Le campagne elettorali al tempo della networked politics

Cristopher Cepernich
Laterza, Roma-Bari 2017, pp. VIII+166, € 18
Scheda di: 
Fascicolo: febbraio 2018

Come si evolvono le campagne elettorali? Quali forme – inedite o recuperate dal passato – assume la complessa e controversa relazione tra politica e comunicazione, tra ricerca del consenso e utilizzo dei media nell’odierno contesto delle società digitali? A queste e ad altre domande dello stesso tenore tenta di rispondere Cristopher Cepernich, docente all’Università di Torino e direttore dell’Osservatorio sulla Comunicazione politica e pubblica, ricostruendo il lungo percorso delle tecniche e dei metodi adottati nel corso dei decenni dagli staff elettorali dei principali Paesi occidentali.

A suo parere siamo entrati in una fase nuova, definita “della post-medialità”, che si caratterizza per il «recupero del fattore umano come spina dorsale delle campagne elettorali» (p. VII) ed è figlia dell’affermazione del nuovo paradigma della “network society”, la società delle reti teorizzata dal sociologo Manuel Castells. Dopo l’esaurirsi della fase di una mediatizzazione eccessiva e pervasiva, che estendeva le proprie logiche sull’intero sistema politico, oggi la politica tende sempre più a strutturarsi intorno a reticoli organizzativi e comunicativi, fondati da un lato sull’individualismo e dall’altro sulla «urgenza di ricostituire i legami sociali di prossimità attraverso il contatto diretto nelle comunità territoriali» (p. 20) tra cittadini e politici, tra elettori e candidati. Nell’epoca del declino delle ideologie e dei partiti, ciò che rimane inalterata è la necessità per la politica di dotarsi di strumenti di organizzazione, ricercando il consenso anche e soprattutto attraverso relazioni strutturate orizzontalmente. Ne sono esempi efficaci, in questo senso, le campagne elettorali che hanno portato Barack Obama a conquistare per due volte la carica di Presidente degli Stati Uniti (2008 e 2012), ma anche i casi più recenti del movimento En marche di Emanuel Macron in Francia o l’inattesa conquista della leadership del Partito laburista britannico da parte del “socialista” Jeremy Corbyn.

Il volume di Cepernich si snoda attraverso un percorso che dallo scenario macro e da un punto di vista sistemico delle forme di campagna arriva fino al particolare, all’analisi puntuale ed efficace delle dinamiche relazionali e organizzative su cui si fonda la conquista del consenso nell’era delle reti. Nel primo capitolo sono ricostruite le fasi storiche del rapporto tra media e politica in campagna elettorale, con particolare riferimento all’ormai consolidato concetto di permanent campaign, la “campagna permanente” individuata da Sidney Blumenthal all’inizio degli anni ’80 come strategia irrinunciabile per incrementare il proprio consenso (anche) attraverso l’azione governativa, nei fatti il primo strumento di comunicazione per ottenere la conferma per un mandato successivo.

Nei successivi capitoli sono affrontati gli aspetti organizzativi delle campagne elettorali contemporanee, soffermandosi su alcuni concetti chiave della società digitale: da un lato la disintermediazione, ovvero la progressiva erosione del ruolo dei corpi intermedi e il conseguente (presunto) avvicinamento – non privo di contraddizioni – tra cittadini e attori politici; dall’altro la professionalizzazione, caratteristica sempre più imprescindibile in un ambiente digitale che necessita di approcci, abilità e competenze specifiche.

Nell’ultima parte del volume, infine, l’A. s’immerge nelle più diffuse pratiche di comunicazione elettorale che contraddistinguono questa fase storica. In particolare, sono individuate almeno due tecniche strategiche che meritano di essere osservate attentamente. In primo luogo, il cosiddetto Get out the vote (GOTV), una formula intraducibile che significa qualcosa di simile a “fuori il voto” o “caccia al voto” e che sottintende «l’andare a prendersi i voti sul campo uno ad uno, cittadino per cittadino, elettore per elettore» (p. 92). La strategia GOTV affonda le radici negli anni ’20 e nella fortunata e pionieristica intuizione del politologo statunitense Harold Gosnell, ripresa poi all’inizio degli anni Duemila dagli studi di Donald Green e Alan Gerber. Il suo cuore, secondo Cepernich, consiste nella stringente necessità di riattivare meccanismi di comunicazione interpersonale in grado di garantire – stando almeno ai risultati presi ad esempio dal volume rispetto ad alcune recenti campagne elettorali statunitensi – mobilitazione e partecipazione elettorale. Dall’attivazione sistematica dei meccanismi di GOTV nella politica americana, intensificatisi a partire dal 2004, infatti, è stato appurato da diversi studi come «l’incremento dell’affluenza ai seggi […] rifletta il crescente investimento in attività porta-a-porta e telefonate fatte dai volontari ai cittadini per sensibilizzare circa l’importanza del recarsi alle urne o la bontà dell’offerta politica di un candidato» (p. 92).

