«Come non bastano le antiche glorie a darci la grandezza presente, così non bastano i presenti difetti a toglierci la grandezza futura, se sappiamo volere, se vogliamo sinceramente rinnovarci». Questa citazione di Piero Gobetti, utilizzata in apertura, racchiude il messaggio de I sette peccati capitali dell’economia italiana, l’ultimo libro di Carlo Cottarelli, già Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica e attualmente Direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, pubblicato da Feltrinelli nel marzo scorso.
Nelle 160 pagine scorrevoli, esaustive e accessibili a tutti, l’A. riesce a descrivere perfettamente la situazione precaria e instabile in cui si collocano gli italiani e i politici che li governano: o si incomincia a risalire la china e a invertire la rotta del Paese o la situazione peggiorerà ulteriormente, tertium non datur. Anche nella scelta provocatoria del titolo – il richiamo ai vizi che ostacolano il perseguimento del bene, in contrapposizione alle virtù che permettono all’anima di crescere e migliorare – possiamo trovare lo spirito construens del libro.
Secondo Cottarelli i sette peccati principali di cui si macchia da decenni il nostro sistema Paese sono l’evasione fiscale, la corruzione, la soffocante burocrazia, la lentezza della giustizia, il crollo demografico, il divario tra Nord e Sud e la difficoltà a convivere con l’euro, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo del libro. L’A. riconosce che la scelta da lui compiuta non sia esaustiva, ma sottolinea l’importanza di questi peccati anche nella genesi di altri vizi minori italiani.
Ogni capitolo presenta la stessa struttura, favorendo così moltissimo la funzione didattica del testo senza che il messaggio risulti paternalistico. All’inizio viene definito chiaramente il problema di cui si parla, inserendolo nel contesto nazionale con abbondanza di dati e riferimenti, segue un tentativo di spiegazione del perché si sia arrivati alla situazione attuale e infine si procede facendo dei raffronti con le condizioni degli altri Paesi. I capitoli proseguono poi con l’elenco di quanto è stato realizzato negli ultimi anni per cercare di risolvere i problemi in esame e la proposta di qualche suggerimento su come la politica potrebbe intervenire.
Il libro, inoltre, permette di trovare i legami intercorrenti tra questi sette vizi, evidenziandone l’effetto amplificatore reciproco. Prendiamo come esempio l’evasione fiscale: essa sembra trovare una qualche giustificazione (da parte degli evasori) nella complessità delle norme e nell’onerosità degli adempimenti burocratici; gli stessi adempimenti, però, sono utili e necessari per contrastare l’elevata corruzione italiana che richiede per questo controlli approfonditi, che rallentano così ogni passaggio in cui sia coinvolta la Pubblica amministrazione. Un altro esempio riguarda la lentezza della giustizia, intrinsecamente legata alla diffusione della corruzione e strettamente imparentata con l’eccesso di burocrazia. Tutto si tiene in un groviglio vizioso da cui sembra impossibile uscire. Cottarelli rinfranca però il lettore, scoraggiato davanti a questo coacervo di problemi e di limiti, offrendo diverse soluzioni e spiegando come la riduzione di anche solo uno di questi peccati capitali possa avere fin da subito alcuni effetti positivi su tutti gli altri, innescando così un circolo virtuoso da cui il Paese può solo trarre beneficio.
Un filo conduttore è la descrizione degli effetti negativi che ciascuno dei sette peccati ha sulla situazione economica. In prima battuta si fa riferimento allo stato dei conti pubblici e alle eventuali maggiori spese o minori entrate che il singolo problema comporterebbe, per arrivare agli effetti sulla concorrenza e sul mercato, che sono i motori dell’argano che pian piano dovrebbe aiutarci a uscire dalle sabbie mobili. L’A. offre ai non addetti ai lavori qualche spunto di riflessione su come alcune attività distorcano indirettamente la concorrenza, premiando i meno meritevoli, o come altre siano un freno al dinamismo virtuoso dei meritevoli; così come un altro aspetto non scontato è la spiegazione dei potenziali effetti negativi di breve periodo che avrebbe una riduzione dell’evasione fiscale, ad esempio la contrazione del PIL per la diminuzione della domanda aggregata derivante dal minor reddito disponibile dei consumatori, ma che sarebbero poi evidentemente superati dalla riduzione di questa piaga.
