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Gli anticorpi alla cultura mafiosa nascono nella società civile

Nei loro 160 anni di storia, dall’unità d’Italia a oggi, le mafie hanno sempre adattato la loro strategia e il loro agire al contesto e al momento storico in cui operano, collocandosi in modo confortevole all’interno delle varie dinamiche economiche e sociali e delle diverse stagioni politiche1. In particolare, la «mafia siciliana è un camaleonte», per usare un’immagine di Franca Imbergamo, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, nel senso che «ha una resilienza notevole e si adatta ai tempi»2. Questa sua capacità adattiva ha portato il fenomeno mafioso a mutare nel tempo e a interagire con pezzi della società in modi sempre diversi, a geometrie variabili e con vari livelli di intensità, anche a seconda della percezione e della consapevolezza che la società stessa ha avuto della sua presenza.

Il rischio della normalizzazione

Le più recenti relazioni semestrali della DIA, la Direzione investigativa antimafia, evidenziano come a partire dal 2020 la criminalità organizzata sia cambiata. Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta, lavorando per ampliare le proprie capacità di relazione, operano sempre più in sinergia con i “colletti bianchi”, «sostituendo l’uso della violenza, con linee d’azione di silente infiltrazione»3. Oltre ai tradizionali settori di interesse (usura, estorsioni e traffico di droga), da cui continuano a derivare i maggiori introiti, le organizzazioni mafiose adottano sistemi di riciclaggio del denaro che sfruttano le nuove tecnologie attraverso società fittizie nei paradisi fiscali, l’utilizzo delle criptovalute e sistemi di comunicazione difficilmente tracciabili e monitorabili.

Il fenomeno mafioso vive nella costante tensione tra l’essere percepito da una parte come “fatto storico”, e dall’altra, nella sua dimensione spaziale, come un fenomeno attuale, proiettato verso orizzonti di sofisticazione finanziaria sul piano internazionale, e in quanto tale distante, con la perdita di quell’elemento di “prossimità” che solo può stimolare l’attenzione e spingere all’azione. È vero che oggi le mafie sono meno evidenti, operano sottotraccia, in maniera silente e maggiormente collusiva, restando lontane dai riflettori ed esercitando un livello di violenza inferiore al passato, almeno in alcune aree. Per questo non vengono percepite come una emergenza sociale nel nostro Paese.

Allo stesso tempo assistiamo a un certo processo di normalizzazione del fenomeno mafioso, lento, ma continuo e incisivo. Don Luigi Ciotti ci stimola a riflettere sul passaggio da crimine organizzato a crimine normalizzato4, che implica alcune conseguenze: un certo atteggiamento della politica che, oltre a non percepire come prioritario il problema, mette in discussione validi strumenti legislativi di contrasto; alcuni modelli imprenditoriali che, cercando scorciatoie e facili occasioni di arricchimento, non disdegnano di collaborare con gli ambienti malavitosi; l’innalzamento dei livelli di fragilità e disagio della popolazione, con la crescita della povertà relativa e della povertà educativa minorile, e con livelli allarmanti di spaccio di stupefacenti per le strade. Sono tutti segnali pericolosi e fattori che creano terreno fertile per le organizzazioni criminali.

La mafia crea un deserto relazionale

Da un lato dunque le organizzazioni mafiose hanno «accelerato il processo di trasformazione e sommersione», dall’altro non hanno rinunciato del tutto all’«indispensabile radicamento sul territorio e a quella pressione intimidatoria che garantisce loro la riconoscibilità in termine di potere criminale»5. Le mafie infatti necessitano, come fattore genetico distintivo, di una forte, riconosciuta e persistente presenza territoriale: hanno bisogno di essere percepite, nutrendosi della tensione che la loro esistenza genera ed esercitando attraverso di essa un’influenza sulle dinamiche sociali. Lungo il loro processo di trasformazione, uno dei pochi elementi che rimane immutato è la necessaria coesistenza di alcuni fattori territoriali in cui affondare le radici e sviluppare le relazioni: un tessuto sociale “poroso”, facilmente suscettibile alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali, povero e ignorante, in cui agire attraverso il mantenimento delle condizioni di degrado sociale e di arretratezza culturale. Povertà, degrado e arretratezza sono i cardini che consentono un controllo efficace sul territorio, soprattutto nei confronti di quei soggetti fragili, facilmente manovrabili e influenzabili, perché privi, o molto spesso privati, di strumenti che li rendano capaci di sviluppare percorsi di autonomia.

Su questa dimensione comunitaria quindi le mafie agiscono e interagiscono attraverso un potere che potremmo chiamare di controllo degenerativo, una presenza impalpabile, capace di orientare le scelte verso gli interessi dell’organizzazione mafiosa, un controllo costante e persistente, orientato al raggiungimento di obiettivi che non sono mai coincidenti con quelli di sviluppo della comunità, anzi, quasi sempre sono in contrasto con esso. Gli abitanti della comunità, con le dovute distinzioni ed eccezioni, si ritrovano costretti a partecipare, con diversi livelli di consapevolezza e accettazione, al perseguimento di quegli obiettivi, offrendo, a seconda delle situazioni e dell’intensità e pervasività della presenza mafiosa, manovalanza, protezione, accondiscendenza o, al limite, indifferenza.

