Ğihād. Definizioni e riletture di un termine abusato

Patrizia Manduchi, Nicola Melis
Mondadori Università, Milano 2019, pp. 321, € 23
Scheda di: 
Fascicolo: maggio 2020

La parola ğihād è entrata nel lessico corrente per designare i fenomeni di lotta armata e di terrorismo. Il fatto di tradurre questo termine come “guerra santa”, condotta dai musulmani contro i non musulmani, alimenta un’immagine aggressiva della religione islamica. Lo scopo di questo volume è condurre un’analisi storica dei significati di ğihād, mostrandone la varietà. Letteralmente il termine indica lo “sforzo”, la tensione verso un obiettivo religioso, che implica in primo luogo l’ascesi personale del credente. ğihād è una parola che troviamo già nel Corano (associata sia alle imprese belliche del Profeta, sia alle sue prove spirituali) e nella tradizione orale, successivamente codificato dai testi giurisprudenziali, fino ad assumere una connotazione esoterica nei testi dei sufi. Storicamente, il concetto è stato impiegato come strumento di propaganda da parte del potere costituito e come appello alla resistenza contro il potere stesso. Il focus politico del ğihād cambia profondamente con l’affermarsi della dottrina wahhabita che caratterizza la presa di potere dell’emirato saudita tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Proprio la propensione a considerare miscredenti tutti i musulmani che non si conformavano alla rigida dottrina wahhabita, finì per ritorcersi contro il potere saudita stesso, che divenne il bersaglio di un nuovo ğihād violento. In questo contesto trovò origine una miriade di gruppi estremisti che adottano il ğihād come criterio di azione violenta, dentro e fuori i confini della umma islamica. Questo libro offre una prospettiva storica e religiosa per dipanare una vasta matassa concettuale ed esplorare aspetti fondamentali della storia islamica.

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