Il gioco sporco. L’uso dei migranti come arma impropria

Valerio Nicolosi
Rizzoli, Milano 2023
Scheda di: 
Fascicolo: maggio 2023

Potrebbe essere un romanzo d’avventura, magari di quelli a puntate come nel XIX secolo. Invece Il gioco sporco del giornalista e documentarista Valerio Nicolosi è un reportage sulla migrazione vista e vissuta in prima persona. Un’esperienza che si incide nella carne e nel cuore dell’A.: «Sono stanco di incontrare vivi che sembrano morti, che si muovono come spettri lungo le frontiere del vecchio continente. Sono stanco di essere il solo a ricordare i nomi dei morti. Sono stanco delle frontiere chiuse» (p. 176) dirà percorrendo il “sentiero della morte” che da Ventimiglia porta in Francia, oggi usato da uomini e donne che provengono dal Maghreb, dall’Africa subsahariana o dall’Asia, come ieri da italiani antifascisti o dagli ebrei dopo le leggi razziali.

 

Il gioco sporco è quasi un diario di viaggio, corredato alla fine da alcuni scatti che diventano molto significativi una volta conclusa la lettura: non si tratta di luoghi anonimi o di volti ignoti, perché ormai sono parte di noi. All’esperienza personale, alla raccolta di nomi, storie, immagini, l’A. aggiunge le proprie riflessioni, stralci di articoli di cronaca e atti giudiziari per farci entrare nel vissuto di migliaia di persone in fuga da guerre, carestie, diritti negati; persone che vengono messe a tacere per difendere il nostro benessere.

 

Sono diversi i viaggi descritti, diversi i confini della “fortezza Europa” che vengono visitati e narrati: Ventimiglia, le isole greche e il fiume Evros, la Bosnia con il game per tentare di vincere l’ingresso in Italia e in Europa; ma anche la guerra vista sul nascere a Kiev e le frontiere aperte da Siret in Romania a Przemysl in Polonia. «I profughi sono un’arma potente, più dei missili » (p. 272); lo sanno bene Putin, Erdogan e quanti si trovano a stringere accordi con l’Unione Europea o con i singoli Paesi (come l’Italia con Libia e Tunisia): destabilizzano la politica, condizionano l’opinione pubblica, sono fonte di reddito. Non hanno nomi, sono numeri da esibire per il rimpatrio o per tornaconto elettorale.

 

L’A. riesce a raccontare con tatto le diverse storie, mettendosi a fianco delle persone incontrate, camminando, mangiando, cantando con loro. In questo modo fa cogliere qualcosa che va oltre l’apparenza, oltre pure le differenze che esistono tra gli ucraini in fuga dalla guerra e gli afghani incontrati in Grecia o in Serbia: così «Julia in pochi minuti mi insegna una cosa: i profughi di guerra possono avere anche il giubbotto e la borsa firmata, ma sono i traumi che si portano dietro a definirli, non il loro aspetto» (p. 209). Oppure capire che chi fa da passeur spesso è un migrante che cerca di sopravvivere nella fuga, mentre «da “noi”, in Europa, la parola trafficante è solo ed esclusivamente negativa, non pensiamo a chi c’è dietro» (p. 102).

 

La delicatezza nel raccogliere la vita di queste persone si trasforma in una lucida riflessione sulle incoerenze del nostro tempo e della nostra Europa: da un lato si promuove l’Erasmus, dall’altro si mette il filo spinato ai confini nazionali; da una parte non ci sono fondi per l’accoglienza, dall’altra spendiamo milioni per finanziare Frontex o per delegare alla Turchia il compito di baluardo delle nostre frontiere; si vuole esportare la democrazia ma non accogliamo chi scappa dalle guerre che ci vedono a vario titolo coinvolti.

 

Uno stile di scrittura così coinvolgente non lascia scampo e ci riporta alla nostra situazione. Siamo nati con il passaporto bordeaux, abbiamo enormi possibilità che diventano responsabilità: utilizzare questi beni, capendo come essere portatori di bene. Una strada è quella di divenire consapevoli di quanto sta accadendo. Come spiega Mustafa: «Ho visto persone morire, ho pensato di morire. Viaggio con i miei figli e i miei nipoti da anni. Siamo stati picchiati dalle polizie di diverse nazioni. Non mi spaventa il futuro, vorrei solo poterne averne uno» (p. 107). Come comprendiamo da quanto l’A. descrive, questo futuro lo possiamo scrivere insieme. O perlomeno abbiamo la facoltà di renderlo possibile.

 

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