Il filosofo Silvano Petrosino, nel libro Essere giusti con il desiderio ovvero come diventare uomini propone una meditatio su Matteo 20,1-16. Il libro si divide in quattro capitoli: nel primo si esplicita il caso di presunta ingiustizia accaduta agli operai; nel secondo si dà nome al desiderio che abita l’uomo; nel terzo si evince la dinamica dei personaggi, mentre nel quarto si enuclea il richiamo a desiderare ciò che permette all’umano di divenire uomo.
Se per la visione di Petrosino «il modo d’essere dell’uomo in quanto uomo non è mai separabile da quell’apertura/esposizione all’alterità che definisce l’evento stesso della sua esperienza del vivere» (cfr Capovolgimenti. La casa non è una tana, l’economia non è business, Jaca Book, Milano 2011, 28), il suo accento è posto su esperienza e alterità. La parabola, presentata solo dall’evangelista Matteo, risponde facilmente alla constatazione quotidiana che «non è giusto, non è giusto che chi ha lavorato meno ore di me, prenda come me!». Nel primo capitolo è subito esposto il contesto in cui siamo: non si parla di giustizia retributiva, non si sta parlando di giustizia umana ma della «unica giustizia autenticamente giusta», quella di Dio. Petrosino, infatti, sottolinea la correttezza dell’amministratore nei confronti di tutti i lavoratori. Lo sgomento dei primi nasce, però, perché pagati come gli ultimi. Ma questa è la logica del Regno. La giustizia di Dio è riferita in primis al soccorso degli ultimi, dell’orfano, della vedova, del povero e dello straniero. Ma come può essere?
L’A. ci introduce nella risposta attraverso la categoria del desiderio: «nel desiderio il soggetto manca di ciò che non sa o anche non sa di cosa manca» (p. 18). Più nascosto nel cuore dei vignaioli, serpeggia uno dei peccati più inconfessabili, l’invidia, uno di quei vizi capitali che si nutre di paragone, di competizione e infine anela il male dell’altro. Petrosino riprende asserendo che ciò che desidera l’uomo è sempre ciò di cui non ha bisogno e che quindi il suo desidero è sempre fuorilegge, trasgressivo, eccessivo. L’invidia fa perdere lo sguardo, invidere, fa guardare di traverso infatti la risposta dell’amministratore nel greco, dice: «il tuo occhio è cattivo perché io sono buono». Lodevole come Petrosino riesca ad approfondire l’umano essere, a fronte di un’esperienza non compresa della realtà del Regno annunciata da Gesù Cristo, dove vige la gratuità e domina il dono. Ecco perché, l’invito al lettore a chiedere di imparare a chiedere, imparando il desiderio della vita, raddrizzando lo sguardo riattivare la capacità di godere, riabilitando l’uomo verso la sua umanità.