Il secondo elemento di novità consiste nella tecnica del ground game, ovvero nella traduzione pratica della strategia di ri-mobilitazione dell’elettorato potenziale. Si tratta di un’attività di campagna sul campo, composta da diversi pezzi e momenti, da assemblare in un’azione il più possibile omogenea e coordinata. Diverse sono le componenti – politiche e professionali – che delineano l’universo degli attori del ground game: dagli staff ai consulenti (che nell’esperienza anglosassone vengono chiamati war room), dalla rete di militanti e volontari di partito ai soggetti collettivi (di tipo associativo o territoriale) «disponibili alla mobilitazione e al supporto del candidato» (p. 119). Cepernich porta come esempio l’esperienza sul campo effettuata nel corso delle elezioni amministrative del 2016 a sostegno della rielezione, poi sfumata, di Piero Fassino a sindaco di Torino. Riferendosi a questo caso specifico, elenca una serie di precondizioni essenziali e necessarie a una conduzione il più possibile efficace della mobilitazione sul campo. In primo luogo, l’importanza di una logica decisionale che sappia farsi influenzare e guidare dai big data (l’insieme di tecnologie e metodologie che analizzano una grande mole di dati); questa indicazione riconosce l’irrinunciabilità di un approccio scientifico alla campagna elettorale, dall’individuazione delle questioni principali ai potenziali portatori d’interesse, e allo stesso tempo di «una radicata cultura del dato e una solida cultura digitale» (p. 120). Altre precondizioni consistono in avanzate capacità e competenze di tipo organizzativo, tecnologico e logistico; in una politica contemporanea svuotata dalle passioni ideologiche del passato, «il ground game costituisce in sé un fattore di facilitazione per l’interconnessione tra nodi di rete […] superando il limite implicito in strutture chiuse di tipo burocratico» (p. 121). Ecco allora che la comunicazione centralizzata tipica della fase della mediatizzazione lascia il posto a sofisticati strumenti di civic engagement (impegno civile), community management (gestione di una comunità on line), grassroots marketing (una strategia comunicativa che si focalizza su alcune persone chiave e non generale), nuovi elementi che rivoluzionano non solo il vocabolario, ma l’essenza stessa delle campagne elettorali.

In definitiva, la stagione della networked politics modifica la politica (e la sua comunicazione) verso una struttura meno verticistica e sempre più reticolare, confermandosi quale terreno prezioso e insostituibile per la sperimentazione di pratiche innovative in termini di mobilitazione e ricerca del consenso. All’interno di questo scenario, le campagne elettorali mostrano la necessità di un approccio nuovo, pienamente digitale nel senso ontologico del termine. Di qui l’individuazione da parte dell’A. di tre assunti base, tipici della trasformazione in atto: la campagna digitale come recupero della centralità delle relazioni, spina dorsale del nuovo processo di riaggregazione di identità frammentate e disperse; l’impatto della cultura digitale e collaborativa sulle pratiche organizzative più che sugli strumenti e le strategie di comunicazione; il prolungamento temporale delle azioni di civic engagement, con il passaggio – efficacemente descritto – da una “campagna permanente” a una “politica permanente”. Tutti elementi che hanno in comune la vera novità, dalla portata per certi versi rivoluzionaria, della comunicazione politica del nuovo millennio, ovvero «la reintroduzione della centralità del fattore umano all’interno dei dispositivi di campagna e, di conseguenza, dei processi democratici» (p. 147). Una sorta di ritorno al passato con metodi, strumenti e approcci moderni figli della società digitale; quanto anche la politica italiana, nel pieno di una nuova campagna elettorale per le politiche del 2018, saprà adeguarsi e rispondere a tali mutamenti, è un interrogativo che nelle prossime settimane, alla luce delle evidenze che emergeranno dalle strategie delle singole forze politiche, potrà essere sciolto con maggiore chiarezza.

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