I gemiti della creazione

Fascicolo: ottobre 2020
Tags: BIBBIA ; CREAZIONE

Il creato, afferma san Paolo, geme e soffre le doglie del parto (Romani 8,22). Questa affermazione, scritta quando ancora non era possibile immaginare lo scenario di devastazione ambientale e sociale del nostro tempo, è stata ripresa dall’enciclica Laudato si’ per accusare un modello economico che sfrutta e opprime tanto l’ambiente naturale, quanto i più poveri fra gli esseri umani. Il «grido» della terra e dei poveri (LS, n. 49) denuncia «la violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato» (LS, n. 2) e che non appartiene soltanto all’ordine economico e sociale, ma investe le sfere dell’etica e della fede.

Infatti – continua san Paolo nella Lettera ai Romani – anche noi gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli (8,23) e lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili (8,26). Significa che questo gemito è l’espressione di un cammino che l’umanità, e con essa il creato, con la presenza operante dello Spirito, stanno compiendo: è il cammino del travaglio di un parto, di una vita che chiede di venire alla luce.

Tutti i credenti sono chiamati a condividere il gemito del creato che soffre e quello più radicale, che è spinta interiore verso la vita e la sua manifestazione piena, verso il fine a cui tutto il creato tende. In che modo la Bibbia aiuta a crescere in consapevolezza, per conoscere, sentire e partecipare di questo gemito? Per rispondere, dobbiamo percorrere un cammino che parte dal modo in cui il creato viene presentato nel primo capitolo della Genesi e nel Libro della Sapienza; prenderemo poi in esame alcuni passaggi del Nuovo Testamento, i quali ci offrono alcune indicazioni su come la realtà creata viene inclusa nell’economia della salvezza realizzata in Gesù Cristo.

 

La vita innanzitutto

Il primo racconto della creazione, in Genesi 1,1-2.4a, descrive come un’esplosione di vita. Nel testo non compare alcuna negazione: l’opera creatrice di Dio è rivelazione del suo stesso essere, che è totalmente “essere per la vita”. Il ritmico intercalare Dio vide che era cosa buona (Genesi 1,4.10.12.18.21.25) davanti al procedere della creazione, fino a giungere a Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona (1,31) davanti alla creazione dell’essere umano, esprime la consapevolezza, fin dall’inizio, che l’atto creatore e la realtà materiale sono “bene” e che questo “essere bene” è il DNA originario del creato.

Tale visione è ripresa nel Libro della Sapienza, in cui il creato è visto come l’opera di Dio: il Signore amante della vita (Sapienza 11,26), che ha creato tutte le cose perché esistano (1,14), non prova disgusto per nessuna delle cose che ha creato, le ha volute così come sono e, coerente con se stesso, le conserva nell’esistenza e le fa crescere con il suo amore, la sua compassione e la sua indulgenza (11,21-26).

Nel creato, ogni generazione trasmette la vita e, insieme a essa, la benedizione divina che l’accompagna fin dal principio.

A partire da questa base, la Laudato si’ trae la conclusione che «essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile […]. Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda – continua il Papa, riprendendo l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 215 –, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione» (LS, n. 89).

Tutto il creato, di cui anche l’essere umano è parte prima ancora di esserne custode, è interconnesso e interdipendente, siamo «una sorta di famiglia universale», abitata da una spinta vitale originaria, che si espande nel tempo e nello spazio come permanente dono di vita da parte di Dio: un dinamismo di crescita, in cui l’intero creato è soggetto attivo e partecipe, in progressione verso la pienezza finale.

 

«Proclamate il Vangelo a tutta la creazione»

Le ultime parole di Gesù risorto nel Vangelo di Marco contengono un invio in missione di respiro cosmico: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura (Marco 16,15). Il termine greco qui tradotto come “creatura” (ktísis) indica sia il creare come atto (la “creazione”), sia le creature e l’insieme delle realtà create (il “creato”), dunque ha un sapore sapienziale e richiama quella presenza amorevole di Dio creatore, che continua a rinnovare il suo atto creativo nel custodire e promuovere la vita.

Ora, tutto il creato nel suo dinamismo vitale è destinatario dell’annuncio del Vangelo: che cosa significa? Il Vangelo da proclamare è la vita e la persona di Gesù, colui che ha vissuto in pienezza la presenza di Dio in lui come “essere per la vita”, essere dono di sé fino alla fine, fino al compimento, in un amore che neanche la morte ha potuto vincere, e così ha rivelato il volto più autentico di Dio e il fine a cui tende ogni essere creato: essere manifestazione piena della vita e dell’amore.

Proclamare questa buona notizia diventa allora promuovere l’emergere pieno di questa consapevolezza e favorire tutto ciò che permette a ogni creatura di fiorire in pienezza. Viene abbozzata così l’idea di una vocazione cosmica all’incontro con Dio: l’essere umano allora non è l’unico attore della storia della salvezza, nella quale il creato avrebbe soltanto il ruolo di sfondo passivo e di strumento per la realizzazione umana; tutte le creature, secondo gradi di consapevolezza diversi, partecipano al dinamismo salvifico.

