Alcuni concetti della psicoanalisi fanno ormai parte di un sapere comune, come il “complesso di Edipo”, introdotto per descrivere quello stadio della crescita in cui il bambino, fra i tre e i cinque anni, vive un attaccamento possessivo verso il genitore di sesso opposto e desidera escludere l’altro da questo rapporto. Avendo ucciso – a sua insaputa – il padre e sposato la madre, Edipo, eroe delle tragedie greche di Sofocle, è stato scelto come emblema di tale situazione.
In quel periodo dell’infanzia una delle funzioni genitoriali, del padre in particolare, consiste nell’aiutare il bambino ad andare oltre la volontà di possedere l’altro e goderne a piacimento in modo esclusivo, mettendolo di fronte a «la Legge dell’Altro», secondo la definizione di Jacques Lacan. Questo psicoanalista francese (1901-1981) ha reinterpretato il “complesso di Edipo” andando oltre l’ambito strettamente sessuale: si tratta di un momento necessario per accedere alla socialità, attraverso una «castrazione simbolica» mediata dal linguaggio. Il padre, infatti, inserendosi nella relazione fra madre e figlio, impedisce al bambino di ridurre l’altro a un puro oggetto per soddisfare il suo istinto, basato sul principio del piacere, e introduce nella sua vita, per mezzo del linguaggio, il limite della legge come condizione necessaria a stabilire una sana relazione con sé e gli altri.
Ma cosa succede se il padre perde questo compito o vi rinuncia? È ancora possibile parlare di un “complesso di Edipo” o è necessario trovare un’altra metafora per descrivere il processo di crescita psicologica del bambino contemporaneo? Questa è la domanda di fondo da cui nasce la riflessione di Massimo Recalcati, filosofo e psicoanalista italiano, a cui si deve la ripresa e l’attualizzazione degli studi compiuti da Lacan negli anni ’60-’70.
Secondo l’A. la crisi attuale della figura paterna comporta l’insorgere nei figli di un “complesso di Telemaco”: il figlio di Ulisse, presentato da Omero nell’Odissea in fiduciosa attesa del ritorno del padre a Itaca, è il personaggio della mitologia greca da prendere come emblema della situazione infantile odierna. Infatti, se da una parte «l’autorità simbolica del padre […] è irreversibilmente tramontata», dall’altra «nuovi segnali, sempre più insistenti, giungono dalla società civile, dal mondo della politica e della cultura, a rilanciare una inedita e pressante domanda di padre» (p. 11).
Il nucleo di questa intuizione si trova in un precedente volume di Recalcati, Cosa resta del padre? (Raffaello Cortina Editore, Milano 2011), il cui titolo è indicativo della prospettiva dell’A.: la questione non è come restaurare «l’antica e perduta potenza simbolica» del padre, ma chiedersi cosa ne resta «nel tempo della sua dissoluzione» (p. 12). Riprendendo alcune tesi degli studi precedenti e basate sull’analisi di Lacan, Recalcati espone la sua risposta a partire dalla psicologia sociale, esaminando gli effetti psicologici dell’interazione fra l’individuo e l’ambiente in cui vive.
Da questo punto di vista, il «tramonto del padre» fa parte di un più ampio processo di «mutazione antropologica» esaminato dall’A. in un altro suo testo, L’uomo senza inconscio (Raffaello Cortina Editore, Milano 2010): la «Civiltà ipermoderna» è dominata dal «discorso del capitalista», una figura concettuale introdotta da Lacan per caratterizzare un legame sociale basato su un godimento senza limiti, compulsivo, la cui diffusione è favorita dal venir meno, a livello individuale, di quella «castrazione simbolica» che spetterebbe alla figura paterna. In termini psicologici l’interazione di questi due fattori – l’eclissi del padre e i comportamenti indotti dal capitalismo – determina la perdita, nell’uomo contemporaneo, dell’esperienza dell’inconscio descritta da Freud, basata sul carattere indistruttibile del desiderio: lo si può rimuovere, ma non eliminare.
Questo manifesta l’apertura del soggetto all’Altro, incrinando l’ideale morale dell’autosufficienza e rivelandogli il suo essere, in realtà, “assoggetto”. Ma senza l’esperienza del limite non si dà neanche quella del desiderio, il quale necessita, per sussistere, di allearsi con la legge in una tensione conflittuale che li unisce e distingue allo stesso tempo: il soggetto freudiano si realizza nella convergenza «tra il programma normativo del principio di realtà e quello edonistico del principio di piacere» (cfr L’uomo senza inconscio, pp. 3-14).
Ora, però, nel «discorso del capitalista» il godimento illimitato annichilisce il desiderio, perché diventa esso stesso la legge, soffocando nel narcisismo la differenza fra soggetto e oggetto e impedendo l’accesso a una verità trascendente. L’uomo diventa, appunto, senza inconscio e questo comporta la distruzione di ogni legame a livello sociale e uno stato di continua insoddisfazione a livello individuale. Da questa condizione di sofferenza nasce la rinnovata «domanda di padre» come elemento necessario al raggiungimento dell’alleanza fra legge e desiderio, esaminata ne Il complesso di Telemaco.
