora le sue strategie sostanzialmente
da solo. Non solo tiene nascosti i suoi piani (2, 16), ma sembra
addirittura appropriarsi di prerogative non sue, esautorando le altre
figure guida della Gerusalemme post-esilica (magistrati, notabili,
sacerdoti) del loro ruolo e delle loro prerogative, per portare avanti
il suo progetto. La sua prevaricazione non pare essere percepita
come tale: forse per le necessità concrete di mettere mano alla
ricostruzione, le altre figure istituzionali obbediscono di buon grado.
In momenti di crisi è prassi antica l’affidarsi all’autorità forte,
rassicurante e paternalistica, secondo una tendenza ancora oggi molto
diffusa in Europa. Neemia, di cui si sottolinea soprattutto l’autonomia
nell’agire, incarna così questa figura autoritaria, che risolve problemi
ed è capace di farsi seguire sia dai “collaboratori” sia dal popolo (in
Neemia 3 si narra in dettaglio la partecipazione collettiva alla ricostruzione delle mura in rovina di Gerusalemme).
Esdra: una leadership condivisa
Il racconto che ha come protagonista Esdra è costruito sulla scia
del ritratto di Neemia. Esdra è uno scriba della tribù di Levi (quella
di Mosè e di Aronne, cui la classe sacerdotale ha sempre fatto
riferimento), che ha guidato il secondo contingente di ebrei rientrato
nella terra promessa nel V secolo a.C. Arriva a Gerusalemme come leader
del suo gruppo e diviene presto punto di riferimento per la
ricostruzione soprattutto morale del suo popolo.
Esdra 7, 28; 8,15-31; 9, 1; 10, 1
7, 28Allora io mi sono sentito incoraggiato, perché la
mano del Signore, mio Dio, era su di me e ho radunato alcuni capi da
Israele, perché salissero con me.
8, 15Io li ho radunati presso il fiume che scorre verso
Aavà. Là siamo stati accampati per tre giorni. Ho fatto una rassegna tra
il popolo e i sacerdoti e non vi ho trovato nessun levita.
18Poiché la mano benefica del nostro Dio era su di noi, ci hanno mandato un uomo assennato […] 24Quindi ho scelto dodici tra i capi dei sacerdoti: Serebia e Casabia e con loro dieci loro fratelli. 31Il
dodici del primo mese siamo partiti dal fiume Aavà per andare a
Gerusalemme e la mano del nostro Dio era su di noi: egli ci ha liberato
dagli assalti dei nemici e dei briganti lungo il cammino.
9, 1Terminate queste cose, sono venuti da me i preposti per
dirmi: Il popolo d’Israele, i sacerdoti e i leviti non si sono separati
dalle popolazioni locali, per quanto riguarda i loro abomini, cioè da
Cananei, Ittiti, Perizziti, Gebusei, Ammoniti, Moabiti, Egiziani,
Amorrei.
10, 1Mentre Esdra pregava e faceva questa confessione piangendo,
prostrato davanti al tempio di Dio, si riunì intorno a lui un’assemblea
molto numerosa d’Israeliti: uomini, donne e fanciulli; e il popolo
piangeva a dirotto.
Il libro di Esdra propone lo stesso stile di Neemia,
delineando una sorta di dittico che vuole mettere a confronto i due
protagonisti, sottolineandone in particolare le differenze. Ne
evidenziamo alcune più pertinenti per il tema della leadership.
Se all’inizio del suo racconto in prima persona anche Esdra rileva che la mano del mio Dio era su di me, come Neemia più volte aveva affermato (Neemia 2, 8.18), tale affermazione di solito è messa in bocca ad altri: al narratore prima (Esdra
7, 6) e al sovrano persiano poi. Ciò evidenzia come l’attestazione di
successo e di benedizione divina abbia tutt’altro significato se
confermata da altri, rispetto all’autocelebrazione operata da Neemia. In
secondo luogo, in Esdra 8, 18 e 8, 31 si nota il passaggio dalla
prima persona singolare alla prima persona plurale: Esdra parla a nome
di un gruppo di persone (la mano benefica del nostro Dio era su di noi).
Sembra una piccola differenza ma nei testi letterari, soprattutto in
quelli biblici, i particolari sono importanti e mettono in risalto la
diversa prospettiva con cui vengono presentati i due leader.
