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Family 2012: rimettere le famiglie al centro

Alla vigilia del VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano, 30 maggio - 3 giugno 2012), una riflessione sulla necessità di mettere al centro del dibattito politico e sociale le famiglie nella loro concretezza
Fascicolo: maggio 2012

Quanti giovani convivono perché hanno fatto una scelta di libertà e quanti invece rinviano il matrimonio per ragioni economiche o di organizzazione del lavoro? Quante famiglie si fermano al primo figlio perché non ne vogliono altri o rinunciano al secondo o al terzo perché non hanno abbastanza risorse? Quante coppie, infine, si separano con una decisione libera e meditata e quante invece perché momenti duri, sofferenze e inquietudini personali le hanno colte impreparate, indifese, sole e senza sostegni e reti di protezione?
Non si possono eludere queste domande quando si ragiona di famiglia oggi. Sono il punto di partenza per chiedersi in che modo, salvaguardando lo spazio inviolabile delle scelte più intime e personali, la società italiana e più specificatamente la politica possano concretamente e realisticamente promuovere e sostenere la famiglia, e non tanto per trovare giustificazioni ai veri o presunti "bamboccioni" che restano con i genitori in età adulta o per indagare le ragioni del forte aumento dell'instabilità coniugale. Troppe famiglie sono poste nell'impossibilità di crescere e di assolvere le loro funzioni essenziali. E mai come oggi si avverte un assoluto bisogno della famiglia come centro di educazione civile, in particolare di fronte alle fatiche delle generazioni più giovani e alle difficoltà del vivere sociale.
Conosciamo tutti questa situazione per esperienza più o meno diretta. Negli ultimi decenni la famiglia italiana si è modificata per i sensibili cambiamenti del ciclo di vita dei suoi componenti: allungamento della struttura familiare in senso verticale e riduzione orizzontale del numero dei suoi membri. Questo a causa della persistente bassa fecondità che segna il nostro Paese da almeno vent'anni e dell'aumento dei "grandi anziani": gli ultraottantenni, di cui una buona parte in condizioni di autosufficienza, entro il 2050 potrebbero raggiungere il 15% circa su una popolazione residente di 61,6 milioni di persone (come riferiva nel 2010 Enrico Giovannini, presidente dell'ISTAT, in <www.convegnonardini.org>). Così la famiglia italiana assomiglia sempre meno a quelle stereotipate della pubblicità: papà e mamma relativamente giovani, con figli in età della scuola dell'obbligo.
Questa sempre più piccola e sempre più anziana famiglia italiana, inoltre, si forma in età avanzata e trattiene i figli a casa anche quando diventano adulti. Rispetto agli altri Paesi europei sono poche le donne occupate, a causa delle grandi difficoltà nella conciliazione dei tempi del lavoro e della vita familiare. Cresce anche l'impegno di cura nella generazione dei giovani anziani - soprattutto donne tra i 55 e i 65 anni -, impegnata ad accudire i nipoti e ad assistere i genitori sempre meno autosufficienti.
Le situazioni di equilibrio già precario rischiano di precipitare a fronte di nuovi eventi avversi: l'aggravamento di un parente anziano, una malattia invalidante, la perdita del lavoro, l'insorgere di una dipendenza (ad esempio l'alcol o il gioco), un figlio adolescente problematico. Il carico può diventare insopportabile, con l'emergere nei componenti della famiglia di vissuti di inadeguatezza («Dove ho sbagliato?»), di senso di colpa e paura della stigmatizzazione («Che cosa pensano adesso gli altri di noi?»), di malcelati bisogni di difendersi negando le difficoltà («Nella nostra casa non succedono queste cose»). Nei casi più gravi si arriva alla disgregazione del nucleo familiare.
Si tratta di situazioni ineluttabili? Come si possono affrontare? La risposta è tutt'altro che immediata. Riteniamo che il VII Incontro mondiale delle famiglie che si svolgerà a Milano tra il 30 maggio e il 3 giugno, <www.family2012.com>, offra nella sua impostazione alcuni spunti di riflessione suggestivi che, pur essendo stati pensati in un'ottica globale in quanto si tratta di un evento internazionale, possono risultare illuminanti per la situazione italiana, offrendo le basi culturali per un rinnovamento della riflessione e delle politiche per la famiglia.