Il Vangelo di Marco si chiude dicendo che il Signore agiva insieme con loro (16,20): il Signore è in sinergia con i discepoli in missione; i “segni” che essi compiono ne sono la manifestazione. Dentro le contraddizioni della sofferenza e del male, il dinamismo della resurrezione orienta in modo decisivo il cammino del creato verso quella pienezza, che è la sua meta finale.

 

Per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio

Questa prospettiva cosmica si ritrova, con altri termini, nella Lettera ai Romani di San Paolo: La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Romani 8,20-23).

C’è un gemere condiviso dal creato nella sua interezza e dall’essere umano abitato dallo Spirito, un gemere aperto a un’attesa di compimento e di generazione piena alla vita. È lo stesso gemito (il verbo greco stenázo è lo stesso) espresso da Gesù nel racconto di guarigione di un sordomuto, quando gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro [= gemette] e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!» (Marco 7,33-34).

Che cosa esprime dunque questo gemere del creato e del credente, al quale ha partecipato Gesù stesso? È segno della fatica e della sofferenza per tutto ciò che è malattia, fisica e non solo, ma anche per tutto ciò che chiude alla vita, la debolezza nel compiere il bene, l’incapacità di sciogliere le contraddizioni dell’esistenza, la tendenza a scivolare nel male. È il gemito ancora più profondo, che è dolore per le doglie del parto, grido profondo della vita che, in tutta questa fatica e attraverso tutta questa sofferenza, continua a chiedere di venire alla luce. Anche Gesù condivide questo gemito con la sua compassione per le situazioni di vita ferite e con il suo agire generatore di vita e di guarigione.

La fatica del vivere non è sterile, ma si rivela come un travaglio: in modo misterioso, ma reale, tutto è orientato a un fine, che è quello del compimento e della fioritura piena della vita, verso cui il creato e gli esseri umani stanno camminando insieme, in una tensione interiore che li accomuna e li rende partecipi l’uno del movimento di liberazione dell’altro.

Il gemito del creato coopera al compimento della pienezza per l’essere umano, nel risvegliarlo costantemente alla consapevolezza del suo essere creaturale e della sua vocazione a essere membro della “famiglia universale”; in questo, raggiunge il gemito interiore degli umani, il desiderio intimo di quella pienezza, che Paolo chiama l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. L’adozione a figli, già donata all’essere umano che ha ricevuto le primizie dello Spirito di Gesù Risorto, per mezzo del quale grida Abbà! Padre (Romani 8,15), si compirà nella redenzione del corpo, cioè quando raggiungeremo la piena fioritura del nostro essere umani, integrando pienamente anche la dimensione più concreta e più fragile della nostra identità creaturale; questa pienezza ci renderà totalmente liberi, senza più necessità di difenderci e di dominare per affermarci. Tale liberazione coinvolgerà anche il creato, che non sarà più oggetto di dominio e sfruttamento, ma luogo di condivisione pacificata delle sue meraviglie, e così anch’esso sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (8,21).

 

Ecco, io faccio nuove tutte le cose

«Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1 Corinzi 13,12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine. […] Gesù ci dice: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» (LS, n. 243). Queste parole della Laudato si’ esprimono bene il senso del cammino di compimento verso cui tutto il creato e l’umanità tendono: è la “novità”, di cui parla il libro dell’Apocalisse: E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più (21,1). Il creato tutto, indicato dal binomio “cielo e terra”, si muove verso un radicale rinnovamento. La novità è l’esito finale dell’attuazione progressiva del rinnovamento che la potenza di vita e di bene della resurrezione imprime sul mondo, in fedeltà e continuità con la bontà originaria del creato. Afferma il biblista Ugo Vanni: «Il mondo nuovo, di conseguenza, sarà il mondo cosmico e il mondo degli uomini saturo dei valori di Cristo che con la sua presenza, attuata gradatamente nell’arco della storia, avrà colmato i vuoti attuali» (Vanni U., L’Apocalisse, EDB, Bologna 1988, 255 s.).

Sarà la fine di ogni gemito, perché il mare non ci sarà più: il popolo ebraico, prevalentemente legato alla pastorizia e all’agricoltura, nella sua storia non ha mai avuto molta dimestichezza con il mare. Così nella Bibbia il mare diventa simbolo di tutto ciò che è instabilità, insicurezza, ignoto che genera paura, serbatoio abissale del male. Quando l’Apocalisse dice che “il mare non ci sarà più” annuncia una dimensione importante della “novità” finale: il male scomparirà, perché l’essere umano e il creato saranno giunti al pieno compimento della loro pienezza e del loro fine, tutto sarà pienamente e senza limiti Bene e portato «al livello di un amore vertiginoso» (ivi, 390).

Immergersi in questa prospettiva significa per noi oggi ritrovare una consapevolezza del fine nostro e del creato che dona uno spessore più profondo al nostro agire: ci rende più consapevoli, orienta la nostra libertà, dà consistenza alla nostra responsabilità. È questo lo sfondo biblico nel quale inserire anche la comprensione dell’ecologia integrale; è la prospettiva che svela tutta la profondità teologica del magistero di Laudato si’.

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