ArticoloOsservatorio
La società civile entra in carcere
Nel contesto sempre più agitato della politica contemporanea, emerge
come una forza potente e controversa il populismo penale,
come si identifica a livello scientifico con cui si identifica la deriva
giustizialista che interessa la discussione pubblica sul carcere e che si
manifesta in una chiara tendenza politica all’inasprimento delle pene, con
il complemento della creazione di nuovi reati (cfr Riggio 2024). Provvedimenti
come il “Decreto Cutro”, il “Decreto Rave” o il nuovo Codice della
strada recentemente approvato rappresentano un’espressione compiuta di
questo fenomeno: offrono rimedi emergenziali a questioni sociali problematiche,
efficaci solo dal punto di vista comunicativo ed emotivo, ma non
agiscono in profondità sulle cause.
A fronte di questa tendenza politica, nel corso degli anni si è sviluppato
un composito settore di organizzazioni della società civile più o meno
strutturate che, senza troppo clamore, svolgono una funzione determinante
all’interno delle strutture penitenziarie, cercando di lavorare in vista di un
effettivo percorso di reinserimento sociale delle persone detenute.
L’Istituto di ricerche educative e formative (IREF) delle ACLI ha recentemente
dedicato uno studio agli Enti del Terzo settore (ETS) che operano
in carcere, cercando di ricostruire il mosaico alquanto frammentato delle
diverse forme con le quali essi contribuiscono all’erogazione delle “attività
trattamentali”, che consistono principalmente in formazione, avviamento
al lavoro, sport, cultura e arte (Zucca 2023). In questo articolo, dopo aver
osservato più da vicino gli effetti del populismo penale sul nostro sistema
carcerario, si rivolgerà lo sguardo alla presenza e all’attività degli ETS negli
istituti di pena, e a come essa possa aprire a un’alternativa realistica alla
situazione attuale non solo più umana, ma anche più efficace dal punto di
vista rieducativo.
[continua]
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