La vigna di Naboth
Una relazione solidale tra chi acquista e chi produce
Ambrogio
a cura di Maria Grazia Mara
EDB, Bologna 2015, pp. 136, € 13,50
«La storia di Naboth è antica per età, ma nel costume è quotidiana. Quale ricco, infatti, non desidera ogni giorno avidamente i beni altrui? […] Chi è mai contento di quel che ha?» (p. 61): con questa osservazione, amara e lucida allo stesso tempo, Ambrogio di Milano inizia il suo commento alla storia del re Acab e del suo desiderio di entrare in possesso della vigna che appartiene al suo suddito Naboth, raccontata nel capitolo 21 del Primo libro dei Re.
Per Ambrogio il racconto biblico non è solo un episodio della storia di Israele, ma la descrizione di alcune dinamiche che possono dominare il cuore umano: la cupidigia, l’avarizia, la ricerca del potere e l’abuso nel suo esercizio, l’accaparramento e l’accumulo di beni al di là del proprio bisogno, sottraendoli così ad altri… Come si intuisce chiaramente leggendo le pagine del breve testo, le riflessioni di Ambrogio maturano nel confronto continuo con la situazione sociale e politica del suo tempo interpretate alla luce della Bibbia (Ambrogio non commenta solo il brano di Naboth, ma anche la parabola dell’uomo ricco e del raccolto abbondante in Luca 12,16-21).
Il vescovo di Milano ragiona sulla ricchezza e la povertà e si interroga in che cosa consista l’una e l’altra, quale ricchezza va ricercata, come impiegare la ricchezza materiale che si possiede, facendo ricorso anche a un linguaggio forte per scuotere i suoi lettori («Tieni presente che i tuoi tesori non li possiedi da solo: li possiede con te la tignola, li possiede la ruggine che corrode il denaro», p. 106).
L’invito di fondo che percorre il testo è di affrancarsi da una schiavitù – essere posseduti dalle cose e non essere possessori di cose – per poter riconoscere che la ricchezza va condivisa e non accumulata. Una riflessione che non perde di attualità pur essendo stata scritta nel IV secolo e che può essere ancor meglio apprezzata grazie alla documentata introduzione della curatrice Maria Grazia Mara e alle note che accompagnano il testo ambrosiano.
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