La legge del mercato

Stéphane Brizé
Academy Two, Francia 2015, Drammatico, Durata: 92 min.
Scheda di: 
Fascicolo: febbraio 2016

Confrontandosi con il nostro tempo e la nostra società, La legge del mercato ha come protagonista un uomo disoccupato in cerca di un futuro, all’interno di un contesto sociale dominato dal cinismo e solo in apparenza disposto a sostenere chi si trova in difficoltà. Ispirandosi allo stile del cinema documentario, il sesto film del regista francese Stéphane Brizé ritrae un personaggio che perde il lavoro e rinuncia sin dall’inizio all’opzione di una lotta condivisa con i propri colleghi, spinto dalla volontà di far proseguire gli studi al figlio disabile e dalla necessità di risanare i debiti contratti con la banca. A cinquant’anni si ritrova così ad accettare un impiego sottopagato e lontano dalle proprie competenze specifiche, divenendo sorvegliante in un supermercato dove i piccoli furti, sintomo di una crisi economica ancora non rimarginata, sono all’ordine del giorno.

Se il soggetto può apparire scoraggiante, esso ha indubbiamente il merito di scuotere in maniera profonda le coscienze degli spettatori, dal momento che la vicenda di Thierry, licenziato in seguito alla delocalizzazione della fabbrica in cui ha lavorato per molti anni, può trovare forti risonanze nel pubblico che sente, vede o vive in prima persona situazioni connesse ai problemi del lavoro e alla precarietà dell’occupazione. Questo effetto è dovuto anche alle scelte del regista per quanto riguarda il cast del film: l’interprete principale, Vincent Lindon, premiato come miglior attore maschile al Festival di Cannes, dove il film era in concorso, è stato l’unico attore professionista chiamato a partecipare alle riprese. Il resto del cast è invece composto da semplici cittadini, disoccupati o in cassa integrazione, che in alcuni casi interpretano se stessi, come il leader sindacale Xavier Mathieu. Coerentemente con il proprio argomento, La legge del mercato è un film dai costi contenuti: da qui la scelta di Brizé e Lindon di abbassare il proprio stipendio per garantire una retribuzione a tutto il comparto tecnico.

Al centro dei film di Brizé vi è solitamente il sentimento amoroso, spesso osservato come legame che trascende le barriere sociali, come nel caso di Mademoiselle Chambon (2009), incentrato sulla relazione tra un’insegnante e un muratore. In La legge del mercato il tema viene declinato in maniera originale come amore verso se stessi o, più precisamente, come autostima. Cosa rimane di sé quando si subisce l’implacabile “legge del mercato”, di cui parla il titolo? Qual è il prezzo del riscatto professionale in termini morali? Come si può sopravvivere quando la volontà sembra sopraffatta dalle circostanze?

Il film pone lo spettatore di fronte a queste domande fin dall’inizio, in modo brusco, mostrando il protagonista Thierry che pronuncia alcune parole significative: «Sto sprecando il mio tempo». La frase scandisce il dialogo con un consulente dell’ufficio di collocamento, mettendo a fuoco la situazione ai limiti dell’assurdo che Thierry deve fronteggiare: ha appena terminato un corso di formazione come gruista, ma non può essere assunto con questo ruolo in quanto privo di esperienza pregressa. Questo esordio crea un’empatia immediata tra lo spettatore e il protagonista, che sembra incastrato in un meccanismo inceppato. Spesso filmato ai bordi dell’inquadratura, Thierry è un personaggio che sta cercando il proprio posto nel mondo e per questo la macchina da presa pare spingerlo continuamente ai margini dell’immagine, specchio dei margini di un sistema incapace di reintegrarlo. Privilegiando i campi medi ai primi piani e il piano sequenza alla frammentazione, il regista accentua il realismo dei momenti ripresi, un effetto a cui contribuisce anche la scelta di non aggiungere una colonna sonora musicale per enfatizzare il dramma del personaggio. Questi aspetti rinviano immediatamente al cinema dei fratelli Dardenne, che nel loro ultimo film, Due giorni, una notte (2014), si sono occupati proprio del dramma del licenziamento.

Vincent Lindon, già presente nei due precedenti film del regista, qui ha a disposizione pochi dialoghi e deve dunque dare vita e profondità al personaggio solamente attraverso la propria presenza, con i gesti e le espressioni del volto. Thierry compare in tutte le inquadrature, di fronte o di spalle, e il suo corpo appare come una corazza che all’interno nasconde una profonda sofferenza. In virtù di questa caratteristica, agli occhi dello spettatore anche una banale contrattazione per la vendita della casa mobile di Thierry diviene una scena emotivamente intensa. La tensione è palpabile proprio perché non si tratta di una semplice trattativa, ma di una rinuncia di Thierry e di sua moglie, un sacrificio che sono disposti a compiere pur di evitarne altri. All’acquirente recalcitrante il protagonista oppone fermezza, perché la propria dignità – che in questo caso equivale a vendere al giusto prezzo – rappresenta un valore non negoziabile, nemmeno di fronte alle più gravi difficoltà economiche.

