La città che sale
Milano da Tangentopoli al post-Expo, passando per il Covid, in attesa delle Olimpiadi, nel ricordo di Carlo Maria Martini
Marco Garzonio
San Paolo edizioni, Cinisello Balsamo (MI) 2021, pp. 368, € 22
Scriveva Calvino che di una città «non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Di domande, Milano, ne pone molte. Per cercare le risposte che è in grado di dare questa città densa, policentrica, territorialmente piccola ma ricca di conoscenze, culture e professionalità, è utile accostarsi all’ultimo libro di Marco Garzonio, vulcanico Presidente della Fondazione Ambrosianeum, istituto che è uno dei punti di riferimento del mondo culturale meneghino.
Nel suo La città che sale, Garzonio guida il lettore nei meandri della città di mezzo (Mediolanum per i romani), scrivendo, nel ricordo di un suggerimento di Martini, un “Rapporto dei Rapporti”. Già, perché il volume è soprattutto la riedizione, a mo’ di «venti medaglioni» (p. 16), delle presentazioni che Garzonio ha scritto sui volumi degli ultimi venti Rapporti sulla Città che Ambrosianeum pubblica dal 1990. Medaglioni preceduti da una pennellata dell’A. sugli ultimi trent’anni di vita di Milano. Sessanta pagine di cronaca che si fa storia, da una crisi di sistema (Tangentopoli) a un’altra (COVID-19), accorgendosi, al termine, che la cifra della città è proprio quella di «cimentarsi con la ricostruzione» (p. 301).
Questa «la nostra benedetta, maledetta città» (p. 293), per usare il titolo dell’ottava cattedra dei non credenti, quando Milano, guidata dal suo Cardinale, si cimentava nello sforzo di «pensare politicamente una città che non si arrende […] perché ha un progetto davanti a sé» (p. 293). Non a caso, l’A. usa la dizione “pensare politicamente”, perché rimanda a Giuseppe Lazzati, alla sua città dell’uomo, dove si praticano prossimità e ascolto, dove l’azione va a braccetto con il pensiero. Ne esce un quadro tormentato: esempi di solida etica cittadina privata e pubblica si intersecano con vizi diffusi ed egoismi miopi, ma nessuno dubita che la città possa costantemente risalire. Risorgeva Milano, scriveva nel 1947 il sindaco Greppi, quando, tra le macerie, si ricostruiva il Teatro alla Scala.
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