Premetto che amo i film a lieto fine, quelli dove tutto è bene quel che finisce bene, meglio se un pochino “strappalacrime”. Forse è per questo che mi sono ritrovata con il fiato corto dopo la visione di Hungry Hearts, di Saverio Costanzo.
Ho conosciuto Marco Franzoso, autore del romanzo Il bambino indaco (Einaudi 2012), a cui il film è ispirato, e mi aveva anticipato il tema: la follia da cibo. Potremmo definire così la protagonista del film, una madre ossessionata dall’idea di nutrire suo figlio come tutti i neonati, convinta che il suo bambino è speciale, che solo lei sa quello che è bene per lui, che vada purificato da ogni contaminazione provocata da un regime alimentare “normale”.
La coppia è vegetariana, forse vegana – il marito stesso a una domanda diretta del pediatra non sa bene cosa rispondere – di certo segue una dieta austera (in tutto il film lei beve solo acqua); la coppia è ripiegata su se stessa, impermeabile a qualunque relazione con l’esterno. È qui che Hungry Hearts ha a che fare con gli stili di vita, ma non solo quelli che riguardano il proprio modo di nutrirsi ma lo stile relazionale a 360°. Infatti il cibo rappresenta una sorta di abbecedario delle nostre relazioni, prima di tutto con noi stessi quando rispondiamo a un bisogno primario, poi con gli altri nel momento in cui facciamo del cibo un’occasione di condivisione e di fraternità (sarà un caso che per coltivare amicizie e relazioni autenticamente umane ci si sieda attorno a una tavola imbandita?).
Il cibo è anche un canale privilegiato della nostra relazione con il Pianeta, perché quando scegliamo cosa mangiare scegliamo come impattare sull’ambiente in termini di impronta ecologica della filiera agroalimentare, della gestione dell’acqua, del suolo e dei rifiuti (quanti rifiuti collegati al cibo e quando lo stesso diventa rifiuto perché scartato!).
La ricerca di pratiche e stili di vita responsabili e sostenibili possono costruire veri e propri anticorpi per rispondere in modo critico a un sistema economico e commerciale dove lo sfruttamento dei lavoratori, il consumo di natura, la speculazione finanziaria, lo spreco alimentare non sono effetti collaterali ma elementi strutturali di un preciso e invasivo modello di sviluppo.
Attenzione: gli stili di vita alimentari possono essere esperienze a rischio di banalizzazioni ideologiche, talvolta soggette alla moda, persino perverse e patologiche, come ci ricorda Hungry Hearts. Tuttavia ciascuno di noi nel suo piccolo, con le possibilità e le preferenze a disposizione, può trasformarsi da consumatore a consum-attore, esercitando la propria libertà e responsabilità anche nei confronti delle pratiche alimentari.