Leadership

Fascicolo: luglio-agosto 2012

I due grandi esili subiti dal popolo di Israele nella storia biblica rappresentano momenti di rottura radicale con il passato. Dopo il grande periodo di Davide prima e di suo figlio Salomone poi, le dodici tribù si dividono per formare due diversi Stati con due linee monarchiche differenti: Israele e Giuda. Entrambi questi regni subiscono la stessa sorte di sconfitta, distruzione ed esilio della popolazione: il primo nel 722-721 a.C. per mano degli assiri, il secondo nel 587-586 a.C. per mano dei babilonesi. Tutta la complessa organizzazione statale, cultuale, intellettuale e burocratica viene smantellata e nulla rimane del popolo ebraico se non in terre straniere e nella dispersione dell’esilio. Solo con l’avvento di una nuova superpotenza, l’impero persiano (538 a.C.), caratterizzato da una politica più benevola verso le popolazioni sottomesse, alcuni gruppi di giudei fanno ritorno, a ondate, nella «terra dove scorre latte e miele». Il testo biblico focalizza l’attenzione, in una serie di testi storici e profetici, su questo nuovo inizio, in particolare attorno ai temi della ricostruzione del tempio, della comunità e della città di Gerusalemme. Uno degli snodi di tale ricostruzione sociale, civile e religiosa ha a che fare con la leadership. Quale modello di guida viene proposto come ideale?
Nella Scrittura non troviamo trattati sul buon governo, ma siamo messi a confronto con le vicende di personaggi concreti che, in particolar modo nei momenti critici della storia di Israele, hanno guidato il popolo nel suo cammino. Accanto a figure ben conosciute come Mosè, Abramo, o i già citati Davide e Salomone, troviamo anche due uomini particolari, Esdra e Neemia, che ci vengono presentati in due brevi libri loro intitolati. Il laboratorio di un popolo che deve iniziare di nuovo la formazione di uno Stato è momento particolarmente interessante, perché pone dinanzi alla scelta della migliore tipologia di governo. Nessuno dei due protagonisti è discendente di re, né direttamente appartiene al “clero”. Il tema è importante e rappresenta per noi, anche a distanza di così tanto tempo, una indicazione biblica per la valutazione di modelli di leadership con cui confrontarci. La particolarità dei libri di Esdra e Neemia (originariamente un testo unico) è infatti quella di mettere in evidenza come il popolo eletto abbia trovato un suo percorso per ricostituirsi in modo alquanto autonomo, pur essendo una delle venti province in cui era organizzato l’impero persiano. Il titolo stesso dei due libri pone l’accento sulle vicende legate a questi due protagonisti della ricostruzione. Una possibile lettura dei testi, di recente evidenziata, sembra presentarli come due modelli contrastanti di leadership.

Neemia: il leader carismatico

Neemia, della tribù di Giuda (la stessa di Davide e Salomone e della linea monarchica israelitica), fu educato nel palazzo reale di Susa (capitale dell’impero persiano) e fu nominato in gioventù all’importante incarico di coppiere di tale palazzo. Neemia, particolarmente vicino alla corte e forse allo stesso re Artaserse I, ottenne il permesso reale di recarsi a Gerusalemme, assumendo l’incarico di governatore della Giudea. Nella prima parte del libro a lui intitolato emerge il ritratto di un leader dotato di autorità, carisma e spirito d’iniziativa

Neemia 2, 11-18
11Giunto a Gerusalemme, vi rimasi tre giorni. 12Poi mi alzai di notte, io e pochi uomini che erano con me, senza parlare a nessuno di quello che Dio mi aveva messo in cuore di fare per Gerusalemme e non avendo altro giumento oltre quello che io cavalcavo. 13Uscii di notte per la porta della Valle e andai verso la fonte del Drago e alla porta del Letame, osservando le mura di Gerusalemme, che erano diroccate, mentre le sue porte erano consumate dal fuoco. […] 16 I magistrati non sapevano né dove io fossi andato né che cosa facessi. Fino a quel momento non avevo detto nulla, né ai Giudei né ai sacerdoti né ai notabili né ai magistrati né agli altri che si dovevano occupare del lavoro. 17Allora io dissi loro: «Voi vedete la miseria nella quale ci troviamo, poiché Gerusalemme è in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco. Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme e non saremo più insultati!». 18Narrai loro della mano del mio Dio, che era benefica su di me, e riferii anche le parole che il re mi aveva riferite. Quelli dissero: «Su, costruiamo!». E misero mano vigorosamente alla buona impresa.

