Le politiche per le imprese

Se cerchiamo di analizzare i programmi elettorali delle coalizioni in lizza dall’angolo visuale delle politiche per le imprese, ci troviamo di fronte a un compito nient’affatto semplice. Anche confinando la nostra attenzione ai quattro contendenti principali (coalizione di centrodestra, coalizione di centrosinistra, Movimento 5 Stelle e cosiddetto Terzo polo), è possibile notare notevoli difformità: in alcuni le politiche per le imprese sono esaminate in maniera specifica, mentre in altri sono trattate all’interno di più ampi capitoli.

 

Cerchiamo di effettuare quest’analisi partendo da ciò che si legge nei quattro programmi.

  1. Coalizione di centrodestra. Dei 15 punti o schede, quello più direttamente rilevante è il n. 8, dal titolo: «Difesa del lavoro, dell’impresa e dell’economia». A partire dal «taglio del cuneo fiscale in favore di imprese e lavoratori» (previsto anche da tutte le altre coalizioni), la maggioranza delle proposte riguarda il mercato del lavoro, in maniera diretta o indiretta. Incentivi sono previsti per l’«imprenditoria femminile e giovanile, in particolare nelle aree depresse». Si parla, inoltre, di «facilitazione per l’accesso al credito per famiglie e imprese». Si propone, infine, l’«innalzamento del limite all’uso del denaro contante, allineandolo alla media dell’UE». Altri paragrafi ove rintracciare qualche altro spunto sono i nn. 10 («Made in Italy, cultura e turismo») e 11 («La sfida dell’autosufficienza energetica»). Ma è soprattutto il n. 2 («Infrastrutture strategiche e utilizzo efficiente delle risorse europee») che rivela l’impostazione tradizionale di questo programma: il concetto di competitività è agganciato alla realizzazione di grandi infrastrutture fisiche, come l’alta velocità ferroviaria e il ponte sullo Stretto. Il n. 14 («Scuola, università e ricerca») è un breve elenco senza particolari approfondimenti, fatta una parziale eccezione per l’«allineamento ai parametri europei degli investimenti nella ricerca».

  2. Coalizione di centrosinistra. Le politiche per le imprese sono parte integrante del primo dei tre pilastri nei quali la piattaforma programmatica della coalizione si articola: «Sviluppo sostenibile e transizioni ecologica e digitale». In sintesi il testo esprime così l’approccio che lo guida: «Imprese: Per sostenere il sistema produttivo nella transizione ecologica e digitale una nuova politica industriale e incentivi mirati su internazionalizzazione e innovazione»; si parla poi diffusamente di politiche volte a «trasformare e rendere più solido l’intero tessuto produttivo e sociale del Paese». La «transizione 4.0» è esplicitamente menzionata, e così pure gli investimenti «nella ricerca e nell’innovazione per superare le inefficienze e i problemi strutturali di bassa produttività del Sistema Italia». Il primo pilastro va integrato con quanto proposto nel secondo, «Lavoro, conoscenza e giustizia sociale»: grande enfasi è accordata all’investimento sulla scuola, con tanto di cifre (10 miliardi per «aumento degli stipendi degli insegnanti, edilizia scolastica sostenibile, mense, libri e trasporti pubblici gratis per gli studenti con redditi medi e bassi»), mentre altre linee d’azione fondamentali, quali la ricerca di base e applicata, non godono dello stesso livello di dettaglio.

  3. Movimento 5 Stelle. Il programma del M5S è articolato in oltre venti schede, con alcuni punti illustrati e altri solo enunciati. Qui più direttamente rilevanti sono quelle intitolate «Dalla parte delle imprese: per garantire liquidità e agevolare gli investimenti» e «Dalla parte delle nuove tecnologie: per un paese digitale e moderno». Troviamo innanzitutto il «potenziamento e la stabilizzazione decennale di Transizione 4.0», cui segue una serie di misure per il «potenziamento del fondo salvaguardia imprese» e per «contrastare le delocalizzazioni». Nella parte sulle nuove tecnologie, emerge la «definizione di una piano industriale basato sulle tecnologie strategiche per il futuro», fra le quali intelligenza artificiale, semiconduttori, scienze della vita. Anche in questo caso, le proposte riguardanti le politiche per le imprese vanno integrate con quelle contenute nella scheda «Per la formazione: perché scuola, università e ricerca sono le fondamenta della nostra società». Come nel programma del centrosinistra, si propone l’adeguamento degli stipendi degli insegnanti ai livelli europei, ma senza indicare cifre, mentre restano del tutto generiche proposte come l’«aumento dei fondi per università e ricerca».

