A partire dal giugno 2018 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea (UE) sono impegnati nell’iter legislativo finalizzato a definire i contenuti della Politica agricola comune (PAC) nell’ambito del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027. A oggi né il Parlamento né il Consiglio hanno ancora espresso un voto in plenaria sulla proposta della Commissione: per tale motivo il 31 ottobre 2019 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure, cosiddetto “di transizione”, finalizzato a garantire la continuità del sostegno dei contributi PAC ai produttori in attesa dell’approvazione del quadro legislativo della PAC 2021-2027, prevedendo almeno un anno di ritardo nell’inizio della nuova programmazione.
Vale allora la pena comprendere quali sono i principali contenuti della PAC successivamente al 2020 e i temi che finora hanno caratterizzato il dibattito tra Stati e gruppi politici.
La PAC costituisce la cornice entro la quale da quasi sessant’anni si sviluppano i settori agricolo e forestale in Europa, attraverso due pilastri: il primo è rappresentato dai pagamenti diretti agli agricoltori e dalle misure di mercato (organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli), sostenuti dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA); il secondo è costituito da finanziamenti per lo sviluppo rurale, attraverso il Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale (FEASR). Il settore primario comprende più di 10 milioni di aziende agricole (dati Eurostat), di cui 1.145.680 in Italia (Istat 2016); riguarda attività che interessano l’84% della superficie dell’UE, che dipendono dal clima e dall’ambiente e, a loro volta, li influenzano. L’Italia rappresenta il terzo Stato membro per numero di aziende agricole, dopo la Romania e la Polonia, mentre in termini di ettari di Superficie agricola utilizzata (SAU) si colloca dopo Francia, Spagna, Germania e Polonia.
La proposta legislativa presentata dalla Commissione Juncker il 1º giugno 2018 [COM(2018) 392] ha fatto seguito a un’ampia consultazione, i cui risultati sono stati presentati nella comunicazione Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura (cfr Simonato A., «Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura», in Aggiornamenti Sociali, 4 [2018] 338-340). La consultazione ha portato alla luce da un lato l’esigenza di semplificare e modernizzare gli strumenti adottati, dall’altro la necessità di far emergere il valore aggiunto della PAC per tutti i cittadini dell’UE. Le sfide relative alla sostenibilità economica, ambientale e sociale cui devono far fronte il settore primario e le aree rurali dell’UE sono, infatti, molte, e sollecitano risposte che rendano giustizia alla loro dimensione europea. Vale la pena ricordarne alcune, dato che rappresentano la “vita reale” su cui si innesta la discussione politica. I prezzi agricoli (e, quindi, la possibilità di ottenere un reddito dignitoso conducendo l’attività agricola) sono sempre più influenzati da fattori macroeconomici e tensioni geopolitiche; i cambiamenti climatici richiedono al settore primario di modificare in modo importante lo status quo sia nel mitigare il proprio impatto negativo (es. emissioni di gas serra), sia nell’adattarsi alle trasformazioni che i cambiamenti inducono nella disponibilità, distribuzione e stabilità dei fattori produttivi (ad esempio, l’acqua); è aumentata l’attenzione, da parte dei cittadini, alla salubrità e qualità del cibo; è sempre più urgente la necessità di garantire la vivibilità delle aree rurali, ridimensionando gli importanti fenomeni di spopolamento e abbandono in atto. Allo stesso tempo, è interesse degli attori del settore primario agganciare le opportunità derivanti dalla bioeconomia, dalle energie rinnovabili, dall’economia circolare e dalla digitalizzazione.
Se questo è il quadro in cui si inserisce il dibattito in corso, un primo elemento critico della PAC 2021-2027 è dato dal budget. Le proposte della Commissione Juncker [COM(2018) 321 e COM(2018) 322] relative al Quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo di programmazione 2021-2027 (cfr Riggio G., «Il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027», in Aggiornamenti Sociali, 10 [2018] 693-695), confermano infatti che una parte consistente del bilancio comune (28,5%, 365 miliardi di euro a prezzi correnti dei complessivi 1.279) continui a essere destinata alla PAC; il suo valore finanziario viene tuttavia ridotto di un ammontare che, secondo le stime della Commissione europea, è pari al 5% a prezzi correnti (rispetto ai 420 miliardi di euro stanziati dal Quadro finanziario pluriennale 2014-2020 sui complessivi 1.087), il che equivale a una riduzione del 12% circa a prezzi costanti del 2018. Secondo le stime del Parlamento europeo il taglio sarebbe più consistente.
