«Per che cosa si vota?». In un tempo di crescente astensionismo – così difficile da decifrare, ma rivelatore di quanto sia divenuto fragile il legame di fiducia tra cittadini e classe politica – questa domanda continua a riecheggiare, pronunciata tanto da chi segue distrattamente la vita politica quanto da chi desidera informarsi. È una domanda ancor più legittima quando si vota per l’elezione del Parlamento europeo, di cui i cittadini hanno spesso una conoscenza approssimativa. Ed è quanto mai appropriata se si guarda alla campagna elettorale in Italia (ma non è molto diverso in altri Paesi europei), in cui di Europa si parla poco e con slogan semplificatori, che fanno spesso leva sulla retorica del “noi contro loro”. In compenso, si polemizza molto sulle questioni interne e si riduce il voto a un’occasione per testare i rapporti di forza tra i partiti e la popolarità dei loro leader, tanti dei quali si sono candidati pur avendo già deciso di rinunciare al seggio parlamentare europeo se eletti. Alla luce di tutto questo, allora, per che cosa votiamo l’8 e 9 giugno?
Le sfide che ci attendono
La risposta più scolastica è che votiamo per rinnovare il Parlamento europeo, per eleggere i 720 europarlamentari che, riuniti in gruppi politici con visioni distinte, rappresenteranno circa 450 milioni di cittadini europei. Si possono richiamarne i poteri principali, come l’elezione del Presidente della Commissione europea (indicato dal Consiglio europeo) e poi dell’intera Commissione, o il ruolo svolto ordinariamente insieme alla Commissione europea e al Consiglio dell’UE nell’approvazione della normativa e del bilancio dell’Unione (cfr <https://op.europa.eu/webpub/com/eu-and-me/it/HOW_DOES_THE_EU_WORK.html>). Tuttavia, queste informazioni non bastano per cogliere appieno la posta in gioco nelle prossime elezioni europee. In particolare, è necessario richiamare le trasformazioni in corso da qualche anno, il cui impatto è così profondo da rimettere in discussione acquisizioni che sembravano oramai consolidate.
In una rassegna, che non può essere esaustiva, si può ricordare l’irruzione della rivoluzione digitale, il cui ultimo capitolo è costituito dall’intelligenza artificiale, che ha cambiato il modo in cui lavoriamo e viviamo, sollevando numerose questioni su come gestire questo passaggio epocale e non pochi interrogativi di natura etica. A proposito dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono già tangibili, e della transizione ecologica, l’UE ha preso impegni precisi con il varo del Green Deal, ma le proteste degli agricoltori hanno evidenziato quanto sia complesso giungere a soluzioni equilibrate, che ascoltino le posizioni di quanti sono coinvolti e tutelino il bene comune (cfr Rožič P., «La transizione ecologica alla prova del voto», in Aggiornamenti Sociali, 4 [2024] 266-271). La crisi pandemica ha scoperto in modo doloroso le fragilità del sistema sanitario in vari Paesi, tra cui l’Italia, mostrando che il modello che si sta imponendo tradisce l’idea dell’assistenza sanitaria come parte integrante del welfare state. Ma è proprio quest’ultimo, grande conquista sociale dell’Europa novecentesca, a essere sempre più intaccato per varie cause, dalle scelte della politica alla disponibilità limitata di risorse economiche, all’avvento dell’inverno demografico che squilibra il rapporto fra le generazioni (che già da solo rappresenta un capitolo prioritario di oggi e non certo di domani).
Quale Europa?
Altri due scenari vanno menzionati insieme perché riguardano la ragion d’essere dell’UE. L’invasione dell’Ucraina ha posto in termini nuovi e urgenti la questione della difesa comune e impietosamente mostrato la debolezza politica dell’Unione a livello internazionale (cfr Barbieri G., «Settantacinque anni di NATO: un’alleanza in trasformazione», in Aggiornamenti Sociali, 4 [2024] 241-249), rivelando inoltre quanto poco credito in questo momento sembri riscuotere la spinta verso la pace presso i decisori politici e parte della popolazione dei Paesi UE (cfr Riggio G., «Venti di guerra e arene di pace», in Aggiornamenti Sociali, 5 [2024] 291-294).
Contestualmente vi sono dieci Paesi che chiedono di aderire all’UE, mossi dalla convinzione che questo passo assicuri pace, democrazia e sviluppo economico. Sarebbe miope però pensare che a beneficiarne siano solo loro: l’allargamento del 2004 ha mostrato che i vantaggi sono numerosi anche per gli Stati già membri, in primo luogo nella prospettiva di una pacificazione del continente e della creazione di uno spazio in cui sono garantiti i capisaldi dello Stato di diritto, il che ha anche conseguenze positive in termini economici. Questo passo così importante è uno dei motivi per cui la revisione delle regole di funzionamento delle istituzioni europee non può più essere ulteriormente differita, come richiesto proprio dal Parlamento europeo nell’inverno 2023 (cfr Lionello L., «Tempi maturi per la riforma dei Trattati?», in Aggiornamenti Sociali, 3 [2024] 170-178).
I gruppi politici del Parlameno europeo
I gruppi politici sono composti da non meno di 23 europarlamentari provenienti da almeno sette Stati membri. I partiti nazionali di solito aderiscono a un gruppo politico europeo.