Le provocazioni di Family 2012

Il tema dell'incontro è "La famiglia: il lavoro e la festa", intrecciando la dimensione affettiva, quella lavorativa e quella della gratuità, che nel riposo e nella festa trovano la massima espressione. Riflettere sul rapporto tra queste tre istanze costituisce una grande opportunità, perché permette di ricollocare la famiglia in una diversa prospettiva culturale.
Così Benedetto XVI specifica il senso della giornata: «Il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (cfr Genesi 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un'esistenza pienamente umana. L'esperienza quotidiana attesta che lo sviluppo autentico della persona comprende sia la dimensione individuale, familiare e comunitaria, sia le attività e le relazioni funzionali, come pure l'apertura alla speranza e al Bene senza limiti. Ai nostri giorni, purtroppo, l'organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorrenza di mercato e del massimo profitto, e la concezione della festa come occasione di evasione e di consumo, contribuiscono a disgregare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico» (BENEDETTO XVI, lettera al Presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia in preparazione al VII Incontro mondiale delle famiglie, 23 agosto 2010, <www.family2012.com/it/lettera-del-papa>).
Ne ricaviamo alcune intuizioni importanti. Innanzitutto viene proposta una visione integrata che non separa vita pubblica e vita privata dei componenti della famiglia, ma tenta uno sguardo unificato sul contesto e sull'insieme delle sue dimensioni. Viene messo così in discussione uno dei punti che ha caratterizzato la cultura moderna e contemporanea: la separazione radicale fra dimensione pubblica e dimensione privata della vita, fra "mondo degli affari" (in cui ciascuno giocherebbe la propria partita da individuo a prescindere dalle proprie relazioni fondamentali) e "mondo degli affetti". Questa cultura - e una certa parte della più recente legislazione nazionale - tendono invece a configurare la famiglia come una scelta individuale, una forma associativa privata a base contrattuale, una "società di individui" priva di valenza pubblica.
Costruire un'alternativa richiede di partire da una visione non centrata sull'individuo, ma sulla persona e sulla rete di relazioni fondamentali che la sostengono, mantenendo in tensione le esigenze personali, familiari e sociali. Si tratta di una visione più articolata e complessa, capace di valorizzare l'infinita ricchezza dei rapporti interpersonali, vissuti come costitutivi dell'identità stessa della persona. In questa visione la famiglia smette di essere una somma di individui, legati magari da obiettivi funzionali (come i soci di una SpA o SRL), e appare come un bene relazionale di cruciale importanza sociale. È la famiglia quel nucleo fondamentale al cui interno sperimentare fiducia, apertura al mondo, possibilità di crescita umana che sono alla base dell'autentica fioritura della persona e che, come recenti studi continuano a mettere in evidenza, sono anche il sostrato indispensabile senza il quale il sistema economico e di mercato non può produrre i propri risultati.
All'interno di questa visione personalista, certamente controculturale rispetto al clima dominante, risulta particolarmente feconda la scelta di collegare il tema della famiglia a quello del lavoro, la cui centralità per gli assetti complessivi della società mette immediatamente in evidenza la valenza sociale dell'operazione. L'originalità della scelta del tema dell'Incontro mondiale ci permette infatti di renderci conto di come i temi del lavoro e del welfare siano prevalentemente declinati in chiave individuale, con una forte centratura sul maschio adulto (che, almeno in Italia, è il vero tutelato dal sistema). Proporre invece la famiglia come fulcro del mondo del lavoro e soggetto della festa permette di riequilibrare la considerazione di tutte le persone, nella concretezza degli stadi del ciclo di vita in cui si trovano, dall'infanzia alla vecchiaia.
