Il 20 maggio 2020 la Commissione europea ha adottato due strategie che hanno l’ambizione di proporre una risposta integrale alle sfide poste dal conseguimento di sistemi alimentari sostenibili, che riconoscano i legami inscindibili tra persone sane, società sane e un pianeta sano: la prima è intitolata Una strategia “dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente; mentre la seconda va sotto il nome di Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030. Riportare la natura nella nostra vita.
Si collocano entrambe nel processo di attuazione del programma della nuova Commissione europea (cfr. Riggio G., «La nuova Commissione europea» in Aggiornamenti Sociali, 10 [2019] 693-694) e del Green Deal europeo (cfr. cfr Simonato A., «Il Green Deal europeo», in Aggiornamenti Sociali, 4 [2020] 340-341). Rappresentano, inoltre, un elemento centrale dell’agenda della Commissione anche per il conseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (cfr Simonato A., «Verso un’Europa sostenibile entro il 2030», in Aggiornamenti Sociali, 5 [2019] 428-429).
Le due strategie incorporano l’esperienza dell’emergenza da COVID-19, sottolineando, da un lato, l’importanza di un sistema alimentare europeo solido e resiliente, che sia sempre in grado di assicurare ai cittadini un approvvigionamento sufficiente di alimenti a prezzi accessibili e un reddito dignitoso agli agricoltori; dall’altro la maggiore consapevolezza delle interrelazioni tra la nostra salute, gli ecosistemi, le catene di approvvigionamento, i modelli di consumo e i limiti del pianeta.
La strategia Farm to Fork (F2F) (in italiano: “dal produttore al consumatore”), in particolare, rappresenta il primo tentativo di proporre una politica agroalimentare integrata, anziché frammentata in “settori” (agricoltura, ambiente, salute, commercio, consumo, energia, ecc.), oggetto di misure, regole, e interventi che rischiano di essere disorganici, quando non addirittura incoerenti tra di loro.
Le due strategie sono articolate in obiettivi specifici (es. sicurezza dell’approvvigionamento; pratiche sostenibili nei settori della trasformazione alimentare, del commercio all’ingrosso e al dettaglio; agevolare il passaggio a regimi alimentari sani e sostenibili; riportare la natura nei terreni agricoli; soluzioni a somma positiva per la produzione di energia, ecc.), per ciascuno dei quali vengono forniti alcuni dati e dei target misurabili.
Gli obiettivi e i target, riferiti al 2030, sono molti, diversificati, al momento non cogenti. Ad esempio: −50% impiego fitofarmaci, −20% utilizzo fertilizzanti, −50% antibiotici negli allevamenti, 25% terreni dedicati ad agricoltura biologica, 10% delle superfici messe a riposo, ecc.
Entrambe le strategie prevedono un piano d’azione per rendere concreto il perseguimento degli obiettivi, che comprende l’adozione di proposte legislative da parte della Commissione europea, l’integrazione dei target proposti nei documenti legislativi già oggetto di discussione da parte del Parlamento e del Consiglio della UE, la creazione di un sistema di monitoraggio e valutazione dei progressi verso i target, un maggiore coordinamento tra le autorità europee, al loro interno e con quelle nazionali, rispetto ad alcuni temi (per es. le frodi alimentari).
I documenti della Commissione hanno suscitato reazioni molto differenti: i target proposti sono stati valutati come ambiziosi, eccessivi, o troppo timidi.
L’esame delle strategie evidenzia alcuni nodi cruciali per la loro efficace attuazione. Il primo riguarda il coinvolgimento dei soggetti interessati, a partire dalle comunità agricole, che a loro volta fanno parte delle comunità delle aree rurali. La Commissione afferma che è importante lavorare di concerto con tali comunità per incentivare la transizione verso un nuovo modello di sviluppo, ma, almeno fino a oggi, il loro coinvolgimento non appare particolarmente significativo. Emergono poi interrogativi, in particolare riguardo all’impatto sui costi di produzione e alla coerenza tra i tempi per l’adeguamento e la disponibilità degli strumenti e le risorse per attuarlo. Infine, è necessario trovare un punto di equilibrio tra l’obiettivo di favorire la transizione, compresa quella degli interlocutori che finora l’hanno osteggiata o ritardata per trarne vantaggio competitivo, e il rischio di sfavorire proprio chi tale transizione l’ha già in tutto o in parte compiuta.
Un secondo nodo concerne la coerenza di queste nuove strategie con la Politica agricola comune 2021-2027 già in discussione (cfr. A. Simonato, «La Politica agricola comune per la programmazione 2021-2027», in Aggiornamenti Sociali, 3 [2020] 254-256), per non rischiare di disallineare strumenti, risorse e obiettivi e rendere più faticosi tutti i processi. Un terzo nodo riguarda infine la concorrenza tra Stati membri, a partire dalle specificità e differenziazioni che ne caratterizzano il settore primario e i prodotti agroalimentari. Tale elemento emerge, ad esempio, nelle regole da adottare in tema di etichettatura, per fornire ai consumatori le informazioni per compiere le proprie scelte alimentari. Esistono indicazioni nutrizionali che categorizzano i singoli alimenti come “buoni” o “cattivi” per la salute tramite un indicatore sintetico come un colore, e altre che invece consentono di comprendere il contributo reale dell’alimento a una dieta complessivamente equilibrata. Il primo sistema, sostenuto da vari Stati, viene contestato da altri perché conduce, ad esempio, a indicare come “cattivi” prodotti DOP e alimenti tradizionali della dieta mediterranea.
La ricerca del punto di equilibrio tra le componenti della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) passa necessariamente per un serrato confronto tra i differenti interessi e visioni in gioco, che informi e coinvolga cittadini, formazioni sociali e istituzioni a tutti i livelli.