Il pane di ieri

Enzo Bianchi
Einaudi, Torino 2008, pp. 114, € 16,50
Scheda di: 
Fascicolo: aprile 2009
Il fondatore e priore della Comunità monastica di Bose (bi) ci consegna un libro in cui parla di sé, dei suoi ricordi, del suo passato. Racconti molto concreti, che tracciano il profilo dei suoi primi anni di vita nel dopoguerra, trascorsi nell’ambiente rurale del Monferrato, permettono di assaporare «il gusto e il sapore di una sapienza contadina che sapeva essere creativa e generosa per fare anche della propria ristrettezza un’occasione di festosa condivisione, perché da sempre i poveri sono quelli che sanno donare con gioia» (p. 64). La raccolta dell’uva, il Natale, la religiosità, i maestri di allora, la vecchiaia, l’importanza di non morire da soli sono alcuni dei passaggi salienti del libro, impreziosito da aneddoti curiosi e comandamenti dettati dalla saggezza popolare. Una sofferta solitudine, non troppo velata, attraversa tutti i racconti. «Se non c’era la fame, per molti c’era però ancora miseria e per tutti la vita era dura: dura per il lavoro della vigna, dura per l’isolamento in cui si viveva nelle cascine, dura per l’asprezza di una cultura intransigente in fatto di morale e austera nelle sue manifestazioni» (p. 7). La passione per l’orto, che per l’A. è stata palestra di vita («mi aiutava a capire perché occorre seminare in se stessi, coltivare se stessi, far crescere se stessi e attendere i frutti», p. 96), richiama la nostalgia per la cura del cibo: «Noi uomini abbiamo fame, siamo esseri di desiderio e il pane esprime la possibilità di trovare vita e felicità: da bambini mendichiamo il pane, divenuti adulti ce lo guadagniamo con il lavoro quotidiano, vivendo con gli altri siamo chiamati a condividerlo» (p. 44).
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