Alcuni esempi mostrano quanto questo possa fare la differenza. La flessibilità e la mobilità sono costantemente proposte come necessità del sistema produttivo e, se considerate in prospettiva individualistica, possono anche rappresentare delle opportunità per i singoli, in particolare i più capaci e intraprendenti. Ma il lavoratore ottimale per un sistema produttivo flessibile è un individuo atomistico, senza relazioni vitali forti e stabili come quelle familiari - a cui ambirebbe invece la stragrande maggioranza delle persone -, che inevitabilmente mal si conciliano con flessibilità e mobilità. Queste infatti implicano ampi margini di incertezza sul futuro, laddove la famiglia ha bisogno di un quadro di ragionevole stabilità, così come non giovano a quest'ultima lo sradicamento, che una forte mobilità produce, e la conseguente perdita o almeno l'attenuazione dei legami di solidarietà parentale e territoriale. Dunque le opzioni sugli assetti normativi del mercato del lavoro e del sistema di welfare possono mutare sensibilmente se guardate nell'ottica dell'individuo o della famiglia.
Un altro esempio di come una diversa prospettiva spinga per un cambiamento normativo e politico è la questione dell'occupazione femminile, elemento di debolezza italiana secondo tutti i rapporti internazionali, che trova la sua spiegazione in una impostazione del mercato occupazionale e del modello di stato sociale non sufficientemente attenta alle reali dinamiche familiari della società contemporanea, ormai distanti da quell'immagine tradizionale in cui il padre sosteneva la famiglia con il lavoro e la madre si dedicava all'accudimento della famiglia. Come spiega l'economista Lorenzo Caselli, «La conciliazione tra famiglia e lavoro è assicurata nel nostro Paese dalla donna che sostiene così costi crescenti tanto sull'uno quanto sull'altro fronte. [...] Il "sovraccarico" delle donne brucia dunque opportunità per una vita famigliare ricca di significato, priva la società e l'economia di risorse e potenzialità essenziali per la sua crescita equilibrata» (CASELLI L., Uscire dalla crisi, puntando (anche) su conciliazione tra famiglia e lavoro, 1º giugno 2011, in <www.benecomune.net>).
Un ultimo esempio riguarda la disciplina dell'immigrazione, che, nutrita anche dall'ossessione per la sicurezza diffusa nella società italiana, pone ostacoli quasi insormontabili ai percorsi delle famiglie migranti in tema di ricongiungimento, accesso alla cittadinanza, tutela dell'integrità del nucleo familiare di fronte a provvedimenti di espulsione o anche solo nei servizi di emergenza (che spesso, per esigenze logistiche, separano uomini e donne indipendentemente dai legami familiari e dalla presenza di figli). È chiaro che la filosofia di fondo della normativa italiana considera gli immigrati, quando va bene, come risorse produttive e non come persone con legami e vincoli familiari, pur essendo il diritto alla famiglia riconosciuto dalla Costituzione e dalle principali dichiarazioni internazionali sui diritti umani (cfr il sempre attuale OCCHETTA F., «Solo lavoratori o anche persone? Verso la nuova Legge su immigrazione e asilo», in Aggiornamenti Sociali, 1 [2002] 22-33).

