Il modello di sviluppo praticato dagli anni ’80 in poi è sempre più considerato una via incapace di generare un benessere equo e sostenibile. Lo evidenziano le sfide ambientali e socioeconomiche che siamo chiamati ad affrontare con urgenza: effetti dei cambiamenti climatici, degrado del suolo e dell’ecosistema, dipendenza da fonti non rinnovabili e non sostenibili, aumento della popolazione, sicurezza alimentare e nutrizionale, insufficienza dei posti di lavoro. Di recente l’Agenda 2030 (Simonato A., «Verso un’Europa sostenibile entro il 2030», in Aggiornamenti sociali, 5 [2019] 428-429) e l’Accordo di Parigi sul clima hanno definito a livello globale alcuni obiettivi per rispondere a queste sfide, interpellando le comunità locali, nazionali e mondiali sul modo di conseguirli nei prossimi decenni. Tra le soluzioni individuate vi è anche la bioeconomia, attuata secondo un approccio circolare: si tratta di quell’insieme di attività che permette, ad esempio, di trasformare le alghe in carburante, riciclare la plastica, produrre mobili e capi di abbigliamento a partire dai rifiuti, ricavare fertilizzanti a base di biomassa dai sottoprodotti industriali.
Il principale documento dell’Unione Europea (UE) in questo ambito è la Strategia europea per la bioeconomia del 2012, aggiornato di recente dalla Commissione Juncker. La Commissione ha perfezionato l’impianto strategico e individuato 14 azioni concrete, avviate nel 2019, che coinvolgono la Commissione, gli Stati membri e i portatori di interessi (Commissione Europea, Una bioeconomia sostenibile per l’Europa: rafforzare il collegamento tra economia, società e ambiente, COM[2018] 673). La strategia aggiornata propone tre ambiti di azione principali: rafforzare e aumentare progressivamente i settori biologici, liberare investimenti e mercati; realizzare rapidamente bioeconomie locali in Europa; comprendere i limiti ecologici della bioeconomia.
Sono molti i motivi per cui la bioeconomia è considerata un settore strategico. Innanzi tutto abbraccia tutte le catene di valore che si basano su risorse biologiche rinnovabili di terra e mare, quali colture, foreste, pesci, animali e microrganismi, per produrre e riutilizzare materiali ed energia. In un mondo in cui nel 2050 la popolazione sarà aumentata del 30% rispetto a oggi e i cambiamenti climatici si ripercuoteranno in modo impattante sugli ecosistemi e sull’uso del suolo, l’agricoltura e la silvicoltura praticate nei territori della UE non potranno limitarsi a fornire cibo, mangimi e fibre sufficienti e adeguate, ma saranno chiamate a sostenere anche altri elementi fondamentali per il nostro modello di vita, quali i settori dell’energia, dell’industria e delle costruzioni (cfr Commissione Europea, Un pianeta pulito per tutti, COM[2018] 773). La bioeconomia circolare si presenta inoltre come un’opportunità per la creazione di posti di lavoro e la nascita di nuovi modelli: in particolare, è considerata un settore essenziale per stimolare la crescita nelle aree rurali e costiere, spesso oggetto di fenomeni di spopolamento. Uno degli obiettivi della politica agricola comune (PAC) per il periodo di programmazione 2021-2027 è, per questi motivi, di promuovere l’occupazione, la crescita, l’inclusione sociale e lo sviluppo locale nelle aree rurali, comprese la bioeconomia e la silvicoltura sostenibile.
Non mancano, tuttavia, le criticità. Le nuove catene di valore della bioeconomia possono causare cambiamenti radicali nelle comunità, nei territori, nei sistemi socioecologici a seguito dei mutamenti strutturali prodotti (domanda di mercato di materie prime, impianti industriali di grandi dimensioni per la trasformazione delle risorse biologiche, l’ingresso di nuovi attori storicamente non legati al mondo della produzione di materie prime, sviluppi tecnologici).
Per tutti questi motivi una transizione verso una bioeconomia sostenibile, inclusiva e circolare è un processo che non può essere governato solo da mercati e tecnologie: la Commissione ha individuato tra gli ambiti di azione anche il miglioramento della base di conoscenze e la comprensione di specifici ambiti della bioeconomia (azione 3.1), tramite l’acquisizione di una più ampia quantità di dati, di informazioni migliori e di un’analisi sistemica (ad esempio grazie all’intelligenza artificiale), includendo valutazioni trasversali fra vari settori, nonché l’elaborazione di modelli e scenari. Le conoscenze acquisite saranno utilizzate per fornire orientamento facoltativo per la gestione della bioeconomia, entro limiti ecologici sicuri (azione 3.3).
Di fronte all’urgenza di rivedere le relazioni tra sistema umano e ambientale a livello planetario, la bioeconomia costituisce un prezioso raccordo tra il presente e il futuro, a cui porre la necessaria attenzione affinché si strutturi in modo adeguato e non conflittuale rispetto agli obiettivi ambiziosi che gli vengono affidati. Su questo piano le istituzioni europee sono un luogo importante dove comunità e interessi differenti hanno la possibilità di individuare ciò che unisce nel generare un futuro sostenibile e inclusivo per tutti.
La Strategia nazionale per la bioeconomia
La Strategia nazionale per la bioeconomia è un documento di cui l’Italia si è dotata nel 2017, in dialogo con la Commissione Europea, quale declinazione della Strategia europea. L’attuale Governo ha ravvisato l’opportunità di aggiornare la strategia nazionale, anche al fine di adeguarla al nuovo piano di finanziamento della ricerca e innovazione europea (Horizon Europe) e di facilitarne l’attuazione creando un apposito tavolo di coordinamento nazionale (<http://cnbbsv.palazzochigi.it/it/comunicazione/notizie/incontro-la-strategia-italiana-per-la-bioeconomia>). La bioeconomia italiana è la terza in Europa, dopo Germania e Francia, con un fatturato annuo di circa 330 miliardi di euro e 2 milioni di posti di lavoro. Il nostro Paese è, inoltre, il secondo Stato membro per la ricerca e l’innovazione e spesso il primo in termini di ricchezza in biodiversità e di prodotti innovativi e di qualità immessi sul mercato.