La terra sotto i piedi

Chiara Tintori
Non accenna a diminuire, anzi. Il consumo di suolo in Italia continua a crescere in modo significativo: tra il 2008 e il 2013 il fenomeno ha riguardato mediamente 55 ettari al giorno, con una velocità compresa tra i 6 e i 7 m2 di territorio che sono stati irreversibilmente persi ogni secondo. Perché preoccuparsi? Leggiamo nel Rapporto Il consumo di suolo in Italia 2015 dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che “il suolo è una risorsa fondamentale per l’uomo. Per sua natura al centro di un sistema di relazioni tra uomo e cicli naturali che assicurano il sostentamento della vita, è non solo riserva di biodiversità, ma anche base per la produzione agricola e zootecnica, per lo sviluppo urbano e degli insediamenti produttivi, per la mobilità di merci e persone, per il benessere ed il godimento dei valori estetici” (p. III). Basti pensare che un solo ettaro di terreno assorbe 3,8 milioni di litri d’acqua e che, se viene cementificato, la stessa quantità d’acqua deve essere incanalata in scoli e infrastrutture varie.

Il nostro territorio subisce l’invasione costante di nuovi centri commerciali e direzionali, residenze, capannoni industriali, magazzini, strade, autostrade, parcheggi, cave comportando la perdita di aree agricole e naturali ad alto valore ambientale. Tra l’altro tutte queste costruzioni non sono giustificate da analoghi aumenti della popolazione e delle attività economiche.
Ma non siamo soli. Se l’ONU ha proclamato il 2015 Anno internazionale del suolo, con il titolo “Un suolo sano per una vita sana” è per aumentare la consapevolezza mondiale dei diversi ruoli importanti che la parte più superficiale di terreno ricopre per la salute dell’uomo e del Pianeta.

Poiché si tratta di un bene non rinnovabile, non ci resta che promuovere un uso più sostenibile del suolo. Sì, ma come? Se da un lato è auspicabile che l’ennesimo disegno di legge in materia completi presto il suo iter parlamentare così da poter contare su strumenti politici certi ed efficaci, dall’altro sarebbe bello sottrarre dal ricatto degli oneri di urbanizzazione i bilanci dei nostri Comuni. A meno di non attendere il prossimo evento climatico intenso e tornare a far sedere sul banco degli imputati il dissesto idrogeologico.
Che l’Italia non vuole essere una Repubblica fondata sul cemento lo sanno e ce lo dimostrano quegli amministratori locali liberi dall’incanto delle speculazioni edilizie, che sanno recuperare e valorizzare l’immenso patrimonio immobiliare già esistente.
4 giugno 2015
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