Quando ha annunciato di voler portare sul grande schermo la storia dell’obiettore di coscienza austriaco Franz Jägerstätter (1907-1943), giustiziato dopo aver rifiutato di giurare fedeltà al Führer e beatificato nel 2007, il regista statunitense Terrence Malick ha anche rivelato l’intenzione di tornare a una narrazione più classica e lineare. E di abbandonare, dunque, lo stile lirico e non consequenziale che aveva distinto i suoi ultimi lavori, da The Tree of Life a To The Wonder, passando per Knight of Cups e Song to Song. Si trattava di montaggi liberi di immagini evocative, accompagnate dalle voci fuori campo dei protagonisti, che davano allo spettatore l’impressione di accedere a un racconto filtrato dalla coscienza di uno o più personaggi. Eppure questo singolare stile narrativo, dopo aver conquistato la critica internazionale, ha mostrato una certa ripetitività. Attorno a La vita nascosta - Hidden Life, annunciato come un momento di svolta nella carriera di Malick, si è dunque creata una forte attesa da parte del pubblico cinefilo e il film è stato immediatamente accolto in competizione al Festival di Cannes del 2019, dove si è aggiudicato il Premio della Giuria ecumenica.
Benché svoltasi in Austria, la vicenda al centro di La vita nascosta - Hidden Life è stata ricostruita in Germania e soprattutto in Italia, tra le montagne dei Comuni altoatesini di Bressanone e Brunico e quello di Sappada in Friuli. È in questi paesaggi bucolici, infatti, che Malick ha voluto ambientare gli ultimi anni di vita di Jägerstätter, contadino cresciuto nel piccolo villaggio di St. Radegund. Lui e la moglie Franziska hanno vissuto una vita semplice con le loro tre bambine. Anche quando Franz ha dovuto lasciare la sua famiglia per un addestramento militare, la sua vita quotidiana non è stata del tutto sconvolta, perché, con la resa della Francia, l’uomo è stato rimandato a casa. Ma, col prolungarsi e il dilagare del conflitto, Jägerstätter e gli altri uomini del villaggio sono stati chiamati a combattere e a giurare fedeltà ad Adolf Hitler e al Terzo Reich. Solo Franz, sorretto nella sua decisione dalla profonda fede che lo contraddistingueva, ha rifiutato l’imposizione, pur sapendo che questa scelta lo avrebbe condotto alla morte.
Si potrebbe partire dal titolo elaborato da Malick per individuare una prima chiave di lettura del film. Si parla infatti di “vita nascosta”, con una multipla valenza. Da un lato, a livello individuale, Jägerstätter auspicherebbe che la sua esistenza, condotta in armonia con le persone e la natura che lo circondano, rimanesse sconosciuta a chi sta reclutando nuove leve per perseguire disegni sanguinari e contrari alla sua morale. Per questo, in un primo momento, la strada percorsa dalla sua obiezione di coscienza è quella della negazione, da intendersi non come una manifestazione aperta e aggressiva di dissenso, ma come una risposta negativa agli ufficiali del Terzo Reich, che lo raggiungono a casa per chiedergli un contributo economico per le forze militari tedesche. Come viene mostrato in una scena del film, Jägerstätter non sente il bisogno di motivare e argomentare il suo rifiuto, dal momento che non procede con intento dimostrativo. Eppure, il suo gesto suona così forte e solitario, da essere inteso come una forma provocatoria di ribellione all’ideale nazista. Il concetto di “vita nascosta” tornerà poi nel momento in cui il protagonista acquisirà la consapevolezza di poter ricevere una chiamata alle armi da un giorno all’altro. È in quel frangente disperato che Franziska gli propone di scappare dal villaggio, i cui abitanti sono ormai ostili nei loro confronti, per condurre un’esistenza segreta nei boschi con le loro bambine. Se la coercizione del regime non aveva scalfito le sue certezze, la possibilità di una salvezza per il suo nucleo familiare ha invece il potere di mandare per la prima volta in crisi Jägerstätter. Ma è proprio di fronte a questa opzione che la sua coscienza dovrà levarsi ancora più forte, per condurlo sul sentiero più difficile, quello del sacrificio. C’è una frase che torna più volte in La vita nascosta - Hidden Life, e che racchiude la domanda principale posta dalla storia di quest’uomo. La pronunciano in momenti diversi il vescovo, l’avvocato e il giudice militare: «Credi di cambiare il corso delle cose? Di quello che accade qui non si saprà nulla fuori». L’idea di una vita nascosta torna dunque in questa accezione problematica, come esistenza singola e trascurabile alla quale la grande Storia è totalmente indifferente. Che senso può avere, in quest’ottica, il sacrificio di un uomo che non compie gesti eclatanti e che vive una situazione di assoluta marginalità rispetto al potere e ai teatri di guerra? Quale potrebbe essere il significato di un martirio che per diverso tempo resterà sconosciuto? La sfida e il paradosso che Malick ha scelto di affrontare come regista ruotano proprio attorno al mistero che ha sempre circondato la vita di Jägerstätter e la sua scelta personale. È possibile dedicare una grande produzione internazionale destinata a fare il giro del mondo a una persona che ha voluto sacrificarsi nel silenzio, senza tradirne i valori?
