Per quanto l’articolo 1 della Costituzione affermi che «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», i dati mostrano che la seconda parte di questo principio costituzionale è largamente disattesa.
Il lavoro in molte parti del nostro Paese non c’è e, quando c’è, spesso è mal retribuito oppure non ha le caratteristiche desiderate da lavoratori e imprese.
Nonostante il record storico registrato a giugno 2022 per quanto riguarda il
tasso di occupazione (il 60,1% della popolazione tra i 15 e i 64 anni è occupato), abbiamo un elevato
tasso di disoccupazione (cioè il rapporto tra disoccupati e forza lavoro: sempre a giugno 2022 era pari all’8%, contro la media del 6,1% nell’Unione europea). La situazione è particolarmente grave tra i giovani sotto i 25 anni (in Italia il 23,9% è disoccupato, mentre in Europa è il 14%). Molto preoccupante è anche il dato relativo alla
partecipazione femminile al mercato del lavoro (nel 2021 era il 59,4%, rispetto al 72,1% in Europa). Notevoli sono le differenze tra le competenze richieste dalle imprese e quelle possedute dai lavoratori (
mismatches), a livello sia territoriale sia settoriale. Gravissimo è il tema della
dinamica salariale: recentemente l’OCSE ha pubblicato i dati sulla variazione percentuale dei salari reali medi tra il 1990 e il 2020 nei Paesi dell’Unione Europea: in Italia è stata negativa (-2,9%), mentre in tutti gli altri Paesi membri è stata positiva (dal minimo della Spagna con il 6,2% alla Grecia con il 30,5%, la Francia e la Germania con il 31,1% e il 33,7% rispettivamente, fino alle Repubbliche baltiche dove la varia-zione è stata maggiore del 200%).
Questi dati, pur sommari, segnalano un problema grave e complesso che richiede interventi su diversi fronti. Non stupisce perciò che tutti gli schieramenti politici presentino nel proprio pro-gramma di governo una serie di proposte dedicate al tema del lavoro.
In linea generale le proposte dei diversi partiti relative al lavoro ruotano su alcuni grandi temi.
Un primo tema verte su
come incrementare il potere di acquisto dei lavoratori, soprattutto quelli che percepiscono salari più bassi. In questo campo, da una parte ci sono proposte che prevedono forme dirette di sostegno al reddito (salario minimo, sostenuto dal PD, M5S, Terzo polo, e Lega) e proposte che prevedono forme indirette di sostegno (taglio del cuneo fiscale, sostenuto da FdI, Lega, FI, M5S e Terzo polo).
Un secondo tema verte su
come incrementare l’occupazione e ridurre i mismatch. L’incremento dell’occupazione è promosso da forme di incentivi alle assunzioni (Centrodestra e Terzo polo) soprattutto se mirati a giovani e donne (PD e M5S), mentre l’incremento dell’occupabilità e la riduzione del
mismatch è affrontato potenziando gli ITS e le scuole di formazione (Terzo polo, M5S e FdI).
Un terzo tema verte sul
precariato e sulla
tutela dei lavoratori che vengono generalmente affrontati con interventi legislativi orientati a rendere più difficile offrire contratti di lavoro a tempo determinato (PD, M5S).
Come emerge dalla breve rassegna presentata, molte proposte si sovrappongono e si assomigliano; tuttavia, in generale possiamo dire che alcuni pongono maggior enfasi sulle
politiche di sostegno diretto al reddito (salario minimo, retribuzione di stage) e sugli
interventi normativi per limitare il precariato, mentre altri accentuano di più le forme di
sostegno indiretto (detassazione e taglio al cuneo fiscale) e gli
incentivi alle assunzioni.
Anche per la rilevanza che ha avuto nel dibattito politico negli ultimi anni, tutti gli schieramenti politici affrontano il tema del Reddito di Cittadinanza. Al di là degli aspetti specifici, il
reddito di Cittadinanza è stato concepito con due grandi obiettivi. Da una parte offrire uno strumento per contrastare forme di povertà, che purtroppo sono sempre più rilevanti nel nostro Paese. Dall’altra offrire uno strumento di attivazione del lavoro per chi è disoccupato o, peggio, per chi è rimasto troppo a lungo escluso dal mercato del lavoro e dunque non cerca più nemmeno una occupazione (i cosiddetti inattivi). Legare la ricezione di forme di sussidio (integrazione al reddito) alla ricerca attiva di un lavoro è senza dubbio corretto, come peraltro fatto da altri Paesi a cui il nostro modello si ispira (ad esempio la Danimarca). Tuttavia, è evidente che men-tre il primo obiettivo, ovvero quello di supporto/integrazione al reddito sia stato raggiunto, il secondo obiettivo è fallito in modo piuttosto clamoroso. I partiti politici nei loro programmi prevedono per questo motivo una revisione del RdC caratterizzata da vari gradi di radicalità. Mentre il M5S prevede tenui revisioni, il PD, Terzo polo e Centrodestra prevedono revisioni via via più rilevanti sino ad arrivare alla proposta della sua abolizione da parte di FdI.
Ex ante è difficile effettuare una valutazione di efficacia delle varie politiche proposte. La maggior parte contengono elementi assolutamente condivisibili. Alla fine
risulterà decisivo il dettaglio dei decreti attuativi che definiranno come e quando le proposte verranno applicate, quali risorse saranno (rese) disponibili e quali investimenti attuati.
Aggiungendo una nota conclusiva, ci sembra importante sottolineare l’
importanza del rapporto tra lavoro e impresa, che non sempre emerge adeguatamente nel dibattito politico. È senz’altro decisivo che, tra i fattori produttivi, il lavoro abbia la priorità rispetto al capitale, ma è anche fondamentale che, anziché essere in conflitto, siano complementari: si pensi, ad esempio, a quanto le macchine e le nuove tecnologie possono valorizzare la creatività e al contempo favorire la crescita della produttività.
Anche la Dottrina Sociale della Chiesa rimarca la maggiore dignità del lavoro – imprescindibile mezzo di sviluppo integrale della persona, nella sua dimensione individuale e relazionale, e di costruzione della comunità –, ma invita a stabilire rapporti virtuosi e costruttivi tra tutti gli attori del processo produttivo.
In questo senso, è opportuno sottolineare che
i “buoni” lavori sono prevalentemente offerti dalle “buone” imprese. Ovvero: le imprese che innovano, esportano, e investono in qualità so-no anche le imprese che sanno maggiormente valorizzare i propri lavoratori, offrendo loro condizioni lavorative più adeguate anche dal punto di vista retributivo. A questo si lega anche il tema delle condizioni generali in cui operano le imprese, la cosiddetta produttività totale dei fattori, che in Italia è stagnante e che è la principale causa della drammatica situazione salaria-le. In questo senso,
la migliore politica del lavoro può essere proprio la politica industriale [A tal proposito, cfr. sul nostro sito il contributo di Franco Mosconi «
Le politiche per le imprese»].
Suggeriamo quindi di leggere e valutare i programmi dei diversi partiti anche sulla base di questo criterio: la capacità di avere una visione integrata del mondo del lavoro e dell’impresa.