Garry Kasparov, il più grande
giocatore di scacchi di tutti i
tempi, campione del mondo per
oltre vent’anni, ha sempre affermato
che gli scacchi sono come la
vita, ma in miniatura. L’intervista
rilasciata al giornalista Enrico Franceschini
gli ha fornito così lo spunto
per questo romanzo, che parte
come una qualunque biografia di
un personaggio più o meno famoso
e con il trascorrere delle pagine
assume un respiro sempre più ampio, dove la storia del singolo si
intreccia con la Storia del mondo,
viste attraverso la lente del gioco
degli scacchi.
La mossa giusta è la biografia
romanzata del campione di scacchi
Ossip Bernstein, ebreo ucraino,
naturalizzato francese, brillante
avvocato d’affari, che ha attraversato
gli eventi più drammatici del
Novecento, dalla Rivoluzione russa
alla Prima guerra mondiale, dalla
crisi del 1929 al conflitto del 1939-
1945 fino alla crisi della Baia dei
Porci del 1962, incrociando alcuni
dei protagonisti del suo tempo. Il
romanzo si apre con la partita della
vita per Ossip, nel senso letterale
del termine: imprigionato a Odessa,
dove i bolscevichi stanno facendo
piazza pulita di tutti coloro che
si oppongono al neonato regime
di Lenin, sta per essere fucilato
quando il plotone di esecuzione
viene fermato dall’ufficiale bolscevico
Anastas Ivanovich Mikoyan,
che lo ha catturato e che ne ha
riconosciuto il nome nella lista dei
condannati. A sua volta appassionato
di scacchi, Mikoyan sfida
Ossip a dimostrargli di essere un
campione, promettendogli di salvargli
la vita se lo avesse battuto.
Ossip ha 36 anni, non vuole altro
che tornare da sua moglie Vilma e
dai suoi figli Isacco e Giacobbe, e
riesce a spuntare la vittoria in sole
14 mosse, riproponendo una partita,
l’”Immortale peruviana”, che
intrappola i pezzi di Mikoyan dopo
avergli dato l’illusione di una facile
vittoria. Da questa “apertura” prende
il via l’intreccio di tutto il romanzo,
dove Bernstein e Mikoyan
ruotano uno intorno all’altro continuando
a sfiorarsi, il primo vivendo
tra alti e bassi che lo portano al
vertice della finanza mondiale e a
perdere tutto più volte, il secondo
facendo carriera nel partito comunista
sovietico, di cui diventa uno
dei più potenti esponenti, ombra
di Krusciov, di cui favorisce l’ascesa
al potere.
I due sono destinati a reincontrarsi
e a giocare la rivincita di quella
partita con la morte con cui si è
aperto il romanzo, in un’ultima sfida
tra Ossip, ormai anziano e malato,
e Mikoyan, che riesce a ritagliarsi
un momento per ritrovare questo
vecchio “quasi-amico”, mentre
infuria la crisi di Cuba e la guerra
fredda sembra sul punto di trasformarsi
in un conflitto nucleare. Carico
di anni e di esperienze, Ossip
si rende conto che questa partita è
come una sorta di ultimo atto per
lui, ed è per questo che gioca con
Mikoyan cercando deliberatamente
la patta per stallo, perché vuole
usare quest’occasione per fare
qualcosa di utile, per uscire dall’eterno
dinamismo di vittoria o sconfitta.
Perché, come sanno i grandi
campioni, esiste anche la patta, una
patta che cela un significato profondo:
il pareggio è il primo passo
per diventare amici. E se possono
accettare la patta Mikoyan e Ossip,
dopo la sfida per la vita di Odessa,
possono accettarla tutti. E questo,
Mikoyan lo capisce talmente bene
da metterlo in pratica sulla grande
scacchiera della Storia, riuscendo a
condurre Castro, Krusciov e gli Stati
Uniti alla grande patta della crisi
di Cuba e a salvare il mondo dalla
catastrofe. Non scacco matto, ma
patta. E oggi, in un mondo infiammato
da tante guerre, dall’Ucraina
a Israele, le terre di origine di Ossip,
forse anche questa sarebbe una alternativa
da valutare.