Il testo, curato da Maria Martello,
con i contributi di Tommaso
Greco, Roberto Bartoli, Luciana
Breggia, Letizia Tomassone e Pietro
Bovati, è un’opera complessa e
ricca, che si muove lungo le strade
intersecate del diritto, della filosofia
e della teologia. La curatrice si
propone di mostrare i possibili
mutamenti strutturali del sistema
della giustizia, forse ancora lontani
ma ampiamente realizzabili, e di
provare che la mediazione non è
solo un metodo alternativo alla
giustizia tradizionale, ma un potentissimo
strumento nella costruzione
e nella riconciliazione dei rapporti
umani. Alla base vi è una convinzione:
«L’umanità è chiamata ad una
scelta, è di fronte a due possibilità,
due polarità: l’ascoltare contro
il combattere. O ci ascoltiamo,
o combattiamo. Quando si vive
il conflitto dal lato dell’ascolto è
possibile una maturazione. Quando
si combatte si distrugge» (p. 7).
La prima parte de Il senso della
mediazione dei conflitti si apre con
un capitolo significativo, «Generiamo
una nuova mentalità». Mentre
il conflitto, inteso come sentimento
che proviamo, è parte della natura
umana ed è quindi inevitabile,
innanzitutto nella sfera individuale
ma anche in quella collettiva, il
conflitto inteso come scontro può
essere gestito o addirittura prevenuto,
diventando occasione di crescita
personale e sociale. Attraverso
i riferimenti a pensatori del calibro
di Salvatore Natoli e Marshall Rosenberg,
si ribadisce che il mediatore
non svolge un ruolo prettamente
tecnico, ma accompagna le parti a
comprendersi, al fine di trovare un
punto di incontro, senza giudicare
e riconoscendo i rispettivi e diversi
bisogni ed emozioni.
Il secondo capitolo affronta il
valore educativo della mediazione,
nella dimensione relazionale e nella gestione delle paure, dei dolori,
della sfiducia e delle incertezze. La
mediazione insegna ad accettare
la diversità altrui senza sentirsene
minacciati, bensì più consapevoli,
dunque più aperti al dialogo. Nel
focus dedicato al mediatore emerge
il ritratto di una persona saggia,
che non impone scelte, ma comprende,
ascolta e guida con umiltà,
tenerezza, creatività e assertività,
attraverso i doni dell’empatia e
dell’ascolto, oltre a quello preziosissimo
del silenzio, padre della
riflessione e dell’opportunità.
La seconda parte del testo
pone lo sguardo sulla giustizia
da angolazioni differenti, iniziando
dall’analisi del «diritto della
fiducia», basato sull’orizzontalità
dei rapporti tra le parti, della sua
declinazione in un’ottica di responsabilità
condivisa, in cui la giustizia
non si fonda più sulla coercizione,
ma sulla reciproca comprensione.
I testi selezionati si concentrano
sulle differenze tra giustizia
punitiva e giustizia riparativa, l’una
basata sul principio di retribuzione,
l’altra sulla riconciliazione, quindi
più coinvolgente per le parti e
capace di condurre a soluzioni più
umane e durature. Anche il sistema
giudiziario (notevole l’approfondimento
su quello italiano dopo
la riforma Cartabia) può risentire
positivamente della mediazione,
per ridurre il numero delle cause
penali e favorire la relazione tra le
parti.
Infine, si affronta la dimensione
più spirituale della mediazione, soprattutto
attraverso le esperienze
storiche di riconciliazione e i testi
sacri, fonte di una concezione di
perdono, che supera la vendetta e
tende a soluzioni che, nel giudizio,
riuniscono i legami spezzati. Per
costruire un tessuto sociale più
pacifico e più “giusto” è quindi
necessario avvicinarsi alla mediazione,
promuovendo la cultura del
dialogo. La curatrice auspica, con
un testo intenso e al contempo
scorrevole, la direzione in cui può
muoversi la giustizia, che non si
limita a punire i colpevoli, ma mira
a comprendere il valore delle relazioni
umane.