Non so quanti siano al corrente del fatto che questa è la
Settimana internazionale della felicità al lavoro. Anche se le due parole - felicità e lavoro - possono apparire quasi un ossimoro in molti ambienti lavorativi oggi, l’idea arriva dalla Danimarca ed è condivisa da una trentina di Paesi in tutto il mondo: dal Pakistan al Messico, dall’Australia alla Serbia, dal Cile al Canada.
Il manifesto The Happy at Work (
qui tradotto in italiano) suggerisce 25 punti, «per dire addio ai luoghi di lavoro tristi e ai capi stressati». L'idea di fondo, come recita il punto 2, è che «io posso essere felice al lavoro. In effetti tutti possono esserlo. A condizione che ciascuno scelga di esserlo». La felicità al lavoro non dipende dall’assenza di cose sgradevoli (persone spiacevoli, troppo lavoro, clienti esigenti, stress, burocrazia, fastidi) ma dalla presa di coscienza da parte di ciascun lavoratore che si può scegliere di essere felice… persino al lavoro! In effetti aspettare di vivere il tempo in famiglia, con gli amici, o in cui coltivare un hobby per stare bene (cosa che succede a molti, troppo spesso) sarebbe davvero riduttivo, visto che al lavoro si trascorre gran parte della giornata, e della vita.
Che cosa ci occorre per essere felici sul luogo di lavoro? Il Manifesto suggerisce qualcosa di semplice, che rimanda a un tessuto di relazioni qualificate: «il riconoscimento, l’attitudine positiva, imparare e crescere, condividere decisioni, essere aperti» (n. 21). Vivere serenamente il proprio lavoro permette di lavorare meglio: «Quando sono felice sono coinvolto, motivato, impegnato, più creativo, più aperto ai cambiamenti, più collaborativo e più produttivo» (11). Basterebbe questo per convincere qualunque organizzazione lavorativa (piccola, media o grande che sia) a fermarsi a riflettere sulla felicità dei propri dipendenti e collaboratori.
Come stanno le persone al lavoro? L’organizzazione del lavoro riesce a stare al passo delle fasi di vita dei lavoratori e delle lavoratrici? Che cosa si può fare per aumentare la presenza e la quota di benessere anche nei luoghi di lavoro?
Ciò che più stupisce del Manifesto è il punto 20, un vero e proprio sogno, irrealizzabile per i più, in questi tempi in cui il mercato del lavoro non è così dinamico come possa sembrare. «Troverò soddisfazione nel mio lavoro o lo lascerò. Potrebbe non esserci possibilità di essere felici nel mio lavoro attuale. Mi licenzio. Sì, fa paura. Ma forse fa più paura l’idea di passare il resto della mia vita in un lavoro che mi fa sentire demotivato, stressato, cinico, indifeso?».