I "se" e i "ma" della nonviolenza

La risposta armata appare l’unica, inevitabile risposta a una aggressione armata. La tradizione della nonviolenza ci invita ad allargare lo sguardo, per scoprire dove, tra le pieghe della complessità, si possono aprire vie per modelli di difesa alternativi.

 

Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento; membro dell’esecutivo Rete italiana pace e disarmo

 

La richiesta «armi, armi, armi», formulata il 7 aprile dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba al Consiglio atlantico, mi ha ricordato le parole del maresciallo di Francia Gian Giacomo Trivulzio, che nel 1499, in vista della conquista di Milano, al re Luigi XII chiedeva di preparare «danari, danari, e poi danari». Da sempre la guerra non la vince chi ha ragione – oggi l’Ucraina –, ma chi ha più capacità distruttiva. Infatti il Segretario generale della NATO Stoltenberg ha dichiarato: «I membri dell’Alleanza sostengono l’Ucraina da anni, addestrando centinaia di migliaia di militari ucraini. E ora stanno fornendo equipaggiamenti per sostenere il vostro diritto all’autodifesa. È urgente un ulteriore sostegno e oggi […] affronteremo il bisogno di più sistemi di difesa aerea, armi anticarro, armi leggere e pesanti».

Al Governo ucraino questo non basta ancora: «Per quanto riguarda l’Ucraina – ha replicato il Ministro – non ha senso la differenza tra armi difensive e offensive: qualsiasi arma usata in territorio ucraino dall’esercito ucraino contro un aggressore straniero è difensiva per definizione», definendo ipocriti quei Paesi che continuano a mantenere la distinzione. Seguendo questa logica, anche l’utilizzo di armi tattiche nucleari per fermare o rispondere all’aggressore può essere definito difensivo. E così, tolto il velo dell’ipocrisia alla distinzione tra armi offensive o difensive, possiamo imboccare la strada dell’escalation continua. È la logica di tutte le guerre, tutte così terribilmente uguali, giuste o sbagliate che siano.

Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra di difesa ucraina? Questo è un punto decisivo della discussione. Al pacifismo senza se e senza ma, ho sempre preferito la nonviolenza con tanti se e tanti ma. Dunque provo a ragionare utilizzando alcuni di questi se e ma.

Il Governo di Zelensky chiede più armi per difendersi, presentandosi come baluardo dell’Europa contro le minacce espansionistiche russe. All’Europa non par vero di garantire profitti alle industrie belliche nazionali e far combattere una guerra per procura all’Ucraina. Ma in Ucraina non c’è una sola voce. Il Governo chiede “armi, armi, armi”; invece altre voci, come la Croce Rossa ucraina, chiedono “cibo, cibo, cibo”, e altre ancora, come i pacifisti di Kiev, chiedono “verità, verità, verità”. Dunque le richieste sono molte e non è vero che c’è identità totale tra il popolo ucraino e la sue forze armate, così come non c’è solo una resistenza armata, ma anche una resistenza civile che non vuole partecipare alla guerra, ma vuole difendersi ugualmente. È possibile e realistica una scelta simile?

La volontà comune ucraina, espressa in queste drammatiche settimane, di non cedere, di non farsi sottomettere, di resistere, di rifiutare l’invasione, ha colpito il mondo intero. L’identità nazionale, l’orgoglio, il sentimento di essere un popolo unito e forte, è forse ciò che più mi ha impressionato. Se questa forza morale fosse stata usata al posto delle armi, che cosa sarebbe accaduto? Se all’entrata dei primi carri armati russi in Ucraina, il Governo, con i sindacati, avesse dichiarato lo sciopero generale, se tutta la popolazione ucraina fosse stata invitata a scendere nelle strade e nelle piazze, con la volontà di bloccare quei carri armati, senza collaborare in alcun modo con le truppe di invasione, chiudendo tutti i servizi pubblici, fermando tutti i mezzi di trasporto, bloccando per uno, due, tre, giorni o mesi tutto il Paese, sollecitando la solidarietà internazionale, dicendosi indisponibili a fare la guerra, ma determinati fino alla fine a resistere e non riconoscere in alcun modo l’occupazione, come avrebbero reagito i russi? Che cosa avrebbe fatto l’esercito invasore? Fino a dove sarebbe riuscito ad avanzare?

Un popolo pronto a non collaborare in alcun modo con l’invasore è invincibile. Nessun tiranno riesce a governare un popolo che rifiuta la servitù volontaria, con la resistenza passiva, la disobbedienza civile, la non collaborazione, il boicottaggio e il sabotaggio continuo. Forse proprio in Ucraina c’erano le condizioni storiche, sociali, politiche migliori per attuare questa forma di resistenza nonviolenta. Se vi fosse stata una leadership preparata.

Non è utopia, nella storia è già avvenuto. «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione, contro la guerra, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine», sono le parole del partigiano Sandro Pertini diffuse il 25 aprile 1945 dai microfoni di Radio Milano Liberata. Quello stesso Pertini che nel 1979, da presidente della Repubblica, affermò: «Si vuotino gli arsenali, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita».

Se anziché dal nazionalista in tuta mimetica Zelensky, il popolo ucraino fosse guidato da un nazionalista spirituale come Gandhi, nonviolento ma altrettanto determinato a salvare il suo popolo, a che punto saremmo oggi? In Ucraina c’è chi ha proposto e tentato questa strada, ci sono obiettori di coscienza che resistono senza prendere le armi, ma sono un’infima minoranza, inascoltata, censurata, nascosta. Il Governo ucraino ha considerato solo la risposta militare, bellica, di scontro sul campo. Le armi della NATO aumenteranno la potenza di fuoco, a cui la Russia risponderà con nuove stragi e nuovi orrori. Alla fine forse l’Ucraina vincerà, ma a che prezzo? E se perderà?

Accettare di scendere sul terreno dello scontro armato, della guerra, comporta questi rischi, e alla fine si fa la conta dei morti. Resistere civilmente, con la nonviolenza attiva, è ugualmente rischioso, ma alla fine si fa la conta dei salvati. 

11 aprile 2022
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