La repubblica del selfie

Dalla meglio gioventù a Matteo Renzi

Marco Damilano
Rizzoli, Milano 2015, pp. 294, € 18.50
Scheda di: 
Fascicolo: febbraio 2016

Una moda molto recente è quella dei selfie: l’autoritratto fotografico con dispositivo digitale. Che il titolo del volume di Damilano – giornalista inviato di politica interna de L’Espresso – associ il selfie alla forma di governo repubblicana è una felice intuizione, specie perché incastonata nella storia travagliata del nostro Paese. «La Prima Repubblica aveva la Rai, la Seconda la TV commerciale, la terza Twitter […], auto-scatto, auto-promozione sui social network, auto-identità, auto-referenzialità. Auto-rappresentazione» (pp. 252-253). Con un linguaggio talvolta tagliente, ma certamenente efficace, l’A. ripercorre la storia d’Italia per interpretare l’avventura politica di Matteo Renzi, «la nuova razza padrona che […] si presenta senza passato, avida di presente, proiettata nel futuro. Detesta il fardello della memoria, rifiuta la responsabilità dei decenni precedenti: noi non c’eravamo, ripete. Invece va inserita in un storia. […]; c’è stata la Repubblica dei partiti che aveva come religione la Rappresentanza. Poi è arrivata la Repubblica del Cavaliere, fondata sulla Rappresentazione. Quella che sta nascendo è la Repubblica dell’Auto-rappesentazione. Una Selfie-Repubblica, con un’unica bandiera: l’Io» (p. 10).

Due sono i parallelismi che aiutano Damilano in questa analisi del Presidente del Consiglio più giovane d’Italia: con Napoleone e con Berlusconi. L’affinità con il primo è data dalla «consapevolezza che solo se sfondava nell’immaginario, oltre che sul territorio avversario con le armate, un Capo venuto dal nulla avrebbe potuto conquistare e mantenere il potere» (p. 209). Renzi, centralizzato sulla sua persona, dal potere immediato, è considerato l’erede di Berlusconi, il “figlio” che non ha mai avuto, anche perché «l’erede di casa Arcore non poteva nascere dentro il berlusconismo, sarebbe stato stroncato sul nascere o espulso» (p. 238).

Il potere di Renzi salta le mediazioni. «La mediazione era la ragione sociale della Repubblica. La strada privilegiata per risolvere le questioni dando a tutti l’impressione di partecipare alle decisioni [...] Una tradizione da rottamare in blocco» (p. 223). «Tra lui e il popolo c’è il nulla. Nessuna cinghia di trasmissione, nessun canale di collegamento» (p. 224). Resta solo un selfie.

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