La riconquista

Francesco Saraceno
Luiss University Press, Roma 2020, pp. 224, € 16
Scheda di: 
Fascicolo: gennaio 2021

Ancora una volta l’Unione Europea si trova a dover fare i conti con una situazione critica che ne mette a dura prova la solidità. Pur non trattandosi di una crisi solo europea, come furono quella del debito sovrano nel 2010 o della Brexit nel 2016, la grave emergenza sanitaria dovuta al coronavirus ha puntualmente riproposto i nodi dell’attuale assetto istituzionale europeo. Le ripercussioni a livello sociale, economico, culturale e politico delle misure per contenere la diffusione della pandemia sono ancora difficili da stimare, mentre è già evidente che non possono essere affrontate replicando gli schemi adottati in precedenza. Ed è proprio su questo piano che si gioca la vera partita: cruciale sarà la capacità di individuare soluzioni efficaci e lungimiranti, che non si limitino a gestire i problemi contingenti, ma siano in grado di dare un nuovo orientamento al progetto europeo.

In questa prospettiva, l’ultimo libro dell’economista Francesco Saraceno, intitolato La riconquista, offre un contributo importante per ripensare uno dei dossier più dibattuti e delicati: l’introduzione e il funzionamento dell’euro, che da alcuni anni è il bersaglio principale delle campagne sovraniste in vari Paesi. L’A. aveva iniziato a lavorare su questo argomento, riflettendo sui «difetti di costruzione della nostra casa comune, in particolar modo della moneta unica» (p. 31), ben prima che «l’economia mondiale [fosse] messa in coma indotto per contribuire ad arrestare la diffusione del virus» (p. 15), ma è riuscito a integrare nella propria analisi le prime risposte europee per far fronte all’impatto socioeconomico di questa crisi inedita.

L’aver preso in considerazione le misure adottate e in corso di attuazione da parte delle varie istituzioni europee – dagli interventi della Banca centrale europea (BCE) alla sospensione del Patto di stabilità e del Fiscal compact voluta dalla Commissione europea, alla creazione di appositi strumenti per sostenere le spese straordinarie degli Stati – è uno dei pregi maggiore del libro. Infatti, questo insieme di misure presenta alcuni elementi innovativi inimmaginabili solo pochi anni fa. In particolare, la decisione del Consiglio europeo nell’estate del 2020, travagliata e per nulla scontata, di dar vita al Next Generation EU (in cui rientra il dispositivo per la ripresa e la resilienza, ormai conosciuto come Recovery Fund) apre la strada a una prima e storica forma di mutualizzazione del debito, per quanto parziale e temporanea, tra gli Stati membri dell’Unione, andando oltre a veti che sembravano insuperabili.

Secondo Saraceno, i mutati scenari della politica economica europea offrono un’opportunità enorme per rimediare ad alcuni difetti della costruzione originaria dell’euro e per evitare di riproporre gli errori compiuti in occasione della crisi del debito sovrano di dieci anni fa. Si tratta di andare oltre alla «contrapposizione antica tra un’Europa delle regole e un’Europa delle politiche comuni» (p. 18), così come alla consolidata narrativa che divide il continente tra i cosiddetti Paesi frugali del Nord e quelli dissoluti del Sud, che però spiega ben poco e ancor meno aiuta a orientare le scelte politiche e dei cittadini.

Prima di presentare le sue proposte, l’A. ripercorre le decisioni europee degli ultimi quarant’anni in campo economico, a partire da quella fondamentale di dare vita all’euro (decisa con il Trattato di Maastricht del 1992), passando per la doppia recessione che ha colpito i Paesi europei dopo il 2008, alla paradigmatica vicenda della crisi economica greca, alle scelte di politica monetaria della BCE con Mario Draghi come governatore, al ruolo esercitato dalla Germania nella costruzione della governance dell’area euro. Grazie a una scrittura precisa nei contenuti e chiara nella forma, il lettore non solo ha l’opportunità di familiarizzarsi con le tappe che hanno scandito l’introduzione dell’euro e il suo impatto in positivo e negativo sulle economie degli Stati membri, ma è introdotto alla conoscenza anche dei riferimenti intellettuali e teorici che hanno guidato gli ultimi decenni della politica economica europea.