Il piano sequenza del colloquio via Skype con un reclutatore invisibile è esemplare in questo senso, poiché mostra la disumanizzazione a cui va incontro chi affronta da solo la ricerca di una stabilità e di un lavoro. Il faccia a faccia con lo schermo del computer, che viene filmato lateralmente, con Thierry ripreso di profilo, enfatizza da un lato la spersonalizzazione di cui è vittima il personaggio, che per l’interlocutore non è che un candidato tra migliaia, dall’altro l’assenza fisica dello stesso interlocutore davanti a Thierry. A dominare la scena è l’amarezza della condizione del protagonista, resa ancora più brutale dalla semplicità del dispositivo filmico impiegato: per descrivere quello che sta diventando il mondo del lavoro è sufficiente una ripresa fissa su un uomo che interloquisce con il computer, trattenendo la propria disperazione. Potere invisibile e intoccabile, il datore di lavoro indica con tono distante che Thierry potrà ricevere lo stipendio di un principiante nonostante la sua esperienza. E questi non può che accettare, senza battere ciglio. Il regista descrive la condizione del precariato mostrando la resistenza di un corpo che pare non ribellarsi mai al sistema, con la sua gestualità limitata e la sua laconicità. La costrizione e la sofferenza del corpo non sono che l’anticamera di una profonda questione morale. A partire dall’interpretazione di Lindon, ci si chiede dunque fino a che punto un essere umano possa sopportare una simile condizione, fisicamente e psicologicamente. Non a caso le lezioni di ballo a cui Thierry partecipa con la moglie, e su cui Brizé si sofferma, si rivelano come momenti obbligati di fuga da una situazione soffocante, che ha anche a che vedere con gli interrogativi sul futuro del figlio disabile. La rigidità abituale di Thierry, che si esprime a partire dalla postura, riesce a sciogliersi solo a ritmo di musica, in una delle rare sequenze in cui la tensione emotiva si fa più lieve.

All’apparenza La legge del mercato sembra mancare di una vera e propria evoluzione narrativa, dal momento che la prima parte si basa sulla semplice giustapposizione di scene autonome, che dipingono l’abisso in cui sta precipitando Thierry e, più in generale, le derive dell’attuale mercato del lavoro. Tuttavia è rintracciabile un momento di svolta importante, che inverte completamente il punto di vista: con il nuovo lavoro di sorvegliante nel supermercato, Thierry passa dall’essere colui che viene esaminato a colui che esamina, sia nei momenti in cui le telecamere di sicurezza rivelano qualche furto, sia nei successivi interrogatori ai sospetti. Questo slittamento del punto di vista è espresso attraverso lo sguardo rivolto a un’immagine filmata. Nella prima parte del film, durante uno dei corsi destinati ai disoccupati, Thierry assiste impotente alla valutazione della propria “performance”, in un video nel quale sostiene un colloquio di lavoro. I giovani che lo circondano analizzano ogni minimo dettaglio – la prossemica, la voce, l’attitudine – riportando freddamente le caratteristiche che lo renderebbero inadeguato agli occhi dell’interlocutore. Successivamente, Thierry si trova nella posizione opposta, chiamato a valutare l’agire dei clienti e dei colleghi del supermercato attraverso le immagini della videosorveglianza. Il regista spinge a interrogarsi su come il protagonista veda se stesso e questo cambiamento della propria posizione, ora che il suo ruolo consiste nel denunciare i colleghi e nel richiedere il denaro sottratto con i piccoli furti. La messa in scena degli interrogatori, che avvengono in una stanza asettica dalle mura bianche e spoglie, è rigorosamente frontale: Thierry è posto davanti a una serie di volti atterriti e imbarazzati che riflettono quello che lui stesso potrebbe divenire, laddove la povertà lo costringesse al furto.

Con La legge del mercato Stéphane Brizé cattura dunque la misura del dramma che accompagna chi è sfavorito da un sistema che non solo relega gli individui ai margini per inseguire la logica del profitto a ogni costo, ma è incapace di discernere la mancanza di integrità morale dalla necessità. A questa privazione di libertà, non più solo economica, ma anche etica, Thierry risponde con la fuga: all’ennesima occasione in cui il suo lavoro di sorvegliante lo porta a dover condannare qualcuno che ha rubato per necessità, raccoglie le sue cose e va via. In un mondo in cui l’eroismo è condannato all’estinzione, sopravvive la possibilità di una scelta e, con essa, la speranza nell’essere umano.



Il campo medio è un tipo di inquadratura di media ampiezza che tende a porre in evidenza sia il centro di interesse sia l’ambiente. Per piano sequenza si intende invece una tecnica di ripresa che consiste nel girare un’intera sequenza in un’unica inquadratura. La durata dell’inquadratura corrisponde dunque alla durata della sequenza. Questa tecnica rompe le regole del montaggio classico, che ricorre alla frammentazione in diverse inquadrature per strutturare una sequenza.
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