È da questa domanda che dovrebbe prendere avvio anche un’analisi del linguaggio usato da Malick per raccontare la vicenda. Dicevamo, in apertura, di una narrazione più lineare rispetto alle precedenti di questo regista. Forse è proprio questa la prima dimostrazione di profonda adesione e vicinanza al martire Franz Jägerstätter e ai suoi ideali. È come se Malick avesse deciso di porre un limite alla propria libertà creativa, alla potenza trasformativa del suo sguardo, per garantire una ricostruzione più fedele della storia, nella quale la cronologia gioca un ruolo importante. Perché l’assunzione di responsabilità di Jägerstätter è un moto progressivo, che acquisisce a ogni colpo, a ogni prova (come il carcere e l’isolamento), una nuova e più vigorosa fermezza. Fino al momento del martirio, che Malick racconta in una sequenza di rara intensità, inserendo un gesto del tutto inaspettato e all’apparenza insignificante. Mentre attende la sua ora, Franz riceve un flebile bacio sulla guancia da un ragazzo tremebondo che sta vivendo la sua stessa angoscia. Dopo un istante di esitazione, il protagonista ricambia il gesto con fare paterno, mettendo per qualche secondo da parte la paura. Ancora una volta, sembra dirci Malick, e con un gesto quasi invisibile e privato, l’umano riesce a riscattarsi e ad affermare l’amore, l’empatia, su un mondo diventato incapace di sentire il dolore dell’altro. È proprio attraverso queste lievi epifanie, facendo riemergere questo sottotesto sommerso dalla grande Storia, che Malick è in grado di illuminare la figura di Jägerstätter e al contempo di rispettarne il mistero. Ed è in quest’ottica che la vicenda risuona di grande attualità anche da un punto di vista laico, perché, oltre al cammino di fede, la parabola di Franz pone al centro il suo profondo senso di responsabilità personale. Un concetto decisivo nella nostra società, nella quale il protagonismo che sta plasmando la scena politica, insieme alla realtà virtuale alla quale stiamo sempre più sacrificando la nostra vita concreta, spingono verso una concezione inversa: «Mi vedono, dunque esisto». La prima conseguenza di questa ossessione per la visibilità e per l’appagamento narcisistico del proprio ego è l’incapacità di assumere delle responsabilità, in ambito familiare e sociale. Soprattutto se questo implica andare controcorrente e compiere scelte che non godono di popolarità presso la grande platea mediatica in cui siamo immersi. O se comporta un impegno silenzioso, che non dovrebbe essere esposto e ostentato a suon di “like” e facili consensi.
Su un altro fronte, La vita nascosta - Hidden Life è il racconto di un’autentica storia d’amore. Perché a comporre la drammaturgia del film sono soprattutto gli scambi epistolari tra Franz e Franziska – resi attraverso le voci fuori campo dei due interpreti – incorniciati dal loro “paradiso in terra”: le montagne, con gli immancabili campi di grano battuti dal vento (leitmotiv di tutto il cinema malickiano), le tenerezze e i giochi delle bimbe. Le loro parole, intersecandosi, svelano un’ulteriore profondità nella scelta di Franz, maturata anche grazie a questo dialogo profondo con la moglie, con cui ha condiviso fino all’ultimo le proprie decisioni. E poi, come in molti dei film di Malick, oltre alle cose degli uomini – e dunque la Storia, la terra e i sentimenti – si staglia il cielo, che in La vita nascosta - Hidden Life è una sorta di coprotagonista. Le inquadrature, effettuate sempre con grandangoli molto accentuati, sembrano “schiacciare” i personaggi verso il suolo, ma allo stesso tempo descrivono movimenti in ascesa verso le nubi o il chiarore del mattino. Come a dire di un dialogo che Jägerstätter, attento coltivatore della terra, sa mantenere con il disegno più vasto entro cui si inscrive la storia dell’uomo. È solo a partire da questa consapevolezza che Franz può amare ed esercitare il proprio libero arbitrio. Due atti che il nostro tempo mette spesso in contraddizione, ma che lui ha saputo al contrario armonizzare con il suo sacrificio silenzioso.