Due elementi dell’analisi dell’A. meritano di essere richiamati brevemente. In primo luogo, l’influenza nella fase di elaborazione e avvio dell’euro esercitata dalla teoria del “Nuovo consenso”, secondo cui i mercati hanno una capacità regolativa ottimale e l’impatto delle politiche governative è limitato. Da questa visione derivano le regole stringenti per la politica di bilancio e monetaria e gli inviti a operare riforme strutturali e all’austerità, che sono all’origine dell’identità «tra euro e liberismo che ha ingabbiato il dibattito europeo soprattutto l’ultimo decennio» (p. 36). Tanto forte è stata – e in parte continua a essere – l’influenza del Nuovo consenso che non si riesce a concepire la moneta unica e la relativa politica monetaria fuori da questo schema. Da qui il corollario che l’euro non sia riformabile: una conclusione a cui paradossalmente giungono, anche se per motivi distinti, sia gli euroscettici che richiedono un recupero della sovranità nazionale, sia i difensori dello status quo.

Il secondo aspetto si collega al punto precedente. La fiducia riposta nelle riforme strutturali e nell’austerità si traduce nella tesi che un unico modello economico debba essere seguito dai Paesi dell’area euro, ignorando le differenze esistenti a livello macroeconomico e scartando l’opzione di «un coordinamento delle politiche nazionali, quindi non necessariamente le stesse in ogni Paese, con l’obiettivo di massimizzare la crescita e di minimizzare gli squilibri per la zona euro nel suo insieme» (p. 129).

Il merito de La riconquista è di argomentare in modo serio a favore di una lettura diversa, che si fonda sulla convinzione che un’alternativa è possibile, «un altro euro è possibile» (p. 181). In concreto, l’A. propone di abbandonare «l’ipotesi dell’efficienza dei mercati» e di prendere atto che «la crescita e la stabilità economica risultano da un complesso insieme d’interazioni tra due istituzioni intrinsecamente imperfette» (pp. 154-155), cioè i mercati e lo Stato. In linea teorica, l’approdo a una struttura federale sarebbe la soluzione più ottimale per ridurre e governare gli squilibri che l’attuale sistema genera nell’area euro. Ma si tratta di una prospettiva ancora lontana, per questo propone di sviluppare tutti gli strumenti che possano svolgere la funzione di «surrogato a una struttura propriamente federale» (ivi), elencandone tre in particolare: dotare la zona euro di una capacità di bilancio, che trova un esempio nel Next Generation EU ideato per rispondere alla crisi della COVID-19; completare l’Unione bancaria introducendo un’assicurazione federale dei depositi e uniformare la regolamentazione dei mercati per migliorarne l’integrazione; permettere agli Stati membri di avere maggiore autonomia a livello di politica di bilancio per sostenere la crescita di lungo periodo.

Nello scenario apertosi con la crisi causata dal coronavirus, si presenta perciò un’opportunità concreta per ridefinire la governance dell’area euro e le scelte strategiche nelle relative politiche. Ma le questioni recentemente emerse non riguardano solo il campo economico, che ha da sempre svolto una funzione cruciale nel processo di unificazione europea, ma investono direttamente la sfera politica e quella culturale. Rischiamo però di non sfruttare appieno questa occasione di cambiamento se sacralizziamo narrazioni o teorie senza verificarle alla luce degli eventi odierni, assumendone in modo aprioristico la validità e ritenendo che vadano indefinitamente replicate nel tempo e nello spazio. Si commette così un duplice errore: si tradisce il senso dell’Unione espresso nel suo motto «Unita nella diversità», che rigetta ogni forma di omologazione, e si fallisce nel compito di svolgere un’adeguata ermeneutica del presente, le cui linee di forza ed elementi di fragilità sono diversi dal passato. In entrambi i casi si perde di vista la finalità ultima del progetto europeo, che dovrebbe orientare qualunque riflessione sulle scelte da adottare a livello di istituzioni e politiche. Un aiuto effettivo per non incorrere in questi errori può venire dal prendere atto di un dato, spesso sottaciuto o sminuito, soprattutto nei discorsi degli euroscettici. Dovremmo renderci conto che il principio di realpolitik secondo cui i progressi dell’UE dipendono dagli interessi dei singoli Stati, in particolare quelli più grandi, va rivisto. Dopo oltre sessant’anni di costruzione europea, si sono creati vincoli tra gli Stati membri talmente forti che non è più possibile pensare di poter ritornare indietro ed è miope qualsiasi decisione politica presa da un singolo Governo senza tenere in conto l’interdipendenza esistente. Ci troviamo a vivere una solidarietà di fatto, figlia dei processi in corso da decenni, per cui davvero oggi la protezione degli interessi dei singoli Stati passa per una rinnovata e consapevole adesione al progetto europeo.

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