Il liberalismo e i suoi oppositori

Francis Fukuyama
UTET, Milano 2022, pp. 186, € 19
Scheda di: 
Fascicolo: novembre 2022

Che la democrazia sia in affanno ormai un po’ ovunque nel mondo è sotto gli occhi di tutti. Alcuni filosofi e scienziati della politica collegano l’attuale crisi e l’avanzata di populismi e nazionalismi di stampo sempre più autoritario al fallimento del paradigma liberale, cui lo sviluppo delle democrazie occidentali è indiscutibilmente legato. È contro questa tesi che Francis Fukuyama, politologo dell’Università di Stanford, rivolge la sua difesa appassionata del liberalismo, mostrandone ancora tutta la vitalità e le potenzialità nell’attuale difesa della democrazia. Consapevole del fatto che a tale concetto possono essere date diverse definizioni, Fukuyama lo caratterizza chiaramente fin dall’inizio secondo quattro elementi fondamentali: l’individualismo, l’egualitarismo, l’universalismo e il “migliorismo” (intendendo con quest’ultimo il fatto che «tutte le istituzioni sociali e le strutture politiche [sono] passibili di miglioramenti e correzioni», p. 15).

L’A., che già nella sua nota opera La fine della storia e l’ultimo uomo (1992) presentò la democrazia liberale come il culmine dell’evoluzione sociale e politica dell’umanità, dopo aver brevemente ripercorso le tappe storiche dello sviluppo del modello liberale, si concentra sulla critica alla tesi secondo cui questo sarebbe necessariamente destinato a degenerare o in forme estreme di neoliberismo o comunque verso forme estreme di rivendicazione di autonomia individuale, come riscontrabile anche in diverse manifestazioni di “progressismo” di sinistra. L’obiettivo principale pare qui essere l’accusa rivolta al liberalismo di spingere verso un individualismo estremo che porterebbe alla disgregazione del legame sociale, dando dunque origine, come reazione, a forti rivendicazioni identitarie, come si possono appunto riscontrare nei populismi e nazionalismi contemporanei. La tesi fondamentale dell’A. è che un autentico individualismo liberale non comporterebbe affatto una disgregazione della società, ma può al contrario fornire una visione dell’essere umano come individuo sì tendenzialmente egoista, ma anche “intensamente sociale”, che non può essere autenticamente felice «senza l’apporto e il riconoscimento dei suoi pari» (p. 52). Tale visione dell’uomo, frutto di un’evoluzione sociale e culturale che da forme più comunitarie e organiche si sarebbe mossa verso una più decisa valorizzazione dell’individuo, non sarebbe propria solo dell’Occidente, ma troverebbe radici anche in altre culture, e questo ne spiegherebbe il successo globale. Non da ultimo, questa visione continuerebbe ancora a risultare “vincente” anche in termini di prosperità economica prodotta e in termini di espansione dei diritti dell’individuo da essa supportata.

Dopo aver affrontato altri nodi fondamentali, come quelli legati alla critica postmodernista alla possibilità di ogni discorso razionale condiviso e alle sfide poste dai new media alla difesa della privacy e alla libertà di parola e di espressione, l’A. procede nell’ultimo capitolo a ricostruire una proposta di liberalismo che, pur partendo dai suoi presupposti più classici, possa superarne gli aspetti critici e le possibili derive.

L’opera, pur caratterizzata da un focus sul contesto sociale, politico e filosofico statunitense piuttosto netto (chiaro anche nei molti riferimenti alle vicende dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e ai primi mesi dell’Amministrazione Biden), si presenta agile e ricca di spunti anche per lettori di altra appartenenza culturale e geografica. Le tesi esposte si prestano a ogni modo a un interessante dibattito che non può che rimanere aperto: davvero un presupposto antropologico essenzialmente individualista come quello liberale può sufficientemente fondare quel legame sociale di cui si sente particolare bisogno in questo tempo di grandi stravolgimenti? Davvero così pacifica è l’adattabilità di altre culture al modello liberale, e così certa la sua “efficienza” e resilienza? Possono esistere forme di governo democratico diverse che non siano strettamente legate ai postulati di tale modello?

Come testimoniato dalla più recente cronaca politica (e non solo) globale, la diffusa crisi del modello democratico pare suscettibile di diverse chiavi di lettura e proposte di soluzione. Quella di Fukuyama, pur non esaustiva, getta senz’altro una luce interessante sul tema e apre un cammino di ulteriore ricerca.

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