Una cultura per le politiche pubbliche

Agli esempi che abbiamo fatto molti se ne potrebbero aggiungere, tra cui il problema della crescente diffusione del lavoro domenicale, attualmente oggetto di una campagna europea promossa dalla rete di sindacati, organizzazioni della società civile e confessioni religiose anche non cristiane European Sunday Alliance, <www.europeansundayalliance.eu>, che mira a tutelare il valore del giorno di riposo comune per tutta la famiglia; tutti, comunque, mostrano come le intuizioni alla base dell'Incontro mondiale delle famiglie richiedano un profondo ripensamento delle pratiche sociali e delle politiche pubbliche.
Certamente l'analisi degli effetti della precarizzazione della vita familiare non deve indurre a erigere una sorta di arcaica e irrealistica barriera contro le spinte alla modernizzazione. In particolare, non si può negare che la modernità abbia contribuito alla crescita degli spazi di libertà delle persone, in particolare delle donne, né si può desiderare di ritornare a una società olistica, in cui la comunità (anche familiare) ha il controllo sulle vite dei singoli. Tuttavia queste spinte vanno orientate e controllate, senza delegare la difesa della famiglia a grandi affermazioni di principio - cosa oggi non infrequente -, accompagnata però dall'assunzione di misure che nei fatti rendono la vita delle famiglie ancora più ardua. In materia fiscale e non solo.
Senza dubbio non si può proseguire su questa strada senza il coinvolgimento diretto dei protagonisti, a partire dalle famiglie stesse e dai responsabili del mondo del lavoro. Si tratta di un ambito in cui è fondamentale agire sulla base del principio della sussidiarietà, accompagnando e favorendo con le opportune misure la capacità di auto-organizzazione degli attori coinvolti: la conoscenza diretta dei problemi permette di trovare le soluzioni più adeguate, a patto che queste siano rese possibili da un contesto normativo aperto e favorevole. Non mancano esempi interessanti in questa linea, dai nidi-famiglia alle banche del tempo, che andrebbero potenziati e promossi, anche nell'ottica, oggi fondamentale, di strutturare un welfare capace di rispondere ai bisogni reali in un contesto di scarsità di risorse pubbliche.
La prospettiva della sussidiarietà, correttamente intesa, non diminuisce affatto, anzi probabilmente accresce l'importanza della politica e delle politiche. Le fasce del mondo familiare più sollecitate e bisognose di protezione - i giovani adulti alle prese con il problema della formazione di nuove famiglie, e i giovani anziani chiamati a far fronte a molteplici compiti di cura - non potranno farsi carico dell'auto-organizzazione delle risposte se non adeguatamente accompagnati e sostenuti.
La chiave di volta - e di svolta - sta probabilmente nel cambiare la considerazione con cui le politiche sociali guardano alla famiglia, mettendo al centro quella che è la sua identità più profonda: per molti versi è una svolta verso la concretezza della realtà familiare al di là dei modelli analitici con cui la si approccia. La famiglia, o meglio, alcune famiglie possono avere dei problemi, o anche essere un problema; tutte però possono essere una risorsa. Tutte, soprattutto, sono già un nodo di relazioni profonde: è quello che le sostiene e le fa esistere, e che, quando le relazioni sono armoniche e funzionali, permette alle famiglie di superare difficoltà anche estreme.
La valorizzazione delle reti familiari va affiancata dalla costruzione di percorsi efficienti di accesso ai servizi, che dovrebbero costituire una risposta strutturale e non un baluardo per far fronte all'emergenza: un intervento tardivo per normali difficoltà può produrre una catena di aggravamenti e stati di emergenza che ha come ricaduta alti costi sul piano personale e sociale. Non può bastare quindi il tradizionale trasferimento di risorse monetarie, in una logica tipicamente assistenzialista, i cui punti di debolezza sono a tutti evidenti. La cultura che promuove davvero la famiglia non privatizza né individualizza la risposta, ma ne assume la responsabilità sociale, incrementando i legami solidali, ripensando dalle fondamenta il modo di fornire risposte, senza abbandonarsi a una logica di "prestazione" o alle dinamiche del libero mercato.

***

Le politiche concrete possono essere molto varie e richiedono una riflessione seria e complessa da parte di chi ha allo stesso tempo competenze tecniche e una visione politica responsabile. Qui, grazie agli spunti offerti dal prossimo Incontro mondiale delle famiglie, vogliamo sottolineare che la prima necessità è mettere in discussione le premesse culturali a partire dalle quali esse sono pensate. Reimpostare gli interventi mettendo davvero al centro le famiglie e la loro realtà richiede politiche integrate, cioè capaci di interagire a prescindere dai settori specifici dai quali emanano: lavoro, previdenza, fisco, sanità, scuola, trasporti, cultura, assistenza, ecc., non possono essere considerati separatamente. Vi è anche un altro significato di integrazione che desideriamo evidenziare e che ci sembra dischiudere le maggiori potenzialità. Ogni famiglia integra all'interno di una trama relazionale le differenze - di genere, di età, di ruolo - secondo gli infiniti registri della complementarità. E proprio questa complementarità - tra uomini e donne, tra figli, genitori e nonni, tra giovani e anziani, tra occupati, non occupati e pensionati, tra vicini di casa, tra italiani e stranieri, ecc. - è già abbondantemente praticata dalle famiglie che conosciamo, ma attende di essere adeguatamente valorizzata sul piano istituzionale.
Il compito non è facile, ma è ora di liberare il dibattito sulla famiglia dalle contrapposizioni e dalle strumentalizzazioni che ne hanno fatto tanto la destra quanto la sinistra. Proprio dalla realtà vera e vissuta delle famiglie italiane, nei loro bisogni dichiarati e nelle loro difficoltà inespresse, nei mutamenti culturali che le rendono sempre più complesse, ma anche nelle potenzialità e nelle risorse che esse continuano a offrire, passa la strada dello sviluppo e della crescita reale del nostro Paese.
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