Attualmente vi sono 7 gruppi:
– Partito popolare europeo (PPE, <www.eppgroup.eu>): Forza Italia, Südtiroler Volkspartei, Popolari per l’Italia e Unione di Centro;
– Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici (S&D, <www.socialistsanddemocrats.eu/it>): Partito Democratico e Partito Socialista Italiano;
– Renew Europe (<www.reneweuropegroup.eu>): Azione, Italia Viva, Liberali Democratici Europei, Più Europa, Radicali Italiani;
– Verdi/Alleanza libera europea (<www.greens-efa.eu/en>): Europa Verde e Verdi dell’Alto Adige;
– Conservatori e Riformisti europei (ECR, <https://ecrgroup.eu>): Fratelli d’Italia;
– Identità e Democrazia (ID, <https://it.idgroup.eu>): Lega di Salvini;
– Sinistra al Parlamento europeo (GUE/NGL, <https://left.eu>): Partito della Rifondazione comunista, Sinistra Italiana;
– Non iscritti: Movimento 5 Stelle.
Per l’analisi dei Manifesti presentati dalle forze politiche europee in vista del voto, cfr <https://asvis.it/speciale-Europa>.
Per approfondire i diversi temi europei, cfr il Dossier Europa sul sito di Aggiornamenti Sociali.
I due temi sono accomunati da una questione fondamentale: il futuro dell’UE. All’inizio degli anni 2000 si sono raggiunti traguardi a lungo attesi (l’adozione dell’euro e l’allargamento ai Paesi dell’Europa centrorientale) e registrate battute d’arresto importanti (la conclusione negativa del processo per adottare una Costituzione europea). Dopo questi eventi l’Unione è entrata di fatto in una situazione di stand by per quanto riguarda tanto gli assetti istituzionali, quanto la vitalità politica. Oggi la maggioranza delle forze politiche concorda sull’urgenza di un cambiamento per l’UE, ma in che direzione? Dopo la Brexit, le prospettive di un’uscita dall’Unione non sono più evocate dai partiti euroscettici e dalle forze sovraniste, che ora sostengono di volere “meno Europa”, ossia intendono concentrarsi sul mercato interno lasciando cadere altri ambiti di azione congiunta. Il sogno di giungere a una federazione europea è sempre presente come orizzonte ideale, ma una sua concretizzazione è ben lontana. Un’altra alternativa è mantenere lo status quo, viste le opposizioni a una revisione dei Trattati, permettendo agli Stati che lo desiderano di realizzare forme di collaborazione rafforzata (la cosiddetta Europa a più velocità).
Un’anima per il progetto europeo
Nel discorso pronunciato il 3 luglio 2019, al momento del suo insediamento come presidente del Parlamento europeo, David Sassoli affermò con forza che «Non siamo un incidente della Storia, ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia». L’antidoto a cui fa riferimento è il processo che portò alla nascita della prima istituzione europea, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, fondata sulla «solidarietà di fatto» tra i Paesi europei, affinché «una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile», come dichiarò Robert Schuman nel famoso discorso del 9 maggio 1950.
Si trattò di una scelta convinta, di una rottura coraggiosa rispetto a logiche politiche consolidate, che non prevedevano una solidarietà tra vincitori e sconfitti di una guerra. Richiamiamo alla memoria quegli eventi perché siamo convinti che la forza profetica di quella innovazione nel modo di concepire la politica non si è esaurita. Anche nei cambiamenti epocali richiamati e nelle sfide pongono all’UE, vi sono vincitori e sconfitti: Stati membri che traggono maggiori benefici a discapito di altri; fasce sociali all’interno di un Paese che sono colpite più duramente di altre.
Se si guarda alla storia del cammino europeo, non sempre le decisioni prese si sono richiamate alla solidarietà. È il caso delle migrazioni: da anni si varano politiche che ostacolano l’ingresso dei migranti nella “Fortezza Europa”, ma il fatto che si continui a parlare di crisi migratoria e di emergenze ne smaschera l’inefficacia e l’inadeguatezza. Ben altri sono stati i traguardi raggiunti quando la solidarietà è stata il criterio guida, come nel caso della gestione della pandemia. Pur essendovi alcune ombre, va riconosciuta l’importanza del passaggio dall’azione scoordinata iniziale, quando gli Stati europei agivano come battitori liberi in competizione gli uni con gli altri, alla scelta di un coordinamento a livello europeo, con un’attenzione prioritaria a proteggere i cittadini più fragili. Non meno rivoluzionario è stato il varo di NextGenerationUE, che ha infranto il tabù dell’indebitamento comune, per sostenere le economie provate dalle conseguenze della pandemia e di cui l’Italia è tra i principali beneficiari, a dispetto di una propaganda che dipinge un’Europa ostile al nostro Paese.
Anche oggi la solidarietà tra gli Stati e tra i popoli è una via possibile da percorrere. È il riferimento insostituibile per dare un’anima a un progetto come quello europeo, che «non potrà e non dovrà restare un’impresa economica e tecnica» (Schuman R., Per l’Europa, Editrice Ave, Roma 2018, 34). È la forza che resiste a una cultura fondata sull’individualismo, che porta a concentrarsi sui propri bisogni e a innalzare muri. È il cambio di prospettiva che aiuta a superare le paure e le sfiducie che ci bloccano. È per questo allora che si vota alle prossime elezioni europee: far sì che la solidarietà tra i popoli in vista della pace e dello sviluppo umano sia ancora la spinta propulsiva del sogno europeo, far sì che nel prossimo Parlamento europeo vi siano forze politiche ed eletti che si riconoscono in questa visione della società.