IVG e obiezione di coscienza italiane: molto rumore per nulla?

Rosario Sapienza
È stato diffuso l'11 aprile un comunicato del Comitato europeo dei diritti sociali, l’organismo del Consiglio d'Europa che vigila sull'applicazione della Carta Europea dei diritti sociali, che informa della decisione del Comitato stesso secondo la quale l'Italia ha violato il diritto alla salute delle donne che vogliono abortire, poiché esse incontrano "notevoli difficoltà" nell'accesso ai servizi per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), soprattutto a motivo dell'alto numero di medici obiettori di coscienza. Il diritto alla salute è garantito dall’articolo 11 della Carta.

La decisione ha avuto grande risalto sulla stampa nazionale, ma, come spesso accade è stata presentata in maniera imprecisa e sommaria.

Innanzitutto, non tutti gli organi di stampa hanno opportunamente chiarito che la decisione non è una sentenza come nel caso delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. Anzi qualcuno ha distrattamente identificato il Comitato con la Corte.

Ma non è così, dato che la Corte europea dei diritti dell’uomo è un tribunale che vigila sull’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e rende decisioni che gli Stati hanno l’obbligo giuridico di eseguire. Essa può essere adita anche da singoli cittadini che lamentino la violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione.

Il Comitato è invece un organismo di controllo di un altro trattato, la Carta europea dei diritti sociali del 1961 poi aggiornata nel 1996. Il Comitato non è un tribunale, non adotta sentenze e dunque non condanna né può essere adito da singoli ricorrenti. Può invece essere destinatario di ricorsi collettivi proposti da enti contemplati in un apposito elenco. Tra questi enti figura la CGIL che ha presentato il ricorso che sta alla base della decisione. Decisione che ha l’unico effetto di aprire un dialogo tra lo Stato destinatario e il Consiglio d’Europa.

Fatta questa doverosa precisazione, e senza voler in alcun modo minimizzare l’importanza della decisione del Comitato e la gravità della situazione cui essa si riferisce, occorre ancora precisare che la decisione di cui parliamo riproduce nella sostanza un’altra decisione del Comitato, quella depositata il 10 marzo 2014, con la quale il Comitato aveva già constatato la violazione da parte dell’Italia dell’art. 11 della Carta e sempre per la stessa ragione, ossia a causa dei troppi obiettori di coscienza. In quel caso il ricorso era stato presentato dalla Federazione internazionale per la pianificazione familiare (International Planned Parenthood Federation).

Ancora una volta il Comitato è tornato a pronunziarsi sul punto, atteso che secondo i ricorrenti di adesso, l’Italia non avrebbe operato in maniera fattiva per ovviare alla situazione oggetto già della prima decisione, quella del 2014. Che non riguarda, si badi, il diritto delle donne ad abortire o il diritto dei medici e del personale sanitario in genere all’obiezione di coscienza. Il punto è un altro: il Comitato afferma che una volta che uno Stato consente a certe condizioni l’IVG, deve poi mettere le donne che desiderino interrompere volontariamente la loro gravidanza nelle condizioni di poterlo fare senza eccessive difficoltà.

La questione è dunque meno complessa di come potrebbe apparire a prima vista. Effettivamente, comunque la si pensi sulla IGV, una volta che la legge la consente e nei limiti in cui la consente, chi la desidera dovrebbe essere messa nelle condizioni di procedervi. E’ poi verosimile che essendo notoriamente assai elevato in Italia il numero di coloro che hanno esercitato il diritto di obiezione di coscienza possano prodursi disagi nella prestazione dei servizi e, forse, come pure notavano i ricorrenti, un sovraccarico di lavoro per i sanitari non obiettori. E’ pure possibile che, rientrando la materia dell’assistenza sanitaria tra le competenze regionali, si diano situazioni differenti da regione a regione.

Tuttavia, in un comunicato diffuso dal Ministero della Salute nella stessa data dell’11 aprile, si fa notare che la decisione del Comitato non tiene conto di dati recenti sulla base dei quali l’Italia apparirebbe essersi attivata più di quanto i ricorrenti siano disposti ad ammettere e lo stesso Comitato a riconoscere.

In particolare, secondo il nostro Ministero della Salute “il dato generale mostra, come è noto, un più che dimezzamento di IVG da quando è entrata in vigore la legge: 233.976 le IVG nel 1983, 102.760 nel 2013 (e 97.535 nel 2014, primo anno in cui le IVG sono scese sotto la soglia delle 100.000). A questo dato corrisponde un valore sostanzialmente costante dei ginecologi non obiettori: 1607 nel 1983, e 1490 nel 2013, con un conseguente dimezzamento del numero di IVG settimanali, a livello nazionale, a carico dei ginecologi non obiettori, che nel 1983 effettuavano 3.3 IVG a testa a settimana (su 44 settimane lavorative), e ne effettuano 1.6 nel 2013”.

Certo si deve ammettere che è difficile farsi un’idea di come stiano le cose in verità. L’unica cosa che pare certa è che la materia dei diritti dell’uomo è ancora oggi, nel Terzo Millennio, una questione che appassiona soprattutto (o soltanto?) gli opposti schieramenti ideologici. Ed anche questa è una cosa sulla quale occorrerebbe riflettere di più.


13 aprile 2016
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