La geografia religiosa dell’Italia che cambia

L’Italia si trasforma in una società plurale anche dal punto di vista religioso. Le confessioni religiose si differenziano al loro interno per le diverse tradizioni e provenienze culturali. Anche la galassia cristiana conosce nuove configurazioni.
Fascicolo: febbraio 2020
Nel numero di febbraio di Aggiornamenti Sociali, Enzo Pace, sociologo delle religioni all'Università di Padova, analizza il fenomeno del pluralismo religioso in Italia. Pubblichiamo la parte introduttiva dell'articolo. Se sei abbonato puoi scaricare il pdf della versione integrale usando le tue credenziali. Se non sei abbonato puoi acquistare il singolo articolo, il fascicolo di febbraio oppure sottoscrivere un abbonamento. 


L’Italia sta cambiando anche dal punto di vista religioso: stiamo passando da una società storicamente plasmata da una religione dominante, il cattolicesimo, a una contrassegnata da elevata diversità religiosa, in gran parte inattesa e inedita. Da questo punto di vista, la società italiana non è più un’eccezione in Europa, un Paese che culturalmente rimane cattolico. Sta divenendo, invece, una società religiosamente plurale. Questa transizione ha un impatto significativo sulla società e la cultura del Paese, giacché le religioni hanno a che fare con la memoria collettiva e il sentimento di appartenenza a una storia comune e, allo stesso tempo, con la vita quotidiana di individui e famiglie, con i luoghi del sacro e di aggregazione sociale.

L’Italia sarà in futuro ancora cristiana e cattolica in larga parte, ma sarà anche musulmana, sikh, buddista e induista. La nuova geografia religiosa ci mostra da quanto lontano e da quanti diversi punti del globo provengano le nuove presenze. Ma una lettura più approfondita della realtà ci permette di cogliere un livello più profondo di pluralismo religioso: ci rendiamo rapidamente conto che è limitato riferirsi alla presenza dell’islam, dell’ortodossia, del buddismo, dell’induismo o del sikhismo al singolare, come se ciascuna di queste comunità religiose fosse un monolite dal punto di vista socioculturale. Presentano invece un certo grado di differenziazione interna, dovuta a una varietà di fattori: la diversa provenienza geografica dei migranti, le diverse tendenze e correnti di tipo sia spirituale-teologico sia politico-religioso, le varie appartenenze etniche, il grado più o meno elevato di pluralismo religioso del contesto di origine, i conflitti politici che toccano la vita religiosa e, infine, le diverse vicende che le singole persone hanno vissuto durante la loro esperienza migratoria. Non va dimenticato poi il variare del grado di adesione effettiva dei singoli alla confessione religiosa cui pure dichiarano di appartenere.

In quest’ultimo caso si tratta di un fenomeno ben noto anche all’interno del cattolicesimo, come esito, ad esempio, dei processi di secolarizzazione in atto da decenni nella società italiana: la progressiva diversificazione interna riguarda anche la comunità cattolica, sia per la sua evoluzione endogena, sia perché, come vedremo, il cattolicesimo è la religione di un numero significativo di immigrati.

Le pagine che seguono cercheranno di tratteggiare un profilo di questa nuova geografia religiosa del nostro Paese, escludendo metodologicamente la considerazione delle tradizioni religiose non cattoliche da più tempo radicate in Italia (ebraismo, confessioni riformate “tradizionali”, Testimoni di Geova) per concentrarsi sui cambiamenti indotti dai fenomeni migratori.

Uno sguardo d’insieme


Per le stime sull’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia facciamo riferimento ai dati pubblicati nell’edizione annuale del Dossier statistico immigrazione, curato dal 1991 al 2003 dalla Caritas di Roma e dal 2004 in poi dal Centro Studi e Ricerche IDOS (dapprima in collaborazione con Caritas italiana e Fondazione Migrantes, e più di recente con UNAR e Centro Studi Confronti, con il sostegno della Chiesa valdese). Con tutte le cautele dovute, in quanto si tratta di induzioni statistiche che non pretendono di descrivere l’effettiva adesione delle persone a una determinata fede religiosa, le cifre indicano la prevalenza numerica di tre “grandi famiglie” confessionali. La più numerosa è quella dei musulmani (circa 1,7 mln), tallonati dagli ortodossi (1,5 mln). Il terzo gruppo più numeroso (quasi un milione) è rappresentato dai cattolici giunti da diverse parti del mondo, spesso lontane e contraddistinte da percorsi storici diversificati. In termini comparativi, sono gli ortodossi ad aver conosciuto una crescita costante e più intensa rispetto alle altre due componenti.