L’efficacia divulgativa del libro emerge soprattutto nel capitolo sulla nostra difficoltà a convivere con l’euro, dove sono enucleati con chiarezza e precisione i problemi derivanti dall’utilizzare la moneta unica insieme al resto d’Europa, rinunciando così a strumenti di politica monetaria quali la fissazione dei tassi ed essendo soggetti a decisioni prese in base alle condizioni medie europee e non a quelle specifiche nazionali. Viene spiegato che cosa abbia causato il nostro svantaggio competitivo, come le operazioni della Banca centrale europea ci abbiano tenuto a galla negli ultimi anni e infine viene discusso che cosa potrebbe succedere se uscissimo dall’euro. Senza remore Cottarelli spiega che, in effetti, una svalutazione della nuova lira darebbe slancio all’economia tramite le esportazioni, ma questo meccanismo potrebbe funzionare a patto che i salari e i prezzi interni rimangano invariati nonostante l’aumento dei prezzi dei beni importati, tra tutti ovviamente le materie prime. L’intera popolazione si ritroverebbe così più povera. Fra tutte, colpisce una frase dell’A. che racchiude il messaggio di uno dei capitoli: «Sarebbe come voler giocare in serie B solo perché non riusciamo a vincere il campionato di serie A» (p. 138).
Tutti i sette peccati dell’economia italiana sono però riconducibili a un unico vizio: la mancanza di “capitale sociale”, causa o aggravante di tutti gli altri. Cottarelli la definisce come «la capacità di incorporare nelle proprie decisioni le conseguenze che le proprie azioni hanno sugli altri» (p. 29), che non è altro che una declinazione diversa di quello che tradizionalmente viene definito “senso dello Stato” o “rispetto della cosa pubblica”. L’Italia dei sette peccati si rivela un Paese di furbetti posizionati a difesa dei propri egoismi, incapaci di avere fiducia nel comportamento civile del prossimo perché guidati da un irrinunciabile individualismo immaturo, sempre in attesa di qualcuno o qualcosa che risolva i problemi creati da noi medesimi.
I pezzi del puzzle ci sono forse noti da tempo, ma Cottarelli li compone mostrando la nefasta armonia dei nostri vizi. Vedere elencati tutti gli effetti negativi che anche piccoli comportamenti individuali hanno sulla collettività fa riflettere sulla grave responsabilità di una certa classe dirigente che ha reso socialmente accettabile il comportamento furbesco del “così fan tutti”, facendo sentire degli “utili idioti” quanti rispettavano le regole. Tutto questo fa arrabbiare, perché emerge chiaramente come il cambiamento e la svolta siano ipoteticamente ottenibili con facilità, se solo ciascuno di noi facesse semplicemente “il proprio dovere”.
Il cambiamento dal basso è auspicato, ma purtroppo non viene considerato così probabile, soprattutto se non verrà aiutato da scelte politiche che possano incentivare i comportamenti meritevoli e scoraggiare quelli dannosi e fraudolenti. Per ognuno dei peccati l’A. propone allora delle soluzioni, che potrebbero benissimo essere un programma di Governo: viene sottolineata in particolare la necessità di sguardi di lungo periodo, di politiche stabili (niente bonus o condoni) e coerenti perché per modificare le scelte e le abitudini di un Paese non ci si può permettere di fare scelte contraddittorie. Non ci rimane, quindi, che consigliarne la lettura ai membri di qualsiasi Governo dovesse insediarsi.