L’ondata dei migranti ambientali

Chiara Tintori
Siccità, calamità naturali, deforestazione sono alcune delle cause che portano milioni di persone ogni anno ad abbandonare le loro terre. Quanti sono? Difficile a dirsi con precisione, perché il più delle volte si tratta di migrazioni interne e perché il fattore ambientale può spesso diventare una concausa dello spostamento, assieme a guerre e altre forme di violenza. 

Così il Centre for Research of the Epidemiology of Disaster calcola che nel 2015 il numero di sfollati per calamità naturali è stato di 19,2 milioni in 113 diversi Paesi (per lo più asiatici). Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero essere 200-250 milioni, dei quali 50 milioni provenienti dalla sola Africa, con gravi ripercussioni sui flussi migratori verso l’Europa.

Eppure non vi è ancora una tutela giuridica da parte del diritto internazionale. Basterebbe? Forse no, ma sarebbe un primo passo verso il riconoscimento e la protezione da parte dei Paesi ospitanti. Intanto - come ricorda Maurizio Ambrosini in un altro post su questo sito - facciamo i conti con slogan mediatici, banali quanto imbarazzanti: «i migranti vanno aiutati a casa loro», oppure «non possiamo accoglierli tutti». Ma se la loro casa è stata compromessa da disastri naturali, resa inabitabile dallo sfruttamento delle risorse naturali - come l’acqua o altre materie prime – o da politiche scellerate? Se fossimo stati proprio noi a contribuire allo sfruttamento fino all’esaurimento di tali risorse per soddisfare i nostri consumi energetici? Se le conseguenze dei cambiamenti climatici rendono vulnerabili le loro terre, ma siamo noi ad immettere in atmosfera la concentrazione maggiore di anidride carbonica, pur di non modificare i nostri stili di vita?

Il degrado ambientale, assieme alle ingiustizie sociali e ai conflitti, è sempre più una concausa anche delle migrazioni. Se non invertiamo la rotta quanto prima, assumendo stili di vita personali e comunitari più sostenibili, l’ecosistema e l’organizzazione sociale collasseranno. 

Il destino del genere umano non può separarsi da quello della Terra in cui viviamo, noi e loro.


29 novembre 2016
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