Come rivitalizzare la democrazia? Esistono modi innovativi ed efficaci per declinare la partecipazione? Potrebbero essere formulate così le domande sintetiche a cui risponde il volume di Rodolfo Lewanski, che ha ricoperto il ruolo di Autorità per la Partecipazione della Regione Toscana (2007-2013) e attualmente è docente di Democrazia partecipativa presso il Dipartimento di Scienza politica dell’Università di Bologna.
Egli dedica il libro alle prossime generazioni, perché spetta a loro curare, coltivare e rendere migliore la democrazia, «privilegio raro nella storia dell’umanità» (dedica del libro). La democrazia rappresentativa, infatti, pur essendo il sistema politico egemone nel mondo (il 60% dei Paesi gode di libertà democratiche), appare oggi in affanno, con perdita di fiducia e di legittimità agli occhi dei cittadini.
Attraverso quattordici capitoli di scrittura fitta e ricca di numerosi riferimenti bibliografici – oltre un’appendice con altre risorse (siti, manuali e periodici) – l’A., coniugando riflessione accademica ed esperienza sul campo, compie un percorso che va dal rapporto tra la democrazia e la partecipazione ai requisiti di quest’ultima in chiave deliberativa; dal ruolo dell’informazione all’inclusione dei partecipanti; dagli esempi locali e globali di deliberazione all’e-democracy, cioè la possibilità di deliberare on line.
La trattazione, secondo una prospettiva sperimentale e non ideologica, si svolge con un costante riferimento agli esempi concreti che nella storia della democrazia deliberativa si sono susseguiti, nel mondo così come in Italia, a livello locale, nazionale e globale (la nostra Rivista se ne era già interessata nel febbraio 2010, pubblicando un articolo dello stesso Lewanski in collaborazione con Ugo Dall’Olio, Leonardo Dovigo e Irene Visani: «Una prova globale di democrazia deliberativa: il World Wide Views sul clima», pp. 127-137). Esistono centinaia di metodi di democrazia deliberativa, funzionali all’esito che si vuole raggiungere, dalla Town Meeting (utilizzata ad esempio per progettare la ricostruzione di Ground Zero a New York nel 2002, coinvolgendo 4.300 cittadini), alla Giuria dei cittadini, passando per il Bilancio Partecipativo, nato a Porto Alegre (Brasile) nel 1990, che prevede un percorso articolato di coinvolgimento dei cittadini per decidere come destinare le risorse finanziarie pubbliche. Per evitare che tali esperienze democratiche restino isolate, sarebbe importante inserirle in una sorta di istituzionalizzazione anche legislativa, dando valore, stabilità e legittimità ai processi deliberativi; eppure al momento in Italia solo l’Emilia Romagna, la Toscana e il Lazio hanno una normativa regionale al proposito.
Sulla partecipazione si sono susseguite – dagli anni ’90 del secolo scorso – una lunga serie di dichiarazioni di principi, sia in ambito internazionale che nazionale, riguardanti principalmente l’accesso alle informazioni e la trasparenza dell’azione dell’amministrazione pubblica verso la società.
Ma la partecipazione è qualcosa di più ambizioso, «mira a esercitare influenza su scelte pubbliche» (p. 37). Esiste dunque una forma di democrazia che perfezioni la partecipazione, così come siamo stati abituati a conoscerla? La risposta affermativa data dall’A. chiama in causa la deliberazione, che non è solo sinonimo di decidere, ma presuppone l’aver ponderato a fondo i pro e i contra della scelta. «L’idea della “deliberazione” non è affatto nuova, e anzi è connaturata all’idea stessa di democrazia. L’agorà dell’antica polis greca era il luogo della discussione degli affari pubblici, dove si confrontavano le argomentazioni e la loro forza persuasiva» (p. 42). Di per sé gli stessi parlamenti nacquero come luoghi di deliberazione, ma oggi sono «preda di logiche partigiane esasperate, di contrapposizioni aprioristiche e polarizzate e di interessi particolari; la discussione politica alterna posture strumentali a scambio, a tutto scapito della deliberazione» (p. 43).