Le mafie agiscono quindi cercando di generare una sorta di deserto relazionale: una situazione in cui le relazioni, assi portanti di qualsiasi comunità, vengono logorate se non addirittura distrutte, ponendo esponenti delle organizzazioni criminali in sostituzione degli attori chiave con cui quelle relazioni si intrattengono e si fortificano: la famiglia, le attività economiche, le reti sociali, la Chiesa, i datori di lavoro, le istituzioni, ecc., strutturando in tal modo la creazione di quel welfare parallelo, mafioso, alternativo a quello che le istituzioni dovrebbero promuovere per rispondere ai bisogni delle persone. Casi eclatanti si sono riscontrati con maggiore evidenza durante il periodo della pandemia, in cui le organizzazioni criminali hanno offerto interventi immediati, sempre distorti e per un proprio tornaconto, ma comunque in risposta ai bisogni della popolazione. In diversi quartieri palermitani, come allo ZEN, le risposte sono arrivate attraverso la distribuzione alimentare e l’offerta di liquidità ai commercianti in difficoltà: sono state tipiche operazioni di consolidamento della reputazione e di aggancio di soggetti e famiglie bisognose, a cui poi si chiedeva conto dell’aiuto offerto, obbligando a restituire “il favore” a caro prezzo6.

La società civile a servizio della fiducia

Ciò che questo forte controllo sul territorio comporta, con i suoi pesanti effetti sul tessuto sociale, è essenzialmente una graduale e inesorabile erosione della fiducia che sta alla base di ogni legame comunitario sano. La società civile può svolgere qui un ruolo fondamentale proprio nella ricostruzione della fiducia, per riallacciare le relazioni spezzate e fortificare quelle che resistono, attraverso l’avvio di processi di coesione sociale per ristabilire azioni di solidarietà e di mutuo aiuto, riducendo in tal modo sensibilmente lo spazio di azione alle organizzazioni criminali. Tra le funzioni che essa può svolgere vi è sicuramente quella di mantenere alta l’attenzione, affiancando alla denuncia azioni efficaci di sostegno alle fragilità. A tal proposito possiamo richiamare le esperienze promosse dalla rete di Libera di riutilizzo sociale dei beni confiscati, dalle cooperative che lavorano sui terreni confiscati alle mafie, e le attività di tante associazioni e organizzazioni del Terzo settore che, rigenerando i beni oggetto di investimento e speculazione da parte della criminalità organizzata, avviano processi di restituzione alla comunità attraverso servizi e attività a supporto dei cittadini. Si tratta di realtà in cui si crea lavoro sano, pulito e giusto, in cui il rispetto delle regole e della persona torna a essere l’elemento centrale.

La società civile è chiamata poi a “presidiare i territori” con i suoi strumenti associativi e cooperativi, attraverso la sperimentazione di interventi che offrano alternative possibili all’azione mafiosa, passando dalla mera cura degli effetti a un’azione più incisiva sulle cause che permettono la nascita e il perdurare delle fragilità, del disagio e del degrado sociale. Tali nuovi modelli di convivenza, di solidarietà, di economia civile e di lavoro, possono fungere da anticorpi capaci di impedire l’ingresso della criminalità organizzata. Prendendo in considerazione il contesto di Palermo, sono diverse le esperienze e le realtà che giornalmente si spendono sul territorio per offrire questo tipo di supporto alle fragilità e di presidio dei territori. Libera, attraverso la rete delle associazioni aderenti, ha sviluppato i percorsi oggi attivi nei quartieri di Borgo Vecchio, CEP, Albergheria e Brancaccio, in cui con diversi interventi si cerca di sostenere la comunità locale attraverso l’attivazione di spazi di aggregazione, il supporto alle associazioni locali e il contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze (cfr il riquadro a p. 167).

La speranza è che tali esperienze si potranno trasformare in pratiche incentivate, promosse e sostenute dalla politica. La società civile può diventare così uno stimolo per le istituzioni a fare la propria parte, soprattutto in quei quartieri più complessi, dove le persone fanno fatica, i servizi scarseggiano e l’assenza dello Stato è colmata dalla presenza criminale.

 

Note

 

1. Lupo S., La mafia, centosessant’anni di storia. Tra Sicilia e America, Donzelli, Roma 2018.
2. Cfr l’intervista a La via libera del 30 gennaio 2020, <https://lavialibera.it/it-schede-224-cosa_nostra_e_un_camaleonte_sostiene_la_pm_imbergamo>.
3. Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento. Attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, luglio-dicembre 2020, 401<https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/semestrali/sem/2020/2sem2020.pdf>.
4. Cfr l’intervento di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, al convegno “La strada che conviene”, tenuto a Trani il 10 ottobre 2023, <www.ansa.it>.
5. Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento. Attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, luglio-dicembre 2020, 402.
6. Cfr Rispoli F. – Ruggiero P. – Pati D. – Vannucci A., La tempesta perfetta 2022. La variante “criminalità”, Libera, Roma 2022, in <www.libera.it>; Volpe M., «Spesa alle famiglie dello Zen, così i boss di Palermo aiutavano gli indigenti durante il lockdown», in Il Giornale di Sicilia, 26 gennaio 2021, in <https:palermo.gds.it>

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