Le due Napoli
Scritti di Domenico Pizzuti. Un gesuita sociologo
Domenico Pizzuti
Giannini, Napoli 2011, pp. 322, € 20
Èla raccolta di oltre vent’anni di attività gesuita sociologo», p. Domenico Pizzuti, che osserva e analizza la realtà napoletana da un punto di vista privilegiato, che è il luogo in cui vive: Scampia. Si tratta, pertanto, di testi di un A. fisicamente partecipe alle vicende di cui scrive. Lo si sente dal tono appassionato e privo di timore reverenziale con cui interpella i lettori, chiamando al senso di responsabilità civica tutti gli attori sociali, ma in particolar modo le istituzioni civili e religiose. La vis polemica di Pizzuti sembra animata dalla trasposizione, in campo politico e sociale, della famosa domanda che Kant si poneva in ambito etico e religioso: «Cosa posso sperare?». È un interrogativo a cui molti, nel caso di Napoli, ormai rispondono: «Nulla». Sartre ebbe a scriverne: «È una città in putrefazione. L’amo e ne ho orrore» (pp. 9-10). Ben diversa, invece, è la risposta di questo gesuita: in lui l’orrore ha ceduto il posto all’indignazione, che si trasforma in rabbia per l’inerzia, l’inefficienza colpevole, le contraddizioni del tessuto sociale di Napoli. Perciò, anche le sue parole più accese «só sempe parole d’ammore». E la passione politica e sociale non può accontentarsi di rimandare razionalmente al futuro l’attesa di giustizia e felicità, deve scoprire cosa si può realisticamente sperare ora. Di conseguenza, una seconda domanda sembra celata negli scritti di P. Pizzuti, raccolti in sei sezioni: forse che il malgoverno, Gomorra, i rom, una religiosità esteriore e addomesticata, Scampia, i rifiuti sono come una nuvola che getta la sua ombra sul «Paese d’o sole», trasformandolo nella «notte in cui tutte le vacche sono nere»? No, «Le due Napoli» si possono riconoscere, anche se sono mescolate: Scampia ne è il simbolo, con i suoi “lotti” e i suoi “parchi”. Per una ragione che vuol fare luce nel sociale, «la salvezza è possibile non con il sottogoverno camuffato da opposizione ma con le opere; è possibile, cioè, educare-salvare anche il rom, il camorrista, il borghese deviante, e i plebei subacculturati dei quartieri e delle periferie » (p. 7). «Sentinella, quanto resta della notte?» (p. 23).
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