La partecipazione con finalità deliberative ha caratteristiche proprie: si svolge in apposite arene, con un’agenda definita e per un periodo limitato di tempo, coinvolgendo in dialoghi strutturati un «micro pubblico a invito» (p. 45), il più delle volte in presenza di facilitatori. I partecipanti sono posti su una base di parità: «sono liberi e uguali, hanno il medesimo status, le stesse possibilità di parlare e di essere ascoltati, e di influire sul processo e i suoi esiti» (p. 58). Poiché i proponenti di processi deliberativi non sono neutrali, può talvolta rendersi necessaria la presenza di un comitato di supervisione e garanzia, composto da autorevoli forze politiche e sociali, con lo scopo di rassicurare i cittadini sull’imparzialità di quanto sta avvenendo. I protagonisti dei processi deliberativi sono i semplici cittadini che partecipano a titolo personale e non in rappresentanza di associazioni o come stake holder; la selezione può avvenire in tre modi diversi, ciascuno con pregi e limiti: tramite una selezione mirata (ad esempio i genitori quando si tratta di questioni scolastiche), per campionamento cosicché vengano rappresentati tutti coloro che sono interessati al problema, oppure per autoselezione, cioè pubblicizzando gli incontri che si svolgono a porte aperte e lasciando che chiunque desideri possa parteciparvi.
Una domanda sorge spontanea: «ma i cittadini sono capaci di partecipare?» (p. 96). Sulla competenza in senso stretto, ad esempio quando sono in gioco questioni molto tecniche (come la deliberazione sul testamento biologico), i semplici cittadini si rapportano con gli esperti, perché possano farsi un’idea il più completa e precisa possibile del tema in questione. Per quanto riguarda la motivazione di chi partecipa, due elementi possono contribuire: l’influenza che il processo è destinato ad avere sulle decisioni pubbliche e il riconoscimento economico per il tempo e l’impegno profusi dai cittadini. Sul primo, Lewanski sostiene che «se molti cittadini oggi sono poco interessati alla politica e a farsi opinioni “solide” sulle questioni pubbliche, ciò è forse dovuto al fatto che l’esperienza ha insegnato che le loro contano ben poco» (p. 99). In merito al riconoscimento di un compenso in denaro oppure in buoni acquisto di beni o servizi, questo può consentire «la partecipazione di persone appartenenti a gruppi meno abbienti (quali pensionati, studenti, disoccupati) che danno valore anche a una cifra modesta» (p. 101).
La partecipazione deliberativa non va confusa con momenti di consultazione, che poi possono essere ignorati; la prima infatti «implica un trasferimento di quote di potere dai governanti ai cittadini» (p. 109). Inoltre, perché sia autentica e realmente coinvolgente, le questioni poste in discussione devono essere di qualche rilevanza e non marginali.
I processi deliberativi sono delle vere e proprie «scuole di democrazia per i cittadini comuni» (p. 140) e contribuiscono «a sviluppare le competenze civiche, ovvero le capacità comunicative e organizzative necessarie per l’attività politica, di coloro che vi prendono parte, mettendoli nelle condizioni di affrontare anche situazioni di conflitto, un tratto connaturato alla vita democratica» (ivi). Le risorse per realizzare processi deliberativi sono di varia natura, da quelle di professionisti del settore che ne garantiscono il corretto svolgimento (primi fra tutti i facilitatori), a quelle economiche e di tempo, quest’ultima «verosimilmente la risorsa più scarsa di tutte» (p. 152).
Tra le righe del volume, cogliamo due sfide che permangono molto attuali, entrambe di natura culturale: la prima è che la valutazione dei processi deliberativi entri a pieno titolo nei processi stessi e non resti un bell’auspicio; la seconda è che gli uomini politici, molto spesso promotori della democrazia deliberativa, non temano il coinvolgimento autentico dei cittadini attraverso forme innovative di democrazia, come quelle proposte in questo volume, radicandole nelle forme più note della democrazia rappresentativa. Perché, ad esempio, non «agganciare sistematicamente i referendum (auspicabilmente anche propositivi, oltre a quelli consultivi e abrogativi previsti finora nell’ordinamento italiano) alla deliberazione» (p. 186)? «Un referendum deliberativo godrebbe dell’elevato grado di legittimazione derivante dal voto, e allo stesso tempo esprimerebbe un’opinione più informata […] di quanto avvenga ora» (ivi)? Come articolare e trovare il giusto equilibrio tra le espressioni della democrazia rappresentativa, a tutti i livelli (locale, nazionale, europeo) e la democrazia deliberativa, palestra di cittadinanza attiva?