Il carbone è duro a morire

Chiara Tintori
Speravo di assistere alla fine dell’età del carbone, ma ancora non è così.
Donald Trump continua a mantenere le sue promesse elettorali. Martedì 28 marzo ha firmato l’ordine esecutivo «Energy Indipendence», che elimina, tra l’altro, il bando sulle concessioni federali per il carbone e le norme per ridurre le emissioni di metano nella produzione di petrolio e gas.

Nel mese di gennaio abbiamo assistito alla rimessa in funzione di alcune centrali a carbone nel nostro territorio, per fornire soccorso alla Francia in deficit di energia, poiché 21 centrali nucleari (su 58) erano ferme per manutenzione.

Anche in Cina, sebbene vi risiedano alcune tra le maggiori compagnie produttrici di energia fotovoltaica e di turbine eoliche, la percentuale di carbone nel mix energetico rimane di gran lunga la più alta al mondo (67%) e si continuano a costruire nuove centrali, senza dismettere quelle vecchie.

Il continuo uso del carbone, senza incrementare le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio – la cui sostenibilità economica è molto incerta – è del tutto incompatibile con gli obiettivi posti dalla lotta ai cambiamenti climatici. Ovvero, il processo di transizione energetica, ingrediente essenziale per tenere a bada il riscaldamento del nostro Pianeta, non può fare a meno della dismissione del carbone. Abbiamo a che fare con una fonte di energia fossile, della famiglia del petrolio e gas naturale, una famiglia che al momento garantisce il 78% dei consumi mondiali e l’81% di quelli italiani. Per avviarsi verso un uso residuale delle fonti fossili è quanto mai urgente una strategia energetica nazionale integrata, che sappia far dialogare comparti diversi, dai trasporti all’agricoltura, passando anche per l’edilizia e la gestione forestale. Con l'auspicio che la decarbonizzazione vada a braccetto con un’economia sempre più circolare.
29 marzo 2017
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