Pur numericamente meno consistenti, altre presenze significative sono la comunità dei sikh, quelle buddiste provenienti da diversi Paesi asiatici (dalla Cina a Taiwan, dallo Sri Lanka alla Tailandia, dal Vietnam al Laos) e quella induista dal subcontinente indiano. Infine, va ricordata la diffusione di tante piccole (per ora) comunità che fanno riferimento al nuovo cristianesimo del Sud del mondo, di tipo carismatico, non facile da stimare data la strutturale frammentarietà e precarietà che le caratterizza.

Un quadro statisticamente più preciso ci viene fornito dal censimento dei luoghi di culto e dalla evoluzione del loro numero nel tempo. I dati del 2015 confermano una geografia religiosa profondamente mutata. Accanto alle storiche presenze della comunità ebraica, delle Chiese di matrice riformata e di confessioni di più recente formazione ma da tempo presenti sul nostro territorio (dai Testimoni di Geova alle Assemblee di Dio), in Italia risultavano 744 centri di preghiera musulmani (di cui solo 6 sono vere e proprie moschee); 486 parrocchie ortodosse; 38 templi sikh (gurudwara); 126 centri di meditazione buddisti, oltre ai templi di Prato, Roma e Verona; 2 templi induisti (mandir). Inoltre, esiste una quantità di piccole chiese neopentecostali latinoamericane, africane e cinesi (si stima che ci siano oltre 600 comunità).

Si tratta certo di una realtà ancora del tutto minoritaria rispetto alla rete capillare delle 28.000 parrocchie cattoliche (anche se non tutte ormai dispongono di un parroco a tempo pieno). Tuttavia, l’evoluzione dei numeri nel tempo ci consente di “misurare” la crescita delle diverse confessioni su tutto il territorio nazionale. Ad esempio, le parrocchie ortodosse passano dalle 355 del 2010 alle 486 del 2015. La metà circa fa capo alla Chiesa ortodossa romena, che ha conosciuto una crescita maggiore rispetto ad altre Chiese, passando da 34 parrocchie nel 2004 a 228 nel 2015. Allo stesso modo, le musallayat (o centri di preghiera per i musulmani), che erano meno di 300 nel 2004, si avviano oggi a superare le 800 unità. Se la grande moschea di Roma è stata inaugurata nel 1995, nei vent’anni successivi ne sono sorte altre cinque, più piccole.

I luoghi di culto islamici sono sparsi in tutto il territorio italiano, con una densità maggiore laddove lo sviluppo delle piccole e medie aziende, dei tanti distretti industriali del Nord e del Centro Italia, ha drenato dai Paesi a maggioranza musulmana molti immigrati: non solo il Maghreb (con in testa il Marocco, con il suo mezzo milione di donne e uomini ormai stabilmente presenti in Italia da almeno un paio di decenni), ma anche l’Egitto, il Pakistan e il Bangladesh. Oggi questi luoghi di culto non ospitano più solo i primi migranti, ma anche una nuova generazione di cittadini italiani che professano una religione diversa da quelle storicamente tradizionali nel Paese. Al loro interno si rende visibile il mutamento che ogni religione può subire con il passaggio delle generazioni e, nel caso specifico dell’islam, con l’adattamento che i primi migranti hanno dovuto compiere quando sono arrivati in un contesto molto diverso da quello di origine. Per molti si è trattato di uscire da una società in cui si apparteneva alla maggioranza religiosa per diventare invece minoranza, talvolta non gradita o guardata con sospetto.

Se il quadro d’insieme risulta già molto più variegato di quello a cui eravamo abituati, un esame più dettagliato dell’articolazione delle diverse presenze disegna uno scenario di pluralismo religioso assai più spinto.


 

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19 febbraio 2020
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