Colpisce la narrazione delle vicende in prima persona: l’“io” di Neemia è il soggetto prevalente nei primi sei capitoli del libro. Egli è un capo che ricorda i grandi condottieri della storia, che non ha bisogno di collaboratori e che elabora le sue strategie sostanzialmente da solo. Non solo tiene nascosti i suoi piani (2, 16), ma sembra addirittura appropriarsi di prerogative non sue, esautorando le altre figure guida della Gerusalemme post-esilica (magistrati, notabili, sacerdoti) del loro ruolo e delle loro prerogative, per portare avanti il suo progetto. La sua prevaricazione non pare essere percepita come tale: forse per le necessità concrete di mettere mano alla ricostruzione, le altre figure istituzionali obbediscono di buon grado. In momenti di crisi è prassi antica l’affidarsi all’autorità forte, rassicurante e paternalistica, secondo una tendenza ancora oggi molto diffusa in Europa. Neemia, di cui si sottolinea soprattutto l’autonomia nell’agire, incarna così questa figura autoritaria, che risolve problemi ed è capace di farsi seguire sia dai “collaboratori” sia dal popolo (in Neemia 3 si narra in dettaglio la partecipazione collettiva alla ricostruzione delle mura in rovina di Gerusalemme).

Esdra: una leadership condivisa

Il racconto che ha come protagonista Esdra è costruito sulla scia del ritratto di Neemia. Esdra è uno scriba della tribù di Levi (quella di Mosè e di Aronne, cui la classe sacerdotale ha sempre fatto riferimento), che ha guidato il secondo contingente di ebrei rientrato nella terra promessa nel V secolo a.C. Arriva a Gerusalemme come leader del suo gruppo e diviene presto punto di riferimento per la ricostruzione soprattutto morale del suo popolo.

Esdra 7, 28; 8,15-31; 9, 1; 10, 1
7, 28Allora io mi sono sentito incoraggiato, perché la mano del Signore, mio Dio, era su di me e ho radunato alcuni capi da Israele, perché salissero con me.
8, 15Io li ho radunati presso il fiume che scorre verso Aavà. Là siamo stati accampati per tre giorni. Ho fatto una rassegna tra il popolo e i sacerdoti e non vi ho trovato nessun levita.
18
Poiché la mano benefica del nostro Dio era su di noi, ci hanno mandato un uomo assennato […] 24Quindi ho scelto dodici tra i capi dei sacerdoti: Serebia e Casabia e con loro dieci loro fratelli. 31Il dodici del primo mese siamo partiti dal fiume Aavà per andare a Gerusalemme e la mano del nostro Dio era su di noi: egli ci ha liberato dagli assalti dei nemici e dei briganti lungo il cammino.
9, 1
Terminate queste cose, sono venuti da me i preposti per dirmi: Il popolo d’Israele, i sacerdoti e i leviti non si sono separati dalle popolazioni locali, per quanto riguarda i loro abomini, cioè da Cananei, Ittiti, Perizziti, Gebusei, Ammoniti, Moabiti, Egiziani, Amorrei.
10, 1
Mentre Esdra pregava e faceva questa confessione piangendo, prostrato davanti al tempio di Dio, si riunì intorno a lui un’assemblea molto numerosa d’Israeliti: uomini, donne e fanciulli; e il popolo piangeva a dirotto.

Il libro di Esdra propone lo stesso stile di Neemia, delineando una sorta di dittico che vuole mettere a confronto i due protagonisti, sottolineandone in particolare le differenze. Ne evidenziamo alcune più pertinenti per il tema della leadership. Se all’inizio del suo racconto in prima persona anche Esdra rileva che la mano del mio Dio era su di me, come Neemia più volte aveva affermato (Neemia 2, 8.18), tale affermazione di solito è messa in bocca ad altri: al narratore prima (Esdra 7, 6) e al sovrano persiano poi. Ciò evidenzia come l’attestazione di successo e di benedizione divina abbia tutt’altro significato se confermata da altri, rispetto all’autocelebrazione operata da Neemia. In secondo luogo, in Esdra 8, 18 e 8, 31 si nota il passaggio dalla prima persona singolare alla prima persona plurale: Esdra parla a nome di un gruppo di persone (la mano benefica del nostro Dio era su di noi). Sembra una piccola differenza ma nei testi letterari, soprattutto in quelli biblici, i particolari sono importanti e mettono in risalto la diversa prospettiva con cui vengono presentati i due leader. Nelle azioni di cui Esdra è protagonista – come si può vedere nei testi proposti nel riquadro – viene spesso sottolineata la tendenza a condividere il ruolo di guida con chi gli sta attorno. Le azioni che egli intraprende sono innanzitutto volte a creare un gruppo di collaboratori che condivida il suo ruolo di leader, con la conseguenza che, a differenza di Neemia, Esdra diviene polo di attrazione per altri: sono venuti da me i preposti per dirmi… si riunì intorno a lui un’assemblea molto numerosa d’Israeliti: uomini, donne e fanciulli (9, 1 e 10, 1). In un altro testo, tutto il popolo si raduna attorno a Esdra per comprendere le parole della Torah donate da Dio al popolo, un tempo attraverso Mosè e ora per mezzo di Esdra stesso: Allora tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque e disse allo scriba Esdra di portare il libro della legge di Mosè, che il Signore aveva dato a Israele. Il secondo giorno i capi di casato di tutto il popolo, i sacerdoti e i leviti si radunarono presso lo scriba Esdra per esaminare le parole della legge (Neemia 8, 1.13).  

