Con l’annuncio a inizio settembre dei candidati commissari e delle aree di competenza loro affidate, è stato compiuto un altro passo nella formazione della nuova Commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen. L’iter non è ancora concluso, nel mese di ottobre sono in calendario altri passaggi fondamentali, tra cui le audizioni parlamentari dei futuri commissari e l’approvazione dell’intera Commissione da parte del Parlamento.
La nomina del Presidente della Commissione europea e dei suoi membri
Il processo di nomina della Commissione coinvolge sia il Parlamento sia il Consiglio europeo, composto dai leader degli Stati membri. Alla luce dei risultati delle elezioni europee, il Consiglio sceglie a maggioranza qualificata un candidato a Presidente della Commissione e lo propone al Parlamento. Per essere eletto, deve ricevere il voto favorevole della maggioranza dei parlamentari.
Dopo l’elezione del Presidente si individuano i futuri commissari (uno per ogni Stato membro), scelti in base alla loro competenza generale, al loro impegno europeo e tra personalità che offrono garanzie di indipendenza. Ogni Stato propone una o più personalità politiche e il Consiglio, in accordo con il neoeletto Presidente della Commissione, stila un elenco di candidati commissari. Il Presidente definisce la distribuzione delle competenze tra i vari commissari, scegliendo i vicepresidenti. Tutti i commissari devono presentarsi dinanzi alle commissioni parlamentari, che ne valutano le competenze, e riferiscono al Presidente del Parlamento. Infine, il Parlamento deve dare un voto favorevole all’intera Commissione, prima che possa essere nominata dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata.
Tuttavia, le dichiarazioni della von der Leyen e le scelte fatte permettono già di formulare alcune considerazioni sulle priorità che la Commissione si è data per i prossimi cinque anni e sugli equilibri politici al suo interno.
Presentando alla stampa il collegio dei commissari, la presidente von der Leyen ha tratteggiato il profilo della Commissione: «Adotteremo misure coraggiose contro i cambiamenti climatici, costruiremo il nostro partenariato con gli Stati Uniti, definiremo le nostre relazioni con una Cina più autoassertiva e saremo un vicino affidabile, ad esempio per l’Africa. […] Voglio una Commissione determinata, chiaramente incentrata sulle questioni all’ordine del giorno e in grado di fornire risposte. […] La mia sarà una Commissione geopolitica impegnata a favore di politiche sostenibili. E voglio che l’Unione Europea sia la custode del multilateralismo».
Per conseguire questi obiettivi, la von der Leyen ha ridefinito la struttura interna della Commissione, per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, il ruolo dei vicepresidenti e la distribuzione delle competenze tra i commissari. Grande enfasi è data al carattere collegiale dell’azione della Commissione: ogni membro ha pari rilievo nei processi decisionali e vi è una responsabilità condivisa per le politiche adottate. All’interno di questo quadro va inserito il ruolo di coordinamento attribuito agli otto vicepresidenti designati (di cui tre esecutivi), che dovranno assicurare la sinergia tra le iniziative dei singoli commissari in alcune aree ritenute strategiche. Anche la distribuzione delle competenze tra i vari commissari rivela qualcosa degli scenari futuri, come ad esempio la creazione della nuova direzione generale dell’Industria della difesa e dello spazio affidata a Sylvie Goulard o il collegamento tra democrazia e demografia. Da segnalare anche che il ventottenne lituano Virginijus Sinkevičius si occuperà delle politiche ambientali, una scelta simbolica al tempo dei Fridays for future. Perché vi sia trasparenza sull’azione della Commissione, sono state anche pubblicate sul sito della UE le lettere della von der Leyen indirizzate ai singoli commissari con l’indicazione delle loro competenze.
Per il futuro della UE, la Commissione punta su tre temi: le azioni in risposta ai cambiamenti climatici (Green deal europeo), il digitale, un’economia a servizio delle persone. La scelta di affidare queste aree ai tre vicepresidenti esecutivi – il socialista Timmermans, la liberale Vestager e il popolare Dombrovskis – ne sottolinea il rilievo. La figura del vicepresidente esecutivo, che è al contempo responsabile di una specifica politica europea, costituisce una novità, che risponde a finalità organizzative e politiche. I tre vicepresidenti appartengono ai partiti maggioritari nel Parlamento, che hanno votato a favore della von der Leyen lo scorso luglio. Inoltre, la scelta di Timmermans e Vestager è un modo per ricucire lo strappo consumatosi con il Parlamento, dopo che il Consiglio ha abbandonato la prassi dello Spitzenkandidat. La vicepresidenza esecutiva al lettone Dombrovskis assicura infine un ruolo di vertice a un rappresentante dell’Europa orientale, finora trascurata.
La von der Leyen ha composto una squadra di commissari che è espressione di un equilibrio sia geografico (con numerosi vicepresidenti scelti tra i rappresentanti di Paesi di recente ingresso e dell’Europa centrorientale) sia politico (bilanciando la distribuzione dei portafogli tra i commissari delle varie famiglie politiche), oltre che di genere visto che per la prima volta la Commissione è guidata da una donna e che tra i commissari ci sono 12 donne e 14 uomini. Scelte soppesate per assicurare le migliori condizioni di lavoro alla Commissione nei prossimi anni, quando dovrà collaborare con un Parlamento europeo frammentato a seguito delle elezioni del 2019, che ha eletto con una risicata maggioranza la von der Leyen, e con un Consiglio europeo in cui sono forti le tensioni tra gli Stati membri sui dossier più sensibili, dall’economia alla fiscalità e alla migrazione. Gli obiettivi enunciati – al di là di una certa retorica, non sempre felice, nelle formule usate per presentarli, come nel caso del vicepresidente per “Proteggere il nostro stile di vita europeo”, che si occuperà delle migrazioni – corrispondono bene al compito affidato dai Trattati alla Commissione, la quale può assicurare un’azione più efficace e incisiva in temi come la sostenibilità e il digitale, che non potrebbero essere affrontati in modo adeguato dai singoli Stati.