Nella prima parte di questo studio l’A. riprende i temi di fondo della sua riflessione in materia, esponendoli in forma divulgativa attraverso il riferimento al cinema: Habemus papam di Nanni Moretti e Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini sono interpretati alla luce dell’«evaporazione del padre» e del «discorso del capitalista». Il Papa riluttante ad assumere il ruolo assegnatogli è come un padre incapace «di sostenere il peso simbolico di una parola che vorrebbe poter dire ancora il senso ultimo del mondo, del bene e del male, della vita e della morte» (p. 21). I libertini sadici che oltraggiano cinicamente i corpi delle loro vittime «mostrano che il nostro tempo ha fatto del godimento un imperativo che anziché liberare la vita la opprime rendendola schiava» (p. 24).
In questo scenario, la lotta di Telemaco per difendere sua madre Penelope dalle insidie dei principi di Itaca, i Proci, è figura del figlio in cerca della legge, sparita dalla città insieme al padre Ulisse. Non si tratta di far rispettare un codice di leggi particolari, ma del ripristino della Legge delle Leggi secondo la psicoanalisi: quella della parola. Infatti il linguaggio «agisce come una struttura di separazione imponendo alla vita una perdita di vita come condizione della sua umanizzazione», perché «non si può parlare quando si mangia e non ci si può sottrarre ai vincoli che le leggi del linguaggio impongono alla comunicazione» (p. 30). Tale perdita non è mortificazione, ma salvezza, perché consente al desiderio di esercitare la sua potenza generativa, impedendogli di cadere nell’abisso di un godimento mortifero.
In un secondo momento l’A. ritorna sul ruolo genitoriale, cui spetta il compito di trasmettere la Legge della parola. La difficoltà in questo ambito deriva dalla confusione delle generazioni, per cui i genitori si assimilano ai loro figli. Si assiste ad una «minorizzazione generalizzata degli adulti» (p. 63) nel senso di una incapacità ad assumersi la responsabilità implicita in ogni atto educativo, manifestata dal crescente ricorso al giudice come un terzo necessario a dirimere le questioni familiari. Questo a sua volta scredita il significato simbolico della Legge, che «implicherebbe per i genitori saper rinunciare alle aspettative narcisistiche sui loro figli» (p. 61), perché lo confonde e riduce all’esistenza dei codici.
Negli ultimi due capitoli l’A. si concentra sul figlio, di cui delinea quattro figure: l’Edipo, l’Anti-Edipo, il Narciso e il Telemaco. La prima è quella classica e caratterizza le generazioni prima del ’68, periodo in cui emerge la seconda, quella del figlio che «non vorrebbe essere in conflitto col padre perché vorrebbe essere senza padre» (p. 97). La terza è frutto della confusione fra le generazioni ed è emersa nel periodo del «riflusso», gli anni ’80, arrivando fino alla presente crisi economica. Oggi, invece, è il tempo di Telemaco, il figlio che «fa esistere, insieme a Penelope, il Nome del Padre. In questo egli è sulla stessa scia di Gesù» (p. 117), perché è l’erede giusto. Infatti, quel che resta del padre, secondo Recalcati, è l’eredità, costituita dalla testimonianza di come lui stesso sia riuscito ad incarnare la passione del desiderio senza eliminare l’autorità della legge (cfr Cosa resta del padre?, pp. 77-86).
Un tale lascito ereditario «non è un’obbligazione, sebbene implichi un vincolo, un debito simbolico», ma richiede una riconquista: «per ereditare qualcosa dall’Altro, per essere un vero erede […] è necessario un movimento soggettivo di ripresa» (Il complesso di Telemaco, p. 120). In questo tentativo si può sempre fallire, ripetendo semplicemente il passato per un eccesso di identificazione o rifiutando la memoria in nome di una libertà senza responsabilità. Telemaco è il giusto erede perché, a partire dall’assenza del padre Ulisse, si mette in viaggio per cercarlo, col rischio di smarrirsi, ma assumendo con coraggio la sua condizione di orfano come eredità consistente nella «possibilità del desiderio […]. La vita si umanizza solo attraverso il desiderio dell’Altro» (p. 138).
Il complesso di Telemaco offre delle utili chiavi di lettura per situare e rilanciare la relazione fra padre e figlio nel contesto occidentale contemporaneo. Il punto di vista della psicologia sociale adottato da Recalcati risulta penetrante e capace di dialogare con altre discipline ed espressioni della cultura. Tuttavia, l’analisi sociologica ci sembra meno sviluppata di quella psicologica. Ad esempio, non viene preso in considerazione il mutamento nel ruolo sociale della donna: può Ulisse lasciare la sua eredità e Telemaco può diventare un giusto erede senza la collaborazione di Penelope?
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