Il popolo al centro

Il dittico è completo: da una parte un leader autoritario e autosufficiente, dall’altra un capo che delega, condivide e mette in atto una sorta di attrazione virtuosa, che non lega a sé ma conduce ad ascoltare e interrogare la Legge di Dio, cioè Dio stesso. Il testo così com’è stato tramandato presenta implicitamente una valutazione sul modo di essere leader. Certamente sia Esdra sia Neemia hanno raggiunto dei risultati, e in qualche modo paiono essere complementari nel ricostituire i pilastri dell’identità di Israele dopo l’esilio: tempio, popolo di Dio e Torah. Tuttavia dal modo in cui vengono presentati è evidente come il testo accordi una preferenza per il modo d’agire di Esdra. Lo si desume da almeno due fattori: oltre alle sfumature nella narrazione, che tendono a presentare Esdra come più sensibile alle esigenze comunitarie, anche i cambiamenti redazionali apportati al testo giocano un ruolo significativo. Innanzitutto se, come sostengono vari studiosi (tra cui Eskenazi T. C., In an Age of Prose. A Literary Approach to Ezra-Nehemiah, Scholars Press, Atlanta 1988), i capitoli su Esdra sono stati aggiunti in un secondo momento a quelli di Neemia, il contrasto tra la figura collaborativa di Esdra e l’autoritario Neemia balza subito agli occhi.
Esdra, leader al servizio del popolo e attento a coinvolgerlo nelle decisioni da prendere, mediatore delle parole di Dio per il popolo, è presentato nel racconto e poi sparisce. Riappare poi in seguito come capofila di una delle due processioni per consacrare le mura restaurate di Gerusalemme. È un leader, per così dire, “dispensabile”. La sua personalità è funzionale, nel racconto, al cammino del popolo, a differenza di Neemia che pretende di celebrare la sua importante scesa in campo per guidare il popolo in tempi così difficili.
La centralità del popolo appare diverse volte, in particolare proprio nella sezione che vede Esdra come personaggio principale, dove si nota un progressivo canalizzarsi dell’attenzione dal leader al popolo (solo come esempio: in Esdra 10, 1 uno dei temi centrali del post-esilio, la ricostituzione della comunità giudaica, ha al centro il popolo e non il suo leader). La tendenza osservata nel racconto di Esdra in prima persona trova infatti un’ulteriore conferma nel racconto “più oggettivo” del narratore. Quando il lettore giungerà a Neemia 6, 2-8 o 6, 19, con il suo rifiuto di ogni tipo di negoziato, o al brano che chiude il libro (cfr Neemia 13, 14.31) con l’enfasi con cui egli ricorda le proprie opere, non potrà che giudicarne negativamente la figura, dal momento che è condotto a confrontarla con quella di Esdra, colui che guida attraverso l’esempio, la persuasione e il coinvolgimento decisionale.
L’attenzione al popolo piuttosto che alle personalità dell’uno o dell’altro leader sottolinea così la preferenza dei testi biblici per una partecipazione attiva alla costruzione della società civile e politica. Tale sbilanciamento scritturistico ci propone una volta di più l’invito a una politica centrata sul ruolo di mediazione dei leader, con lo sguardo fisso verso il fine del bene comune del popolo, piuttosto che sull’enfasi individualistica e spettacolarizzata del premier di turno.

Ultimo numero
Leggi anche...

Rivista

Visualizza

Annate

Sito

Visualizza