  4. Terzo Polo. Si tratta di un testo articolato in venti paragrafi tematici. Il primo è dedicato a «Produttività e crescita», che si apre con parole che non potrebbero essere più chiare: «Il Piano 4.0 realizzato dall’allora Ministro Carlo Calenda con il Governo Renzi è stata la principale iniziativa di politica industriale degli ultimi 30 anni». Seguono proposte per «facilitare la crescita dimensionale delle imprese», «stimolare l’innovazione tecnologica e gli investimenti» (a partire dal ripristino e rafforzamento del Piano Industria 4.0), il «completamento delle riforme sulla concorrenza». Più avanti, nel paragrafo «Innovazione, digitale, space economy», si parla espressamente di «sviluppare competenze e leadership in settori strategici» come cybersicurezza e intelligenza artificiale. Una attenzione specifica è riservata alla space economy data la sua importanza per ragioni di collocazione geopolitica, di sviluppo economico e industriale, di benefici per il cittadino e la società. La scheda su «Scuola, Università e ricerca» è molto dettagliata nella parte dell’analisi e può servire a farsi un’idea più compiuta delle politiche per le imprese. Accanto alle potenzialità offerte dal PNRR – citate da tutti e quattro i programmi –, qui la proposta più mirata sembra essere l’aumento degli investimenti in ricerca di base e applicata fino al raggiungimento di «un ulteriore punto percentuale» del PIL, così da allinearci alla media europea.

Abbiamo evidenziato come alcuni punti appaiano in vari o in tutti i programmi esaminati. Inoltre, come vari commentatori hanno già notato, ciò che accomuna tutti i programmi è la mancanza di indicazioni sulle “coperture”, cioè sul reperimento delle risorse necessarie all’attuazione di gran parte delle misure proposte: risulta perciò impossibile qualunque valutazione del grado di realizzabilità delle stesse.

 

A un altro livello, la lettura sinottica delle quattro principali piattaforme elettorali consente di individuare alcuni segnali di un cambio di paradigma che in un’ottica di lungo periodo appare certamente significativo. Pare ragionevole affermare che siamo usciti dall’impostazione neoliberista che caratterizzava l’approccio noto come “pensiero unico” o Washington consensus. Dopo i due anni di pandemia e in presenza di una guerra nel cuore dell’Europa con tutto il loro seguito di emergenze (umane, sanitarie, economiche), nessuna forza politica pensa che privatizzazioni e deregolamentazioni – per decenni presentate come la panacea per ogni crisi – possano bastare. Si riapre dunque uno spazio di azione per la “mano pubblica” all’interno del sistema economico, ma la genericità dei programmi e il fatto che in questo ambito ai nobili pronunciamenti facciano spesso seguito comportamenti dettati da interessi particolari non consente di valutare ex ante in che misura si pensi a uno “Stato arbitro” e in che misura a uno “Stato giocatore”. Per ora dobbiamo limitarci a constatare un certo grado di attenzione verso interventi di modernizzazione del sistema socioeconomico del Paese che possano consentire un recupero di produttività e di competitività a livello internazionale: è questo l’obiettivo di fondo del PNRR e dei due strumenti – non solo riforme, ma anche investimenti pubblici – che articola al suo interno.

 

A riprova di un rinnovato interesse per il ruolo della “mano pubblica” è il revival della politica industriale – qualche anno fa considerata ormai obsoleta – in molte parti del mondo, a partire dall’UE. Ne troviamo traccia anche nei programmi elettorali: su quattro di quelli esaminati, in tre (centrosinistra, M5S e Terzo polo) si parla esplicitamente di nuova politica industriale e di investimenti in settori e tecnologie strategici. È un (piccolo) passo in avanti rispetto agli anni in cui l’intera classe dirigente nazionale si limitava a ripetere il mantra «Siamo la seconda manifattura d’Europa dopo la Germania», senza che ne conseguissero scelte strategiche. Invece, quella che è legittimo considerare una posizione d’onore va coltivata con pazienza e competenza. Gli investimenti in conoscenza, tecnologie abilitanti e settori strategici rappresentano le principali linee di intervento in tutti quei Paesi che praticano con saggezza la nuova politica industriale. Il nostro posto è lì, in una stretta collaborazione con Francia e Germania, da ampliare in direzione della Spagna.

 

 

Franco Mosconi
Docente di Economia industriale, Università di Parma, Cattedra Jean Monnet, <franco.mosconi@unipr.it> </franco.mosconi@unipr.it>

14 settembre 2022
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