Nelle azioni di cui Esdra è protagonista – come si può vedere nei testi
proposti nel riquadro – viene spesso sottolineata la tendenza a
condividere il ruolo di guida con chi gli sta attorno. Le azioni che
egli intraprende sono innanzitutto volte a creare un gruppo di
collaboratori che condivida il suo ruolo di leader, con la conseguenza
che, a differenza di Neemia, Esdra diviene polo di attrazione per altri:
sono venuti da me i preposti per dirmi… si riunì intorno a lui
un’assemblea molto numerosa d’Israeliti: uomini, donne e fanciulli
(9, 1 e 10, 1). In un altro testo, tutto il popolo si raduna attorno a
Esdra per comprendere le parole della Torah donate da Dio al popolo, un
tempo attraverso Mosè e ora per mezzo di Esdra stesso: Allora tutto
il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta
delle Acque e disse allo scriba Esdra di portare il libro della legge di
Mosè, che il Signore aveva dato a Israele. Il secondo giorno i capi di
casato di tutto il popolo, i sacerdoti e i leviti si radunarono presso
lo scriba Esdra per esaminare le parole della legge (Neemia 8, 1.13).
Il popolo al centro
Il dittico è completo: da una parte un leader autoritario e
autosufficiente, dall’altra un capo che delega, condivide e mette in
atto una sorta di attrazione virtuosa, che non lega a sé ma conduce ad
ascoltare e interrogare la Legge di Dio, cioè Dio stesso. Il testo così
com’è stato tramandato presenta implicitamente una valutazione sul
modo di essere leader. Certamente sia Esdra sia Neemia hanno raggiunto
dei risultati, e in qualche modo paiono essere complementari nel
ricostituire i pilastri dell’identità di Israele dopo l’esilio: tempio,
popolo di Dio e Torah. Tuttavia dal modo in cui vengono presentati è
evidente come il testo accordi una preferenza per il modo d’agire di
Esdra. Lo si desume da almeno due fattori: oltre alle sfumature nella
narrazione, che tendono a presentare Esdra come più sensibile alle
esigenze comunitarie, anche i cambiamenti redazionali apportati al
testo giocano un ruolo significativo. Innanzitutto se, come sostengono
vari studiosi (tra cui Eskenazi T. C., In an Age of Prose. A Literary Approach to Ezra-Nehemiah,
Scholars Press, Atlanta 1988), i capitoli su Esdra sono stati aggiunti
in un secondo momento a quelli di Neemia, il contrasto tra la figura
collaborativa di Esdra e l’autoritario Neemia balza subito agli occhi.
Esdra, leader al servizio del popolo e attento a coinvolgerlo nelle
decisioni da prendere, mediatore delle parole di Dio per il popolo, è
presentato nel racconto e poi sparisce. Riappare poi in seguito come
capofila di una delle due processioni per consacrare le mura restaurate
di Gerusalemme. È un leader, per così dire, “dispensabile”. La sua
personalità è funzionale, nel racconto, al cammino del popolo, a
differenza di Neemia che pretende di celebrare la sua importante scesa
in campo per guidare il popolo in tempi così difficili.
La centralità del popolo appare diverse volte, in particolare proprio
nella sezione che vede Esdra come personaggio principale, dove si nota
un progressivo canalizzarsi dell’attenzione dal leader al popolo (solo
come esempio: in Esdra 10, 1 uno dei temi centrali del
post-esilio, la ricostituzione della comunità giudaica, ha al centro il
popolo e non il suo leader). La tendenza osservata nel racconto di
Esdra in prima persona trova infatti un’ulteriore conferma nel racconto
“più oggettivo” del narratore. Quando il lettore giungerà a Neemia 6, 2-8 o 6, 19, con il suo rifiuto di ogni tipo di negoziato, o al brano che chiude il libro (cfr Neemia
13, 14.31) con l’enfasi con cui egli ricorda le proprie opere, non
potrà che giudicarne negativamente la figura, dal momento che è
condotto a confrontarla con quella di Esdra, colui che guida attraverso
l’esempio, la persuasione e il coinvolgimento decisionale.
L’attenzione al popolo piuttosto che alle personalità dell’uno o
dell’altro leader sottolinea così la preferenza dei testi biblici per
una partecipazione attiva alla costruzione della società civile e
politica. Tale sbilanciamento scritturistico ci propone una volta di
più l’invito a una politica centrata sul ruolo di mediazione dei
leader, con lo sguardo fisso verso il fine del bene comune del popolo,
piuttosto che sull’enfasi individualistica e spettacolarizzata del
premier di turno.