A una settimana dai funerali di Silvio Berlusconi, si sono gradualmente affievoliti gli echi del flusso continuo e totalizzante di notizie e ricordi, di episodi controversi e polemiche in cui siamo stati immersi per giorni sulle molte vite di un uomo per decenni sotto i riflettori, che ha saputo costruirsi un ruolo di primo piano nell’economia, nello spettacolo, nello sport e infine nella politica del nostro Paese.
Ora inizia un altro capitolo, quello che riguarda la sua eredità. Il pensiero va subito al suo patrimonio personale – tra cui imprese quotate in borsa come MFE - Media for Europe (il nuovo nome di Mediaset), Banca Mediolanum e la casa editrice Mondadori –, ma anche a Forza Italia, il “partito-azienda” che Berlusconi fondò poche settimane prima delle elezioni del 1994. Le decisioni che verranno prese su entrambi i fronti avranno un peso non trascurabile sugli assetti politici ed economici italiani dell’immediato futuro.
Ma c’è anche un’altra eredità del magnate di Arcore, che coinvolge tutto il Paese: è il “berlusconismo”. Questo neologismo, coniato negli anni Ottanta con un’accezione positiva per indicare l’approccio imprenditoriale di Berlusconi, ha assunto un significato diverso dopo la sua “discesa in campo” del 1994, indicando un certo modo di fare politica e una visione dell’economia e della società di stampo neoliberista.
Sebbene negli ultimi anni il rilievo politico del Cavaliere si sia fortemente ridimensionato a vantaggio dei suoi alleati, prima Salvini e ora Giorgia Meloni,
il berlusconismo con tutte le sue implicazioni non è di certo tramontato.
Innanzi tutto, la concezione neoliberista della società di cui l’ex premier si è fatto promotore – al di là delle poche politiche che di fatto l’hanno incarnata nel corso dei vari anni di Governo – ha determinato il surrettizio
scivolamento dal rilievo riconosciuto alla persona, posta al centro della convivenza civile delineata nella nostra Costituzione, a una visione che ha il suo perno nell’individuo, slegato quanto più possibile dai vincoli di solidarietà connessi al vivere insieme. A giustificare questo passaggio verso una nuova visione della società è stata implicitamente invocata la parabola imprenditoriale e politica dello stesso Berlusconi, presentata come il prototipo dei successi di un self-made man, ignorando o minimizzando tanti aspetti della sua biografia che mostrano come quanto ha realizzato è stato frutto delle sue capacità, ma anche di tante risorse e possibilità di cui disponeva grazie alla sua famiglia e ai contatti politici.
Tra le conseguenze di questa impostazione neoliberista vi è l’addebitare in modo più o meno implicito a chi non “ce la fa”, a chi è più fragile, a chi si trova in una condizione segnata dalle diseguaglianze,
la colpa per i suoi “fallimenti”. Basti pensare ad alcune polemiche di questi mesi a proposito dei giovani e del loro rapporto con lo studio o del loro impegno nel mondo del lavoro o ancora al modo con cui è affrontato il tema delle migrazioni.
Figlia contraddittoria del berlusconismo – che in via teorica ridimensiona il ruolo dello Stato, ma che poi nei fatti se ne serve ampiamente – è stata anche
la commistione tra pubblico e privato che ha caratterizzato l’azione politica di Berlusconi fin dal suo primo atto: la nascita di un partito politico grazie alle risorse finanziarie e umane provenienti dall’impero imprenditoriale del suo fondatore, un impero che per tanti aspetti, in prima battuta quelli legati alle televisioni, dipendeva fortemente dalle decisioni della politica. L’inevitabile corollario di questo vizio di origine è stato il conflitto di interessi, che ha continuamente accompagnato l’azione politica di Berlusconi, in tanti casi condizionandone le scelte e minandone la credibilità agli occhi di una parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale.
A essere compromessa è stata la stessa ricerca del bene comune, un compito fondamentale per coloro che hanno la responsabilità del governare e che non si può realizzare davvero senza fare propria la prospettiva di cercare il bene effettivo di tutti i membri della comunità civile, compresi quelli in minoranza, come sottolinea il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (n. 169). Questa ricerca negli anni del berlusconismo è stata tante volte distorta e disattesa:
si è finito spesso con il privilegiare gli interessi personali e privati a scapito di quelli dell’intera comunità, alimentando divisioni e contrapposizioni che continuano a rendere difficile un dialogo, come testimoniano proprio le polemiche degli ultimi giorni.
Un altro aspetto del berlusconismo è quello dell’eccezione, cioè il porsi fuori e al di sopra dell’ordinario, delle norme che tutti siamo chiamati a osservare. Ancora una volta, gli esiti positivi raggiunti, che fossero sul campo economico, sportivo o politico, sono considerati ragioni sufficienti per rivendicare un’eccezionalità e giustificare un trattamento diverso e speciale. A questo si unisce l’esasperata personalizzazione del confronto con quanti sono sostenitori di un’idea diversa, siano concorrenti economici, avversari politici o poteri dello Stato ritenuti ostili come alcuni magistrati. Una personalizzazione che in alcuni casi si è tradotta in un atteggiamento vittimistico assunto da Berlusconi, confinando la discussione a un livello superficiale e rendendo così impossibile andare a considerare i tanti aspetti in gioco nei temi oggetto di scontro. In questo modo, si è svuotato dall’interno il meccanismo democratico, che passa per il vaglio dialettico delle ragioni delle varie parti, per assicurare in un dialogo franco che vi sia la ricerca di una soluzione per il bene di tutti.
Ma
alla lunga, quando un successo è personale, quando la politica serve gli interessi di uno invece che quelli di tutti, chiunque non ne resti coinvolto o anzi sia danneggiato da questa modalità di pensiero e di azione
finisce inevitabilmente per disaffezionarsi alla politica. E non a caso da tempo si ragiona sul diffondersi in ampie fasce della popolazione di un’ostilità diffusa nei confronti della politica, che per tutti questi decenni è stata incarnata dal berlusconismo con i tratti che abbiamo indicato e che ha contribuito a giungere alla situazione attuale, in cui sono sempre meno le persone che scelgono di impegnarsi in modo attivo, mentre in una prospettiva più generale cresce la disaffezione e la disillusione in tutte le fasce di età.
Eppure, le eredità ricevute, anche quelle più controverse e gravose, possono segnare l’inizio di un capitolo nuovo quando si riesce a riconoscerne la portata e le conseguenze che ne sono scaturite, senza rimuoverle. Questo vale anche per il berlusconismo e i suoi lasciti:
se non lasceremo scivolare nel dimenticatoio una pagina controversa della nostra storia o non resteremo imprigionati nelle letture di parte, impermeabili a qualsiasi ascolto, sarebbe un grande segno di speranza e un aiuto per avviarci a una fase politica più matura.