«Che fine ha fatto la ricerca del bene comune? E in che cosa l’economia può contribuire alla sua realizzazione?» (p. 4). Queste sono le domande di fondo a cui vuole rispondere l’ultima fatica dell’economista francese Jean Tirole, il ponderoso volume intitolato Economia del bene comune, che ha il pregio di essere un libro per non addetti ai lavori, che vuole riavvicinare le persone alla scienza economica, al suo linguaggio e alla sua importanza.
Premio Nobel per l’economia nel 2014, Tirole ha voluto così pubblicare la summa della sua visione di studioso: quella di un’economia non autosufficiente e autonoma, né di una scienza perfetta, ma di una disciplina sociale che, come tale, necessita di dialogare anche con le altre materie afferenti le scienze umane. Per essere davvero indirizzata al bene comune è utile che l’economia si lasci contaminare anche dalla psicologia, dalla sociologia e dall’antropologia, facendo propri le istanze e gli studi positivi provenienti da queste materie: «Stiamo assistendo a una progressiva riunificazione delle scienze sociali. Sarà una riunificazione lenta ma ineluttabile: antropologi, economisti, storici, giuristi, filosofi, politologi, psicologi e sociologi si interessano alle stesse persone, agli stessi gruppi e alle stesse società. La convergenza che è esistita fino alla fine del XIX secolo deve essere ristabilita, e richiederà alle varie comunità scientifiche un impegno ad aprirsi alle tecniche e alle idee delle altre discipline» (p. 163).
Il volume comincia dal mestiere dell’economista, dalle sue ricerche e dall’analisi della realtà, dai suoi obiettivi fondamentali e dai suoi errori, per arrivare ai grandi punti interrogativi che interpellano il futuro dell’Europa e delle nostre società occidentali: che cosa ha generato la grande crisi del 2007? A che cosa serve la finanza? Come si può risolvere il problema della disoccupazione e dare lavoro alle giovani generazioni? Come si regolano le industrie? Come si protegge l’ambiente? Diviso in cinque parti tra loro collegate, Economia del bene comune illustra i diversi aspetti della vita dell’uomo che si intrecciano e sono toccati dalle scienze economiche.
La grande crisi, scoppiata nel 2007-2008 e di cui ancora subiamo le conseguenze a dieci anni di distanza, ha generato una diffidenza profonda nei confronti della fredda razionalità economica, imputando al mercato senza regole la caduta verso la recessione e verso condizioni di vita peggiori e additando gli economisti come complici attivi di questo disastro. Il pregio del lavoro di Tirole è quello di provare a ricucire il rapporto complicato e logorato tra economia e gente comune, per provare a costruire un futuro migliore e ridare credibilità alla propria professione.
Se vogliamo capire la crisi e valutare oggettivamente quello che è successo nel corso di questi anni, è necessario mettere in discussione la corrente di pensiero economico considerata dominante negli ultimi trenta-quarant’anni. Ancora oggi, nonostante i guai prodotti, la disciplina economica è infatti dominata da un singolo paradigma, quello neoclassico, i cui fondamenti teorici principali possono sintetizzarsi nell’ipotesi di efficienza dei mercati, nel concetto di equilibrio economico generale, nell’esistenza di agenti che assumono decisioni in maniera razionale in un contesto di perfetta informazione, nella massimizzazione dell’utilità da parte degli individui e del profitto da parte delle imprese. Tirole è convinto che molto sia ancora da scoprire circa i meccanismi che regolano l’economia e che il modello dell’homo oeconomicus, figlio del pensiero neoclassico, sia insufficiente per comprendere l’agire e le decisioni delle persone; in questo modello ciascuno basa le proprie scelte sulla valutazione della propria “funzione d’utilità” e, più in generale, del proprio tornaconto personale. Inoltre, esso è amorale, in quanto ignora qualsiasi valore sociale e qualsiasi relazione fra le persone. L’A., approfondendo nei suoi studi la “teoria dei giochi”, sottolinea come molto spesso le persone siano spinte ad agire non in modo razionale, cioè secondo un interesse egoistico, ma mostrando al contrario comportamenti altruistici. Durante tutta la sua carriera accademica, Tirole ha lavorato sulla teoria dei contratti e sulla regolamentazione ottimale, proprio per cercare di costruire sistemi di regole, sanzioni e incentivi in grado di riconciliare le energie e le spinte dell’autointeresse individuale con il bene comune.
Il libro, quindi, sulla scia delle sue precedenti ricerche, vuole essere uno strumento di dibattito per immaginare una nuova economia capace, con le sue indicazioni di politica economica, di migliorare il mondo: «Il nocciolo della vita economica e sociale è la fiducia» (p. 148). Proprio perché l’obiettivo è la ricerca del bene comune, afferma l’A., questa «passa in gran parte attraverso la costruzione di istituzioni mirate a conciliare il più possibile l’interesse individuale e l’interesse collettivo. In una prospettiva del genere, l’economia di mercato non è affatto una finalità. È al massimo uno strumento; di più, uno strumento alquanto imperfetto, se teniamo conto della possibile divergenza fra l’interesse privato degli individui, dei gruppi sociali e delle nazioni, e l’interesse generale» (p. 5).
