Le idi di marzo
George Clooney
USA 2011, 01 Distribution, drammatico, 101'
Elezioni primarie del Partito democratico, Ohio, Stati Uniti. Un giovane si avvicina a un microfono e
pronuncia una vera e propria professione di fede: «Non sono cristiano, non sono ateo, non sono ebreo e
nemmeno musulmano. La mia religione, ciò in cui io mi riconosco, è la sola Costituzione degli Stati Uniti
d’America». La scena si apre improvvisamente, si accendono le luci e ci viene mostrata una sala vuota. Sono
solo prove per un discorso pubblico, il protagonista non è un politico, ma l’addetto stampa di uno dei due
candidati. Dopo questo breve preludio, i titoli di testa e l’introduzione della colonna sonora annunciano
l’inizio della pellicola.
Questa scena iniziale si costituisce come un patto narratoriale tra lo spettatore e il regista. Il “What I believe
in” (ciò in cui credo) pronunciato dal protagonista Stephen suona come una professione di fede non solo del
protagonista ma anche dello spettatore. Per entrare ne Le idi di marzo, sembra dirci il regista, è necessario
credere in qualcosa; solo facendo proprio lo sguardo del personaggio principale è possibile proseguire
attraverso la vicenda, rimanerne segnati o colpiti solo in minima parte. Ed è proprio in Stephen che si
compirà tutto il film, la cui traiettoria sarà l’asse portante del lavoro. Al quarto film da regista, George
Clooney riprende in mano il discorso sulla politica e sul potere, già affrontato in Confessioni di una mente
pericolosa, sulle elezioni primarie democratiche di Howard Dean nel 2004, una campagna che diventò un
caso unico per l’impatto che ebbero i mezzi di comunicazione alternativi.
Ne Le idi di marzo i personaggi aspirano a diventare veri e propri archetipi del proprio tempo: l’addetto
stampa, il responsabile della campagna, il politico, la stagista. Ogni personaggio, più che da un nome è
introdotto dalla sua funzione sociale. Ma per capire a fondo il meccanismo tragico del film è necessario
calarsi nella realtà americana e nei suoi miti fondativi, in particolare quello della parola data. Il sistema
giuridico statunitense – è questa una delle differenze maggiori dal modello latino – affida alla parola e ai
patti verbali validità giuridica: nei tribunali non è concesso mentire e nelle campagne elettorali è ugualmente
vietato asserire il falso, pena il pubblico disprezzo. Paul rappresenta nel film proprio l’incarnazione del
sistema di valori americani, la legge – la sua moneta è la lealtà, come testimonierà a Stephen nella scena del
licenziamento – a cui tutti devono sottostare. Stephen in questa tragedia contemporanea incarna lo spirito di
hybris, la sovversione, il tradimento. Ma il castigo tipico della tragedia classica non arriverà mai nel film, il
sovvertimento dello status morale porterà invece al successo il giovane addetto stampa, il quale, rinnegati i
valori del discorso iniziale, cinto delle armi del ricatto e del sopruso, sarà condannato – come lo sguardo
finale lascia intuire – a vivere dentro se stesso il rimorso e il rimpianto di quanto accaduto.
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