L'Italia che va a scuola
Salvo Intravaia
Laterza, Bari-Roma 2012, pp. 205, € 12
Parlare di scuola partendo dai numeri. Cioè da una “fotografia” reale e
messa bene a fuoco, che non lasci spazi d’ombra o punti in cui la
cattiva risoluzione dell’immagine impedisca di distinguere colori,
figure, particolari. Perché di scuola scrivono – e si occupano – in
molti, forse troppi. E spesso senza un’adeguata conoscenza del quadro
generale di una realtà che coinvolge milioni di persone: dagli studenti
agli insegnanti ai genitori (ai nonni), passando per il personale
amministrativo, i collaboratori scolastici, i dirigenti, i funzionari
ministeriali, ecc. Un piccolo grande esercito nel quale è “arruolato”
anche Salvo Intravaia, professore in un liceo palermitano, cui si deve
questo prezioso volume pubblicato da Laterza e la cui ambizione è “solo”
quella di tracciare un quadro completo dell’universo-scuola del nostro
Paese, fornendo così una solida base informativa (le cifre sono
aggiornate al 31 dicembre 2011) su cui impiantare una qualunque
riflessione circa il buono o il cattivo funzionamento del settore e,
dunque, circa le possibili riforme di cui abbisogna per svolgere la sua
strategica e fondamentale mansione di formare gli italiani di domani.
Il
lavoro di Intravaia è diviso schematicamente in capitoli dedicati alle
diverse figure che “abitano” il mondo della scuola: gli insegnanti
(quanti sono, chi sono, quanto guadagnano e quanto lavorano), gli alunni
(numeri, presenze per nazionalità, tassi di frequenza e abbandono,
livelli di apprendimento, gap Nord-Sud), i dirigenti scolastici (con un
focus sui criteri con cui vengono selezionati), il personale ATA (i
bidelli di una volta), fino a toccare il tasto dolente degli edifici
scolastici e delle loro (cattive) condizioni di salute e dei costi
dell’intera “macchina”. Non manca un capitolo dedicato alle scuole
paritarie e al loro non sempre facile rapporto con il “pubblico”, tra
veti ideologici e vecchi pregiudizi. In chiusura l’A. traccia
un’inclemente sintesi del quindicennio di riforme che ha provato a
cambiare la nostra scuola, spesso riuscendo solo a peggiorarne le
performance in virtù di una mancata analisi condivisa a livello politico
nazionale e della presenza di rigidi steccati culturali. L’A. lancia
infine un preoccupante allarme circa il futuro prossimo del settore,
dove crescerà il numero degli insegnanti anziani e demotivati senza che –
almeno sin qui – ci si sia peritati di attivare modalità nuove di
formazione, selezione e, perché no, verifica delle capacità didattiche
dei docenti.
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