Lo sviluppo economico – così come la misurazione della crescita economica – non può basarsi su formule fredde ed essere calcolato prescindendo da trasformazioni di tipo sistemico. Il bene comune e il suo raggiungimento esigono un insieme di cambiamenti produttivi, economici, demografici, istituzionali, sociali e culturali: per migliorare è necessario includere con sempre maggiore convinzione anche dinamiche di tipo qualitativo, oltre che quantitativo. La strada che Tirole indica all’economia cerca di tenere conto, cosa non scontata, anche del “capitale sociale”, cioè di quel collante fondamentale, fatto di fiducia reciproca nei rapporti interpersonali e nelle istituzioni, di senso civico e disponibilità ad assolvere agli obblighi fiscali, che configura la qualità delle relazioni esterne alla propria cerchia familiare e amicale. Grazie a questi approfondimenti, il premio Nobel supera il riduzionismo antropologico che caratterizza buona parte delle teorie economiche e inizia ad esplorare aspetti positivi e solidali delle persone.
Insieme al mercato e ai rapporti fra gli agenti economici, l’A. individua anche lo Stato come istituzione da rinnovare: «La concezione dello Stato è cambiata. Un tempo fornitore di posti di lavoro attraverso la funzione pubblica e produttore di beni e servizi attraverso le imprese pubbliche, lo Stato, nella sua forma moderna, fissa le regole del gioco e interviene per colmare le lacune del mercato, non per sostituirvisi» (p. 183). Il ruolo dello Stato e delle istituzioni è necessario in via sussidiaria per correggere i fallimenti del mercato e per perseguire il fine di migliorare le condizioni di vita di ciascuno. Esso deve essere il regolatore ultimo e supervisionare il sistema, intervenendo nel caso di distorsioni o incentivando un’azione positiva. Il mercato, per poter funzionare senza creare scompensi e durare a lungo, invece, deve sostanzialmente agire in maniera diversa da quanto è stato fatto negli ultimi trent’anni, rispettando le norme sia legali sia sociali. Ma se è più semplice far rispettare la prima categoria di regole – tramite una serie di sanzioni e un sistema di giustizia che le faccia applicare – più difficile è considerare le altre.
L’economista francese mostra come la profondità della crisi avrebbe dovuto imporre un’azione più forte e coraggiosa da parte di tutti, dell’Unione Europa in primis, per riscrivere non soltanto le regole della finanza, ma anche quelle degli scambi globali. Il patto sociale fra cittadini, indebolito da decenni di allargamento delle diseguaglianze, andrebbe secondo lui rifondato. Tra i temi più urgenti toccati da Tirole ci sono il mercato del lavoro, la riduzione della disoccupazione, l’innovazione tecnologica, i cambiamenti climatici. Pur descrivendo solo la realtà francese – e questo è forse un limite del volume –, l’A. individua alcune caratteristiche comuni a tutta l’Europa, proponendo maggiori tutele per i lavoratori più che per i posti di lavoro e soluzioni per difendere le “vittime invisibili” delle scelte economiche, immaginando un futuro più aperto, mobile e digitale. I mali di cui soffrono le nostre società non vanno ricondotti, secondo Tirole, a una visione fatalistica: per la disoccupazione, il riscaldamento climatico, lo sfaldamento della costruzione europea, le soluzioni ci sono. Solo che il cambiamento d’epoca che l’Europa sta attraversando avrà bisogno di tempo per essere metabolizzato e dovrà, quindi, essere guidato da politiche graduali e pazienti, più che da mirabolanti pretese o presunzioni nocive.
Il rimedio alla situazione in cui ci troviamo non può essere una radicalizzazione dell’alternativa Stato-mercato: la via va cercata in un’estensione di tutte quelle forme di organizzazione economica che la società civile è in grado di esprimere. Lo Stato, utilizzando una felice definizione, ha il compito di essere allo stesso tempo “limitato” – intervenendo in maniera forte in certi ambiti e non in altri e riconoscendo la più ampia autonomia al libero articolarsi della società civile – e “abilitante”, promuovendo e incoraggiando quelle forme di azione collettiva che hanno effetti pubblici positivi e meritori.
Scopo di un’economia orientata al bene comune, in ultima analisi, è un’elevata qualità della vita per tutti. Dignità umana, sostenibilità ambientale, equità e solidarietà, giustizia sociale ne sono gli elementi fondamentali. Se dal lato politico l’economia del bene comune cerca di promuovere cambiamenti normativi per premiare imprese e realtà meritevoli, da quello sociale cerca di favorire un’educazione il più possibile ampia per trasmettere idee e proposte nuove, che stimolino il maggior numero di persone ad agire in modo cooperativo e solidale. La scienza economica contemporanea, dopo questa crisi, deve cambiare; in parte lo sta già facendo, anche grazie agli studi di Jean Tirole.