Inventata poco più di un secolo fa, la plastica è tra i materiali che più caratterizzano il nostro stile di vita e sistema produttivo. Facilità di lavorazione e versatilità, resistenza e proprietà come isolante a tanti livelli, insieme ad altre qualità, fanno sì che essa sia impiegata in modo vantaggioso in svariati settori (imballaggio, edilizia, trasporti, sanità, cosmetici, giusto per citarne alcuni). I materiali plastici sono però tra i maggiori responsabili dell’inquinamento per le tecniche di produzione usate, la tossicità degli elementi liberati quando sono bruciati in fase di smaltimento, i danni provocati se abbandonati nell’ambiente. Particolarmente grave è la situazione dei mari: la plastica costituisce l’80% dei rifiuti che vi si raccolgono. Preoccupa anche la diffusione delle microplastiche, piccoli frammenti che non superano i 5 millimetri, per le ripercussioni che possono avere sulla biodiversità marina e sulla salute. In definitiva, la dispersione nell’ambiente dei prodotti in plastica, spesso usati solo una volta e non adeguatamente riciclati o smaltiti, costituisce una causa di degrado ambientale, una minaccia per la salute e uno spreco economico.
Quando si parla di plastica l’Unione Europea (UE) svolge un ruolo importante. Sul piano economico, essa è il secondo produttore mondiale dopo la Cina e nel settore produttivo della plastica operano quasi 60mila imprese, con oltre un milione e mezzo di lavoratori (cfr Plastics – the Facts 2016). Ma i Paesi europei sono anche tra i maggiori responsabili della produzione di rifiuti plastici (25,8 milioni di tonnellate all’anno), con un tasso di riciclo del 30%, ritenuto ancora troppo basso. Con l’obiettivo di coniugare salvaguardia dell’ambiente, tutela della salute ed esigenze economiche del settore produttivo, da alcuni anni la UE si è mossa per migliorare il trattamento dei rifiuti plastici e ridurre l’uso, ad esempio, di buste e sacchetti di plastica (direttiva 2015/720/EU). La recezione di quest’ultima direttiva in Italia è all’origine della polemica scoppiata a inizio anno per l’introduzione del pagamento dei sacchetti leggeri usati per l’acquisto di frutta e verdura. La normativa europea non imponeva questa soluzione agli Stati membri, ma li lasciava liberi di scegliere le misure ritenute più idonee per limitarne l’uso. Con la sua decisione il Governo italiano ha fatto “emergere” un costo già esistente, legato a produzione e smaltimento dei sacchetti, in precedenza sostenuto dalle aziende della grande distribuzione e dagli esercenti e poi “scaricato” sui consumatori in modo non percepibile, attraverso l’aumento dei prezzi degli alimenti.
Dal gennaio 2018 le iniziative in questo campo sono inserite nella cornice più ampia dell’economia circolare (cfr nota a fine paragrafo) dalla Strategia europea per la plastica in un’economia circolare (COM[2018] 28 final). Questa propone «una nuova economia della plastica», la cui filosofia di fondo consiste nell’allungarne il ciclo vitale attraverso il riuso e la riparazione, oltre ad accrescerne il riciclo e promuovendo il ricorso a materiali più sostenibili. Investimenti mirati a rinnovare i materiali e le tecniche di produzione determineranno benefici sia per il sistema economico sia per l’ambiente e la qualità di vita. Questa scelta è ritenuta strategica perché costituisce un contributo concreto all’adempimento degli impegni assunti dalla UE alla COP21 di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici e si colloca nel quadro degli Obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 delle Nazioni Unite.
L’economia circolare nella UE
Nel 2015 la Commissione europea ha pubblicato un piano d’azione sull’economia circolare significativamente intitolato L’anello mancante
(COM[2015] 614 final), visto che il pacchetto di iniziative presentate
si propone di “chiudere il cerchio” del ciclo di vita dei prodotti,
incrementandone il riciclaggio e il riutilizzo. L’obiettivo finale è di
accrescere la sostenibilità dell’economia europea, ridurne quanto più
possibile l’impatto ambientale e assicurarne al contempo la
competitività a livello globale.
Proprio il 2030 è indicato nel documento della Commissione come l’anno di riferimento per raggiungere una serie di obiettivi. Ne ricordiamo alcuni: rendere riutilizzabili o riciclabili in modo sostenibile gli imballaggi di plastica sul mercato europeo; innalzare la quota di rifiuti di plastica riciclati dal 30% al 50%; far crescere il mercato per i prodotti in plastica riciclata o innovativa; ridurre le emissioni di CO2 e la dipendenza dall’energia fossile grazie ai passi avanti nel riciclo e riuso; contrastare la diffusione nelle acque delle microplastiche e diminuire la plastica abbandonata nell’ambiente; ridurre il numero di buste di plastica monouso usate annualmente a 90 per persona nel 2019 e a 40 nel 2026.
Raggiungere questo insieme di obiettivi richiede una larga cooperazione da parte dei soggetti coinvolti (operatori della catena industriale della plastica, cittadini, istituzioni locali e nazionali degli Stati membri) e il ricorso a diversi strumenti. Per realizzarli, la Commissione fa leva da un lato sulla revisione della legislazione già esistente, come la direttiva sull’imballaggio (94/62/EC), o l’adozione di nuove norme, come la direttiva sui rifiuti portuali (COM[2018] 33); dall’altro punta sugli investimenti nelle infrastrutture e nell’innovazione, dato che la crescita del riciclo della plastica passa per un nuovo modo di progettare i materiali e i prodotti. Oltre alle risorse già presenti in alcuni fondi e programmi europei (i Fondi strutturali, Horizon 2020), sono stati stanziati altri 100 milioni di euro da qui al 2020.
Il progetto delineato dalla Commissione è ambizioso per gli obiettivi e per l’approccio integrato ipotizzato per raggiungerli. Si tratta, infatti, di instaurare al contempo nuove modalità di produzione, che hanno un impatto sul sistema economico, e di sostenere cambiamenti negli stili di vita e nelle scelte di acquisto dei cittadini. Al di là degli strumenti legislativi e finanziari, il successo dell’iniziativa si gioca perciò sulla capacità di costruire una maggiore consapevolezza ai vari livelli interessati (istituzioni pubbliche, imprese, cittadini) perché la prospettiva della circolarità nell’economia diventi una realtà.
(Grazie a EuropeInfos puoi leggere una sintesi di questo articolo anche in inglese, francese e tedesco)