Ermes Carretta: «La priorità è il benessere dei minori ucraini»

Intervista ad Ermes Carretta, Segretario generale di Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini) e Presidente di AIBC Cooperativa sociale. A cura di Giuseppe Riggio SJ. Il presente è un estratto di un articolo più ampio riservato agli abbonati.

 

Il flusso in costante aumento di profughi ucraini, costituito per la maggior parte da donne e bambini, richiede una particolare cura nell’accoglienza. Come sta rispondendo il nostro Paese? Qual è la situazione giuridica dei minori che non giungono con un genitore? Ci aiuta a capire la situazione Ermes Carretta, dell’Associazione AiBi – Amici dei bambini.

 

Dottor Carretta, la vostra associazione è da sempre impegnata a favore dei minori in situazioni di difficoltà, di abbandono, e anche nel caso del conflitto ucraino vi siete attivati subito. In base alle vostre conoscenze, qual è la situazione in questo momento dei minori ucraini arrivati in Italia?

Ermes Carretta: Per quello che si sa, attualmente sono circa 35mila i minori ucraini arrivati nel nostro Paese. Per la maggior parte sono giunti con la propria mamma, in qualche caso accompagnata anche dai membri più anziani della famiglia, dato che gli uomini dai 18 ai 60 anni sono dovuti rimanere in patria a combattere. Essendo con un genitore, questi bambini non vanno incontro a particolari difficoltà dal punto di vista legale. Tutte le persone che arrivano esprimono il desiderio di ritornare in Ucraina appena sarà possibile, per ricostruire il loro Paese ed essere artefici della sua rinascita. Ma analizzando la situazione, sebbene tutti auspichiamo che la guerra finisca presto, se siamo realisti ci rendiamo conto che il conflitto sembra destinato a durare ancora a lungo e quindi le condizioni per un rientro non ci saranno a breve. 

Come Ai.Bi., a quanti sono giunti nel nostro Paese diamo un aiuto a livello burocratico, ad esempio per gli aspetti sanitari o per i permessi di soggiorno, e li accogliamo in appartamenti messi a loro disposizione, dotati di quanto possono avere bisogno. Ci siamo anche attivati per l’inserimento dei minori nel territorio. Dove è possibile abbiamo facilitato un primo contatto con il sistema scolastico, anche se i bambini, specie i più piccoli, parlano solo ucraino e comprensibilmente le scuole non sono sempre attrezzate per questa situazione. I primi minori arrivati in Italia avevano spesso con sé PC o altri dispositivi digitali, e alcuni riescono a collegarsi in DAD con le loro scuole in Ucraina, quando sono ancora operative. Favoriamo anche l’inserimento in attività del tempo libero, ad esempio nelle squadre sportive, dove i ragazzi tra loro in qualche modo riescono a capirsi, oppure organizzando occasioni di svago. È importante anche il contatto con le chiese ortodosse locali così come con le numerose comunità ucraine già presenti in Italia, che possono offrire un notevole aiuto per integrarsi e superare le barriere comunicative.

 

Prima ci diceva che la maggior parte dei minori è giunta con la madre, ma vi sono anche altre situazioni?

Carretta: Questa è la parte più delicata: vi sono minori che arrivano con dei parenti, ad esempio la zia o la nonna, o con qualche amica, che non sempre hanno una tutela giuridica riconosciuta oppure che sono giunti in Italia per ricongiungersi con un familiare, che però non è il genitore. Ci sono poi i bambini che in Ucraina stavano nelle case famiglia, che funzionano in modo abbastanza simile all’Italia, con la differenza che da noi ogni casa famiglia può accogliere fino a sei bambini oltre i propri figli, mentre in Ucraina di solito una coppia può accogliere fino a nove o undici bambini. Altri casi sono invece quelli di bambini che arrivano dagli orfanotrofi con dei tutori ucraini, come ad esempio il direttore o un incaricato dell’orfanotrofio. In questi ultimi due casi, i minori arrivano con i documenti ufficiali ucraini di tutela che, sebbene siano solo di natura amministrativa, sono validi a tutti gli effetti. Vi è infine una piccola parte di minori – si stima un migliaio sui 35mila al momento giunti in Italia – che sono completamente soli, e figurano quindi come minori stranieri non accompagnati (MSNA), come succedeva e succede ancora per alcuni minori provenienti dal Nord Africa, dall’Afghanistan o dall’Albania.

 

Qual è l’iter di accoglienza in Italia per questi casi che ha ora citato?

Carretta: Per i minori che giungono accompagnati da un tutore si è creato un malinteso a livello burocratico, denunciato anche dalla nostra associazione. Il decreto di tutela delle autorità ucraine non è stato riconosciuto da vari giudici italiani, quindi questi minori sono considerati come non accompagnati. Questa interpretazione è in contrasto con la Convenzione dell’Aja del 1996, ratificata dall’Ucraina nel 2007 e dall’Italia nel 2015 e in cui si afferma il mutuo riconoscimento dei documenti di tutela rilasciati dagli Stati firmatari, quindi anche tra Ucraina e Italia. L’interpretazione restrittiva fa sì che i minori giunti nel nostro Paese con un tutore diverso dai genitori siano considerati come MSNA, che rientrano perciò nella cosiddetta Legge Zampa n. 47/2017, Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati. Questo significa che devono essere presi in carica da un tribunale, che deve nominare un tutore.
La conseguenza di questa situazione è che i minori provenienti dalle case famiglia ucraine potrebbero essere divisi e di fatto privati dei loro due unici punti di riferimento: i tutori legali e gli amici del loro Paese d’origine, esponendoli così a un ulteriore trauma. Inoltre, i tutori dei MSNA sono figure volontarie che dovrebbero essere adeguatamente formate, ma già prima dell’emergenza ucraina in Italia non ve ne erano a sufficienza.
Come conseguenza di questa incertezza di tutela giuridica, si è creata una sfiducia nei confronti del nostro Paese da parte dei cittadini e delle autorità ucraine, per questo i minori delle case famiglia o degli orfanotrofi appena arrivati qui ripartono per altri Paesi europei. Sono diminuiti anche gli arrivi di nuovi minori in difficoltà, perché non si sentono al sicuro riguardo a quanto può accadere. [continua]

 

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