Senza cedere ai trionfalismi, dobbiamo riconoscere che lo sviluppo della Conferenza sul clima di Parigi sta rispondendo alle aspettative. Il Presidente della Conferenza, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, ha chiesto ai vari gruppi di lavoro di preparare, entro sabato 5 dicembre, un progetto coerente di accordo che avrebbe potuto poi essere discusso dai ministri durante questa settimana. Mentre nella settimana precedente sono stati gli esperti inviati dai diversi governi a reggere il peso dei negoziati, ora è il momento per i ministri (degli Esteri o dell'Ambiente) di prendere l'iniziativa. Questa seconda settimana è il tempo della politica, nel senso più alto del termine; è il momento di negoziare e, speriamo, il tempo per raggiungere accordi.
La richiesta di Fabius ha avuto una risposta positiva e sabato è stata resa nota una bozza di accordo. Questo metodo ha dato buoni frutti, se è vero che mercoledì 9 è stata prodotta
una nuova versione rivista con le ultime modifiche. E anche se a un primo colpo d'occhio lascia perplessi il fatto che il testo sia pieno di frasi tra parentesi, anche se resta la possibilità di opzioni molto diverse tra loro, a testimonianza che molti punti devono ancora essere concordati, il lato positivo è che le questioni cruciali sono già state identificate e la discussione sarà focalizzata su di esse. Questo è un passo avanti ed è un messaggio positivo per i negoziati.
Alcune delle questioni più critiche in questa fase sono le seguenti:
- La soglia limite dell'aumento della temperatura media globale fissata a 1,5 o «ben al di sotto» dei 2°C. Fissare la soglia a 1,5°C è l'unica decisione che può offrire possibilità di successo per decarbonizzare le nostre società entro il 2050. La discussione può sembrare irrilevante, visto che parliamo di una differenza di 0,5 gradi, ma può essere cruciale per molte persone e fare la differenza in termini di sopravvivenza.
- Il carattere obbligatorio dell'accordo. Questo è uno degli aspetti cruciali dei negoziati, anche se sono state proposte alcune alternative creative. Per molti Paesi è difficile accettare un'autorità esterna (internazionale) che impone obiettivi in materia di emissioni di anidride carbonica. Un'alternativa che viene presa in considerazione è che l'obbligo provenga dalla normativa nazionale: l'accordo internazionale potrebbe riconoscere l'obbligatorietà non in modo diretto, ma come risultato dell'attuazione della normativa nazionale. Questo potrebbe aprire uno spazio di collaborazione da parte degli Stati Uniti, per esempio.
- La possibilità di rivedere l'accordo ogni cinque anni. Questa opzione sta guadagnando sostegno nei negoziati. Può essere uno strumento efficace per allineare gli INDC (Intended Nationally Determined Contributions), ovvero gli obiettivi di riduzione delle emissioni proposti da ogni Stato, con i nuovi dati via via forniti dalla scienza sull'aumento delle temperature medie globali.
- Gli impegni finanziari. La cifra dei 100 miliardi di dollari entro il 2020 rimane un punto di riferimento molto concreto, e
come ha ricordato recentemente l'OCSE, il totale degli investimenti internazionali per la lotta ai cambiamenti climatici ammonta ora alla metà di quella cifra. Ma molte domande sono ancora aperte. In primo luogo occorre determinare chi contribuirà: Cina, India e Sudafrica resistono a contribuire, argomentando che essi hanno inquinato per molto meno tempo rispetto ai Paesi sviluppati. I Paesi sviluppati, dal canto loro, insistono sul fatto che questo deve essere uno sforzo comune, proporzionato alle capacità attuali. Certamente questo è un tema che può dare adito a discussioni pesanti. Accanto a questo c'è la preoccupazione della società civile su come questi soldi saranno spesi: il timore è che le istituzioni intermedie che gestiranno i fondi, vale a dire le banche di investimenti, utilizzino il denaro per finanziare grandi infrastrutture o persino per sostenere i dittatori - cosa che sta già accadendo -, senza che questi investimenti abbiano un impatto reale sulla vita di coloro che lottano di più per resistere agli impatti dei cambiamenti climatici.
Su tutti questi punti la discussione è aperta, il che fa sì che il risultato finale sia ad oggi imprevedibile, ma il tono delle comunicazioni, il contenuto delle bozze rese pubbliche e le responsabilità evidenti che sono in gioco in questi negoziati, tutto questo autorizza un certo ottimismo e la speranza che si raggiunga un accordo accettabile entro la fine della settimana.
The Ecojesuit Team