Il rapporto fra giovani e politica è tradizionalmente ritenuto problematico, segnato, in particolare negli ultimi anni, da apatia, disinteresse e distacco. Il quadro tuttavia sembra cambiare in maniera rilevante a seconda della prospettiva di analisi che si intende adottare. Gli AA. di questo breve e denso saggio, entrambi sociologi dei fenomeni politici, provano dunque a sfatare questo pregiudizio proponendo una diversa chiave di lettura. Se in passato si è teso a leggere il mondo giovanile «a partire da definizioni ritagliate sulle generazioni precedenti» (p. 15), e trattandolo come una semplice “transizione” a uno stadio adulto compiuto, che si uniformerebbe a uno standard ben preciso di comportamenti, ultimamente sono state suggerite altre prospettive. La domanda principale è che cosa significhi partecipare e non partecipare oggi. Di fatto, «il distacco dalla partecipazione convenzionale [...] trova compensazione con una maggiore propensione a impegnarsi in pratiche informali» (p. 17). I giovani si fanno oggi interpreti di una «reinvenzione della politica, che fuoriesce dalla sfera politica per innervare la società» (p. 18). Giovani cinici e critici dunque, che crescono in un contesto di crisi e di grande incertezza verso il futuro, ma al tempo stesso creativi, e portatori di una visione nuova e diversa da quelle delle generazioni anche di poco precedenti, complice anche la cosiddetta rivoluzione digitale. Secondo gli AA., l’adozione di una “prospettiva generazionale”, che tenga conto dei condizionamenti di un contesto culturale e politico in sempre più accelerata evoluzione, può aiutare meglio a decifrare l’attuale condizione giovanile. Alla ormai consolidata ripartizione delle generazioni degli ultimi settant’anni (baby-boomers, X generation, millennials e generation Z), gli AA. ricollegano dunque specifiche e diverse attitudini verso la politica. Con riferimento in particolare all’ultima generazione, essi mettono in rilievo alcune caratteristiche principali, dotate di ricadute rilevanti nella sfera sociale e politica. Tra queste figura l’ormai generalizzato processo di individualizzazione/soggettivazione (definita come «emancipazione dell’individuo dai modelli tradizionali e consolidati di definizione di sé», p. 49), che non equivale automaticamente a un individualismo sfrenato, quanto piuttosto a un processo di produzione di nuove e più fluide forme di legame sociale. Si fa poi riferimento alla costruzione di un’identità non più caratterizzata da una progressiva acquisizione di riferimenti stabili, ma da “choice biographies” (espressione del sociologo Ulrich Beck), cioè da percorsi biografici sempre più personali, fluidi e reversibili, caratterizzati dal venir meno di una linea di demarcazione netta fra giovinezza ed età adulta. Si osserva inoltre una dinamica di “presentificazione” e conseguente precarizzazione (a livello lavorativo, ma non solo), nel senso che il presente (e non il passato, ma nemmeno il futuro) diventa «la sede cruciale del coinvolgimento del soggetto» (p. 71). Altrettanto tipiche sarebbero dinamiche di ibridazione e “subpoliticizzazione”, intendendo con questa la fuoriuscita della politica dal suo ambito proprio e la sua sempre più pervasiva (e quasi paradossale, a fronte di narrative sulla depoliticizzazione e sull’antipolitica delle giovani generazioni) diffusione in altri ambiti della vita personale e quotidiana. Infine, si rileva lo svilupparsi di dinamiche di reticolarità e connettività (facilitate dalla diffusione dei media digitali, ma di fatto non originate da essi, e senza che essi prendano mai il completo controllo, in quanto spesso affiancati da interazioni offline), di coinvolgimento in gruppi, reti e progetti collettivi con cui connettersi e da cui disconnettersi con grande libertà.
Quale può essere considerata dunque la ricaduta istituzionale di questi aspetti? Secondo gli AA., essi non comporterebbero la scomparsa delle istituzioni, ma una loro riconversione dallo svolgimento di una funzione prevalentemente strutturante a una “attivante”, come «agenzie finalizzate a garantire agli individui le risorse e gli strumenti per costituirsi come soggetti e per realizzare il proprio progetto personale» (p. 92). In questo contesto si riconfigura la partecipazione politica, che non si manifesta più nella forma della militanza strutturata ma in quella di un attivismo on demand, che sorge su temi e in tempi particolari (come ad esempio il movimento dei Fridays for future), o anche in altre forme di “nuovo volontariato” (caratterizzato da maggior attenzione alla dimensione del ritorno individuale dell’attività di servizio) e di impresa sociale.
Come queste nuove forme di partecipazione politica potranno arrivare nel concreto a influire nel nostro sistema politico (che sembra ancora rispondere a logiche ben diverse), e soprattutto nell’architettura istituzionale dello Stato? Che forma può prendere in concreto un legame sociale ri-fondato in senso “individualizzato”? La diagnosi operata dagli AA., pur non fornendo ancora risposte operative, apre piste di ricerca interessanti e tutte da esplorare.