Tale riduzione appare dovuta all’emergere di nuove priorità in settori considerati ad alto valore aggiunto europeo: ricerca, innovazione e agenda digitale, giovani, migrazione e gestione delle frontiere, difesa e sicurezza interna, clima e ambiente. Quasi due anni di discussione hanno evidenziato una divisione fra Governi che chiedono un bilancio più “frugale”, che non vada oltre l’1% del reddito nazionale lordo (RNL) (cfr Simonato A., «Il futuro delle finanze dell’Unione Europea», in Aggiornamenti Sociali, 11 [2017] 780-781) e che finanzi soprattutto le nuove priorità e i settori che possono supportare la competitività europea e, d’altro lato, Stati membri (tra i quali l’Italia) che, invece, chiedono risorse sufficienti per finanziare adeguatamente anche le politiche tradizionali, mantenendo le dotazioni di queste ultime al livello dell’attuale QFP 2014-2020.
Un secondo elemento critico è dato dalla nuova governance, finalizzata a ridurre l’onere amministrativo a carico della UE: nel 2021-2027 è previsto che ogni Stato membro dovrà elaborare un unico Piano strategico nazionale (PSN), che programmi il contributo di tutti i “pilastri” (pagamenti diretti, misure di mercato, sviluppo rurale) ai nove obiettivi affidati alla PAC (cfr il riquadro qui sotto). La storia “amministrativa” ha previsto, invece, finora, una programmazione e attuazione separata dei singoli “pilastri”, condotta a livello regionale (se esistente). Gli Stati federali e regionali, pertanto, hanno evidenziato sia l’attrito di tale proposta con le disposizioni costituzionali proprie, sia l’impatto della stessa sui sistemi amministrativi consolidati, con l’attribuzione di nuove competenze ad amministrazioni statali finora non coinvolte in tali profili programmatori e gestionali. Sono quindi ancora in discussione le ipotesi finalizzate a garantire che le autorità regionali siano coinvolte nella preparazione e nell’attuazione del piano strategico.
Gli obiettivi della Politica agricola comune
Alla PAC 2021-2027 è affidato il perseguimento di nove obiettivi, i quali presentano continui riferimenti all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile:
1. Sostenere un reddito agricolo sufficiente e la resilienza per rafforzare la sicurezza alimentare;
2. Migliorare l’orientamento al mercato e aumentare la competitività;
3. Migliorare la posizione degli agricoltori nella catena del valore;
4. Contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento a essi;
5. Promuovere lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali;
6. Contribuire alla tutela della biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi;
7. Attirare i giovani agricoltori e facilitare lo sviluppo imprenditoriale nelle aree rurali;
8. Promuovere l’occupazione, la crescita, l’inclusione sociale e lo sviluppo locale nelle aree rurali;
9. Migliorare la risposta dell’agricoltura dell’UE alle esigenze della società in materia di alimentazione e salute.
Tali obiettivi sono integrati dall’obiettivo trasversale di ammodernamento del settore promuovendo e condividendo conoscenze, innovazioni e processi di digitalizzazione.
Un ulteriore elemento discusso è il nuovo modello strategico (New Delivery Model) che emerge dalle proposte di regolamento, il quale, nonostante l’enfasi con cui fu presentato (semplificazione, sussidiarietà, maggiore attenzione ai risultati), è stato oggetto di profonde obiezioni tecniche da parte degli Stati membri, che hanno rilevato l’aumento degli oneri amministrativi. Tale nuovo approccio, che da un lato pare assicurare una maggiore flessibilità nella scelta degli strumenti da adottare per rispondere ai bisogni locali, prevede, dall’altro, la necessità per gli Stati membri di focalizzare la propria reportistica annuale non tanto sulla maggiore o minore efficacia/strategicità di quanto finanziato, ma su eventuali scostamenti quantitativi tra gli importi “medi” finanziati e quelli pianificati, fornendo giustificazioni in caso di difformità, pena la riduzione o sospensione dei fondi.
Ulteriori profili critici riguardano il rilievo della cosiddetta “convergenza esterna” dei pagamenti diretti, cioè il progressivo riallineamento del valore dei pagamenti per ettaro verso la media UE (penalizzante per gli Stati membri “storici” tra i quali l’Italia), la maggiore ambizione in materia di ambiente e clima rispetto al periodo attuale (da bilanciare con gli ulteriori profili economici e sociali, a budget ridotto), i soggetti e le attività effettivamente destinatarie dei contributi.
Il lungo dibattito in corso ha evidenziato la complessità delle questioni sul tavolo. È l’occasione per porsi una domanda: di quale sviluppo hanno bisogno il settore primario e le aree rurali?